Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 4/6/2016, 4 giugno 2016
IL FILOTTO DEI 21: TRE POLTRONE E UNO STIPENDIO
Tre poltrone al prezzo di una sola campagna elettorale. È il filotto che con il voto di domani possono avviare i candidati in corsa per il posto di sindaco, che possono poi diventare sindaci metropolitani o presidenti di Provincia e, nei 21 casi più fortunati, addirittura senatori. A mettere in palio il tris è l’intreccio fra la riforma delle Province in vigore e quella della Costituzione che aspetta il voto di ottobre.
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Continua da pagina 1 Il groviglio delle regole è intricatissimo, ma un aspetto è chiaro: i collezionisti di incarichi avranno comunque una sola indennità, quella prevista per il sindaco, perché gli altri posti sono gratis (salvo rimborsi, però).
Partiamo dalle certezze. Le campagne elettorali non ne hanno praticamente fatto cenno, ma a Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli e Cagliari chi vince le elezioni pesca subito un ambo, perché oltre alla carica di sindaco del Comune ottiene anche quella di guida della Città metropolitana (si chiama «sindaco» anche in quel caso, ma «metropolitano»). In alcuni casi, come a Milano e Napoli, sarebbe prevista l’elezione diretta anche del sindaco metropolitano, ma per ora il doppione viene risparmiato ai cittadini dal fatto che mancano le regole attuative. Uno sguardo ai bilanci delle Città, che l’anno scorso hanno sforato i vincoli di finanza pubblica per 360 milioni e ora rischiano di pagare sanzioni in grado di mandarle praticamente tutte in dissesto, spiega bene il silenzio dei candidati sul tema, che al momento offre più grane che opportunità: ma c’è da scommettere che, chiuse le urne dei ballottaggi, il governo si muoverà per metterci una pezza.
Fuori dalle «metropoli», invece, l’ambo è possibile ma non automatico. In una dozzina di casi, da Rimini a Grosseto per fare qualche esempio, il sindaco uscente del capoluogo è anche presidente della Provincia. Se viene confermato, può continuare in quel ruolo fino alla scadenza del mandato provinciale, altrimenti bisogna convocare gli amministratori locali per le elezioni di secondo livello, in cui gli eletti nei Comuni eleggono a loro volta i politici della Provincia. Questo passaggio è scontato nelle città, per esempio a Grosseto, in cui l’uscente non si ricandida perché ha appena completato il secondo mandato consecutivo.
Qui si complica anche il calendario, perché con le elezioni a giugno i nuovi presidenti di Provincia vanno scelti entro agosto, e lo stesso accade per i componenti dei nuovi «consigli metropolitani», cioè l’equivalente dei consigli provinciali a Torino, Milano, Roma e così via. In spiaggia, quindi, gli italiani troveranno qualche posto libero in più, perché migliaia di politici locali (e di funzionari degli uffici elettorali) saranno impegnati nella convocazione delle elezioni e nelle campagne elettorali per farsi scegliere dai loro colleghi.
Per arrivare al tris occorre invece varcare anche le porte di Palazzo Madama, in una corsa che al momento è teoricamente aperta a tutti compresi i sindaci dei Comuni più piccoli, ma serve un po’ di tempo in più: dopo il referendum, se vinceranno i “sì”, bisognerà fissare le regole con cui ogni consiglio regionale dovrà eleggere il proprio “sindaco-senatore”.
Ma ottobre non sarà solo il mese del referendum. I politici locali, anche alcuni di quelli chiamati alle urne ad agosto, dovranno tornare al voto per rinnovare quasi tutti i consigli provinciali nelle regioni a Statuto ordinario, perché il loro mandato dura due anni e non quattro come quello del presidente. In Italia, insomma, i seggi elettorali quest’anno rimarranno aperti quasi sempre, per respingere al mittente qualsiasi accusa di “deficit” di democrazia. La democrazia c’è: magari è un po’ confusa, ma abbondante.
Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 4/6/2016