Martina Liverani, pagina99 4/6/2016, 4 giugno 2016
PER UN PUNGO DI STELLE NELLE BIBBIE DEI GOURMET
La sera del 13 giugno prossimo il gotha della gastronomia mondiale sarà a New York per scoprire chi quest’anno si aggiudicherà il primo posto nella classifica dei The World’s 50 Best Restaurants. Una sorta di premio Oscar degli chef, che ogni anno mette uno dietro l’altro i cinquanta migliori ristoranti del globo scelti da un’Academy formata da mille membri tra cuochi, giornalisti e gourmet internazionali appartenenti alle 27 regioni geografiche in cui è stato suddiviso il pianeta dei ristoranti.
Questa lista è apparsa per la prima volta nel 2002 sulla rivista britannica Restaurant e nacque quasi per gioco da un gruppo di redattori annoiati dalle guide gastronomiche classiche, ristrette a un’area geografica o che prendevano in considerazione solo tipologie di cucina dai canoni un po’ stantii (come le tovaglie inamidate, il personale di sala incravattato o il costoso menu di ispirazione francese). Un’alternativa alla celebre e storica Guida Michelin. Così, coinvolgendo alcuni colleghi e amici, venne stilata per la prima volta la lista che oggi è la sede più ambita di chi ha un ristorante: essere in quella classifica marca per molti la differenza tra oscurità e fama.
La classifica dei 50 Best è solo una delle tante liste, guide, sondaggi che ogni anno assegnano punteggi al lavoro degli chef e dei loro ristoranti, giudicando la cucina, il servizio, l’atmosfera e cercando di scoprire talenti o consolidare i grandi nomi della gastronomia. Attese, temute, amate dai ristoratori (divisi tra quelli che vi compaiono e quelli che vorrebbero) e lette dai clienti e addetti ai lavori per avere il polso su nomi e tendenze. Esistono guide dal respiro internazionale, come nel caso della Guida Michelin, detta La Rossa, che assegna “le stelle” – averne tre è il più alto riconoscimento previsto, assegnato a poco più di 100 ristoranti in tutto il mondo; poi ci sono pubblicazioni legate a editori e circuiti nazionali, come, per l’Italia, Identità Golose, I ristoranti d’Italia de L’Espresso o la guida del Gambero Rosso. Il vademecum deve soddisfare due bisogni: quello del gourmet di respiro internazionale che si sposta di Paese in Paese e programma le vacanze anche in funzione del ristorante dell’anno e quello delle schiera di food writer, giornalisti o influencer che si sposta di ristorante in ristorante alla ricerca della cena da poter recensire.
Pochi giorni fa è uscita la classifica generata da OAD – Opinionated About Dining, che elenca i cento migliori ristoranti d’Europa ed è stata inventata da Steve Plotnicki, un produttore discografico con la passione del cibo, che fa votare un gruppo di esperti e appassionati di cucina tramite un form online. Al primo posto quest’anno c’è il ristorante parigino L’Arpège di Alain Passard. Tra gli italiani il miglior piazzamento è quello di Massimo Bottura, quattordicesimo con il suo Osteria Francescana a Modena. Naturalmente esiste anche una “guida delle guide”: l’hanno fatta i francesi e si chiama La Liste. Incrocia i risultati dei baedeker più influenti al mondo e stila la classifica dei 1000 ristoranti più quotati (in testa sono saldi i ristoranti d’Oltralpe). Al di là dell’opinabilità dei risultati, dove entrano in scena nazionalismi e gusti personali, ciò su cui si discute maggiormente sono i meccanismi di voto: chi giudica chi?
Eleonora Cozzella, giornalista enogastronomica del Gruppo Espresso, dal 2010 è il membro italiano dell’Academy della World’s 50 Best Restaurants: «Le classifiche non sono perfette, nessuna lo è. Questa dei 50 Best è un sondaggio tra esperti e addetti ai lavori a cui è chiesto di esprimere una loro preferenza». Cozzella coordina un gruppo di 35 persone e il suo ruolo – oltre ad assicurarsi che tutti abbiano votato tramite un form da compilare online – è garantire che il panel di anno in anno sia rappresentativo dell’intero Paese, ossia formato da persone che risiedano da Nord a Sud e che, naturalmente, viaggino il mondo in cerca per ristoranti. Ogni elettore ha sette voti da assegnare, in ordine di preferenza, ad altrettanti ristoranti nei quali abbia mangiato negli ultimi diciotto mesi. Almeno tre dei voti deve andare a ristoranti al di fuori della sua regione. Ma liste e classifiche come queste, per chi sono redatte? Ad uso e consumo del cliente o dello chef? «Giovano a entrambi», dice Cozzella, «alcuni chef come Massimo Bottura (al secondo posto della 50 Best, ndr), René Redzepi (sul terzo gradino del podio con il suo Noma a Copenaghen, ndr), o Virgilio Martinez (il suo Central a Lima si trova al quarto posto, ndr) mi hanno detto che da quando sono entrati in classifica le prenotazioni sono schizzate alle stelle. Essere nella 50 Best garantisce un’altissima visibilità e muove quelli che si spostano da tutto il mondo su queste rotte gastronomiche. Non è un caso se i ristoranti presenti nella lista risiedono in Paesi in cui il fine dining è una leva del turismo e le istituzioni investono in tal senso».
Posti che «valgono il viaggio», come afferma sin dalla sua nascita la Guida Michelin, nata proprio per consigliare una tavola a chi è in movimento. E i punti di contatto tra questa e il 50 Best non sono pochi. «Quasi tutti i ristoranti presenti nella classifica dei 50 Best sono anche stellati», continua Cozzella. «Rispetto alla Michelin, la 50 Best ha il merito di fotografare una cucina contemporanea e fiutare le tendenze, come è stato per l’apertura verso i Paesi del Sud America o dell’Asia o l’interesse per la cucina che verrà. Insomma: se c’è da mangiare un insetto, ce lo mangiamo!».
La Guida Michelin ha contribuito a creare la mitologia del critico gastronomico severo e anonimo, intransigente sulla cucina e attento ai dettagli del servizio. La leggenda dice che si presenti al ristorante da solo o al massimo in coppia, prenoti all’ultimo momento e ordini almeno tre portate. Ma l’unica cosa certa è che rappresenta la figura più temuta dalle brigate di cucina. «La redazione della Guida Michelin è il risultato di un insieme di attività condotte in collaborazione tra il capo redattore, gli ispettori e l’équipe in sede», racconta Sergio Lovrinovich, il direttore. «Dopo la pianificazione delle visite a ristoranti e alberghi, le visite e le “prove tavola”, si passa al lavoro di redazione dei testi, alla rilettura e al controllo cartografico».
In Italia sono solo otto i ristoranti che possono fregiarsi delle tre stelle Michelin: l’ultimo a essersele cucite sul giacchino è stato lo chef Niko Romito con il suo Reale a Castel di Sangro che in soli sette anni, dal 2007 al 2014, ha scalato la Rossa passando da una a tre stelle. «È una grandissima soddisfazione professionale e personale: la Michelin è la guida più importante a livello internazionale ed ottenere questo riconoscimento è stato come aprirmi improvvisamente al mondo; come se mi avessero puntato addosso un riflettore».
Oltre che il prestigio e la notorietà, le tre stelle Michelin portano clienti: «Le prenotazioni sono aumentate del 30 per cento», dice Romito, «soprattutto da parte di una nuova clientela internazionale che si ferma a Castel di Sangro». Questo tipo di turista gastronomico appassionato di alta cucina arriva in Abruzzo soprattutto dal Nord Europa, e poi America, Giappone e Brasile; da Romito non è raro che la maggior parte dei tavoli in sala siano occupati da clienti stranieri e sentir parlare anche due o tre lingue diverse durante una cena. Lo chef abruzzese è un esempio di talento che fa bene anche al territorio in cui si trova, rappresentando un vettore di visibilità e di transito turistico.
Castel di Sangro è oggi sulle rotte internazionali dei facoltosi gourmet appassionati di esperienze gastronomiche. Un target niente male, come hanno pensato alcuni enti stranieri di promozione turistica che puntano su vino e cibo e cercano di promuovere i propri chef e ristoranti sostenendoli nella scalata a guide e classifiche. In che modo? Semplicemente invitando a cena food writer, opinion leader, giornalisti ed esperti in modo che possano conoscere un ristorante, provarlo e poi, in caso, giudicarlo. Lo hanno fatto in Scandinavia, Spagna, Australia, Perù e il risultato è che alcuni ristoranti hanno cominciato ad apparire nelle classifiche internazionali scardinando l’egemonia eurocentrica dell’alta cucina. E un lavoro di promozione e pubbliche relazioni che da solo non basta, ma aiuta il talento dello chef a esprimersi.
Del resto, per entrare in una guida e intercettare le attenzioni di chi la compila occorre come prima cosa farsi conoscere. In Italia le istituzioni fanno ancora poco, ogni azione promozionale è lasciata al singolo. E per questo motivo il piazzamento ai vertici dei nostri fuoriclasse, in primis Massimo Bottura, ha ancora più valore. Non resta che aspettare il 13 giugno, quando i migliori cinquanta chef al mondo sfileranno sul red carpet e un presentatore svelerà la classifica elencando i nomi in ordine decrescente. Così come per gli Oscar, nei giorni precedenti si sprecheranno le indiscrezioni, ma tutto è blindato e segreto. Il punto è che non si tratta solo di una banale graduatoria nata per gioco: in ballo c’è una spinta che cambia geografie gastronomiche e fatturato. Almeno per un anno.