la Repubblica, 4 giugno 2016
L’ultimo tremendo naufragio, oltre 300 dispersi al largo di Creta
In 350 si sono salvati, 9 sono morti, ma «altri 300 o forse più sono dispersi». Probabilmente finiti in fondo al mare» insieme al barcone che si è inabissato tra l’isola di Creta (Grecia) e Tobruk (Libia). Lo stesso mare che ha restituito i cadaveri di nove migranti. Sulla spiaggia di Zuwara, al confine tra Libia e Tunisia, invece sono stati recuperati i corpi di 117 persone, tra cui 75 donne e 6 bambini, vittime del naufragio di venerdi.
È questo l’ultimo (fino a ieri sera) tragico conteggio di morti e di sopravvissuti nel Mediterraneo dove barconi e gommoni stracarichi di migranti continuano a tentare di raggiungere le coste europee. Ma il bilancio poteva essere più grave se non fosse intervenuta una portacontainer italiana,” Jolly Cobalto”, che ha avvistato il barcone, lungo circa 25 metri, che lentamente affondava con il suo carico umano. Quella segnalazione, partita alle 17,10 di ieri, ha consentito alla Centrale operativa della nostra Guardia Costiera di dare l’allarme dirottando in quel tratto di mare navi mercantili di varie nazionalità che sono riusciti a trarre in salvo 350 persone, in maggioranza africani, tra loro molte donne e bambini. «270 si trovano a bordo della nave norvegese “Clipper Hebe”, diretta nel porto di Augusta – dice il contro-ammiraglio Nicola Carlone capo delle operazioni della Guardia Costiera. «Altri sono a bordo di navi i cui spostamenti sono coordinati dai nostri colleghi greci». Stando al racconto dei sopravvissuti a bordo della “Clipper Hebe” il barcone era partito dalle coste egiziane un paio di giorni fa, diretto a Tobruk, in Libia, dove gli scafisti avrebbero completato il carico con altre centinaia di esseri umani, trasferendoli con i gommoni. «A bordo non ci si poteva muovere», racconta un superstite. «Noi, più fortunati, eravamo in coperta ma in centinaia sono rimasti intrappolati nella stiva e sono finiti in fondo al mare. Se non ci fossero stati quei mercantili saremmo morti tutti…».
E mentre quei mercantili soccorrevano il barcone, da Zuwara la Mezza Luna Rossa libica comunicava che il mare aveva restituito 117 corpi: «Sono tutti africani. I cadaveri hanno cominciato ad emergere nel mare antistante la costa di Zuwara, vicino alla frontiera con la Tunisia, fin dalle nove del mattino di giovedi scorso».
Un ulteriore soccorso è stato effettuato dalla nave “Acquarius” che insieme ad altre imbarcazioni di ong tedesche e francesi, pattugliano il Canale di Sicilia. Ne sono stati salvati 96 da un gommone che anch’esso, stava per affondare.Ma nonostante le stragi ormai quotidiane che avvengono a ridosso o all’interno del limite delle acque territoriali libiche, Tripoli annuncia che le basi degli scafisti non saranno colpite. Ieri Fayaz Serraj, presidente dell’esecutivo voluto dalle Nazioni Unite, ha dichiarato infatti che «distruggere le imbarcazioni dei trafficanti nei porti libici non sarebbe una soluzione». Il problema – ha aggiunto – «va risolto nei Paesi da cui partono i migranti».
Ancora più esplicito è stato l’ambasciatore a Roma Ahmed Elmabrouk Safar, che ha sottolineato il punto di vista del governo di Tripoli: «Invitare forze navali straniere nelle acque libiche potrebbe essere visto come un importante progresso per diminuire il numero di persone che attraversano il Mediterraneo, ma in questo momento aiuterebbe a unificare la Libia?».
Secondo il diplomatico, adesso è più importante trovare una «soluzione a lungo termine»: costruire consenso intorno all’esecutivo Serraj e ristabilire la sicurezza nell’intero paese, superando le divisioni tra milizie e soprattutto i contrasti con il parlamento di Tobruk che controlla la Cirenaica e non ha riconosciuto il governo unitario.