Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 4/6/2016, 4 giugno 2016
SONO GLI USA, NON L’OPEC IL FARO DEL PETROLIO
Sono tuttora gli Stati Uniti e non l’Opec il faro dei mercati petroliferi. Giovedì il calo delle scorte americane aveva sorretto i prezzi, nonostante il vertice dell’Organizzazione si fosse concluso con un rinvio della reintroduzione di un tetto produttivo. Ieri il barile è di nuovo sceso sotto i 50 dollari, per il doppio effetto dei dati sull’occupazione Usa - molto inferiori alle attese e dunque potenzialmente nocivi per i consumi di carburanti - e del ritorno in funzione oltre Oceano di 9 trivelle:?segno che forse non è infondata l’idea che lo shale oil possa risorgere alla prima consistente risalita dei prezzi.
Le statistiche di Baker Hughes, arrivate verso fine seduta, hanno dato un’ulteriore spinta in ribasso alle quotazioni, facendo chiudere il Brent a 49,83 dollari al barile (-0,42%). Uno smacco per il neo-ministro dell’Energia saudita, Khaled Al Falih, che solo poche ore prima aveva sminuito il pericolo che la concorrenza rialzasse la testa. «Non penso che con il petrolio a 50 dollari ci sarà una corsa agli investimenti», aveva detto poco dopo il vertice Opec a Vienna. E comunque, aveva aggiunto, lo shale oil è bene accetto in quanto il suo contributo è necessario per soddisfare il futuro fabbisogno di greggio:?se tornerà ad aumentare di 200-300mila barili al giorno l’anno «va bene», non deve però recuperare i ritmi di crescita di un tempo.
La capacità dello shale oil di ritornare davvero in forze è comunque ancora tutta da dimostrare:?decine di operatori sono andati in bancarotta e i finanziamenti al settore si sono prosciugati quasi del tutto. Potrebbe inoltre essere difficile recuperare il personale specializzato e i mezzi ai quali le compagnie hanno rinunciato negli ultimi mesi.
Quello che sta accadendo, insomma, non dovrebbe (ancora) turbare la ritrovata armonia all’iterno dell’Opec.
L’ultimo vertice sembra aver appianato molte divergenze in seno al gruppo, segnando una sorta di armistizio persino tra Iran e Arabia Saudita, su fronti opposti non solo quando si tratta di petrolio.
Il ministro iraniano Bijan Zanganeh - che in passato era stato tra i più accesi nel fomentare i contrasti all’interno del gruppo - ieri è tornato a sottolineare con forza la differenza di clima. «Abbiamo avuto un incontro senza tensioni ed è grazie a questa nuova atmosfera che siamo riusciti a raggiungere una serie di accordi, come quello per la nomina del nuovo segretario generale», ha raccontato alla Bloomberg.
Il ministro iraniano Zanganeh è addirittura andato oltre:?«Dovremmo lavorare gli uni con gli altri, siamo vicini di casa, siamo allo stesso livello», ha detto agli altri membri dell’Opec, assumendo improvvisamente l’inusuale ruolo di colomba. Il motivo del cambiamento lo spiega lui stesso: «Penso che tutti abbiano accettato il ritorno dell’Iran sul mercato».
A placare i timori dei “vicini” - fino a poco tempo fa quanto mai rissosi - è la risalita del prezzo del petrolio, che contro ogni pronostico non è stata interrotta dal recupero della produzione di Teheran dopo la revoca delle sanzioni internazionali:?le quotazioni si sono risollevate di oltre l’80% dai minimi pluriennali di gennaio, anche se ieri la seduta si è conclusa in ribasso. «Si vede che il mercato aveva bisogno di questi barili», ha osservato il qatarino Mohammed Al Sada, presidente di turno dell’Opec, dando man forte al collega iraniano (cosa che non accade di frequente, in genere il Qatar spalleggia l’Arabia Saudita). Gli attacchi dei Niger Delta Avengers - che ora minacciano via Twitter di azzerare la produzione nigeriana, dopo averla già fatta crollare del 60% - hanno di fatto neutralizzato il ritorno dell’Iran sul mercato, che pure c’è stato eccome, a un ritmo che pochi osservatori in Occidente credevano possibile. Teheran, che negli anni dell’isolamento si era ridotta a estrarre meno di 3 milioni di barili al giorno (da un picco di 4,1 mbg una decina di anni fa) ora è risalita a 3,5 mbg secondo le stime degli analisti, addirittura a 3,8 mbg secondo Zanganeh, che afferma di puntare a 4,8 mbg nel giro di 5 anni. «Molto presto» saranno annunciati nuovi contratti con partner stranieri, promette il ministro, che durante la permanenza a Vienna ha incontrato rapprentanti di diverse compagnie petrolifere, tra cui anche l’Eni, oltre alla francese Total e alla russa Lukoil.
L’agenda più fitta è stata tuttavia quella del saudita Al Falih, che sembra essere il vero artefice della distensione dei rapporti nell’Opec. Il ministro ha avuto un lungo colloquio martedì con il segretario generale uscente dell’Organizzazione, Abdallah El Badri, per approfondire - a quanto si dice - tutte le dinamiche all’interno del gruppo. In seguito, prima del vertice, ha incontrato i colleghi di Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti - alleati storici di Riyadh - ma anche quelli di Nigeria, Venezuela e Algeria, i più fragili economicamente tra i Paesi dell’Opec e probabilmente anche per questo spesso voci “dissidenti” all’interno del gruppo.
Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 4/6/2016