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 2016  giugno 04 Sabato calendario

APPUNTI BAMBINO GIAPPONESE PER IL FOGLIO ROSA – CECILIA ATTANASIO GHEZZI, LA STAMPA 4/6 – Una storia cominciata con un bambino di sette anni che faceva i capricci e che è finita con un commosso sospiro di sollievo che ha coinvolto un’intera nazione

APPUNTI BAMBINO GIAPPONESE PER IL FOGLIO ROSA – CECILIA ATTANASIO GHEZZI, LA STAMPA 4/6 – Una storia cominciata con un bambino di sette anni che faceva i capricci e che è finita con un commosso sospiro di sollievo che ha coinvolto un’intera nazione. In mezzo i sei lunghissimi giorni in cui Yamato Tanooka era dato per disperso nei boschi dell’isola di Hokkaido, la più settentrionale delle principali isole dell’arcipelago giapponese. E la più selvaggia. Yamato era in viaggio con i genitori e la sorella, ma non la smetteva di tirare sassolini a macchine e persone. Così, spazientiti, gli adulti l’hanno fatto scendere dalla macchina e l’hanno minacciato che l’avrebbero lasciato lì. Poco dopo sono tornati a prenderlo, convinti che la punizione avrebbe sortito il suo effetto. Ma il bambino non c’era più. Era il 28 maggio quando hanno dato l’allarme, mobilitando vigili del fuoco ed esercito. Le pattuglie hanno coinvolto circa 200 persone e un’unità cinofila. È stata esplorata l’area compresa nel raggio di nove chilometri dal luogo della scomparsa del bambino, senza risultati. Le continue piogge facevano temere il peggio. Invece l’hanno trovato ieri mattina, per caso, alcuni soldati che stavano facendo un’esercitazione. Pioveva, ed erano entrati nel rifugio di una base militare abbandonata a ripararsi. Evidentemente anche il bambino, che al momento della scomparsa indossava solo un paio di jeans e una maglietta, si era trovato nelle stesse condizioni. A quanto ha raccontato, Yamato si è messo in cammino appena è stato abbandonato. Dopo circa cinque chilometri e mezzo ha trovato la base: è lì che è stato in questi giorni, dormendo tra i materassi dei dormitori per non sentire freddo e bevendo da un rubinetto che è riuscito a trovare. Ma non ha mangiato nulla: un bene, secondo alcuni, perché molte delle erbe e delle radici nella zona sono velenose. In ogni caso il bimbo sta bene. Lo hanno visitato i medici dell’ospedale di Hakodate e, a parte qualche graffio e un po’ di disidratazione, l’hanno trovato in forma e incredibilmente di buon umore. «Sono pieno di gratitudine», ha commentato il padre alle telecamere della Nhk, la televisione nazionale. «Non mi sarei mai potuto immaginare uno sviluppo simile della situazione. L’ho fatto per il suo bene, ma evidentemente ho esagerato». Il caso è stato al centro del dibattito pubblico tutta la settimana. E la famiglia è stata oggetto di critiche feroci. La reazione più bella è stata quella dei suoi compagni di scuola. Alla notizia che il piccolo Yamato era stato ritrovato sono esplosi in applausi e grida di gioia. Resta solo da vedere se i genitori saranno accusati di abbandono di minore. *** GIULIA POMPILI, IL GIORNALE 4/6 – «Ho fatto soffrire Yamato per il mio comportamento eccessivo. Ho causato problemi a molte persone. Mi scuso profondamente». Sono state queste le prime parole del padre di Yamato Tanooka, qualche ora dopo il ritrovamento del figlio. Negli ultimi sei giorni la stampa internazionale ha avuto solo una domanda: come possono due genitori lasciare un bambino di sette anni da solo nel bosco, anche per soli cinque minuti? È giusto che una punizione sia così esemplare da finire col mettere a rischio la vita di un bambino? Alcuni commentatori hanno cercato una risposta nella disciplina giapponese, nella cultura di un Paese dove a sette anni i bambini sono considerati già abbastanza indipendenti per andare e tornare da scuola da soli, dove il rispetto delle regole dell’etichetta e l’impegno nello studio sono considerate le condizioni necessarie per crescere i figli. In un qualunque Paese occidentale, i genitori di Yamato oggi sarebbero indagati per abbandono di minore. In Giappone hanno dovuto subire il public shame. Perché il Paese del Sol Levante non è più quello di trent’anni fa. Il retaggio della tradizione esiste ancora, eppure da qualche anno il taibatsu, la punizione corporale come metodo d’insegnamento nelle scuole e nello sport, è unanimemente condannato. Sui siti di news giapponesi, negli ultimi giorni, sono fioccate le teorie su un possibile infanticidio, magari per mano della sorella più piccola di Yamato, ma l’opinione pubblica nipponica è stata dura con i genitori del ragazzino. C’è un altro aspetto, però, che è stato messo poco in luce di questa vicenda. Yamato, un nome che in Giappone è significativo, perché riguarda i miti ancestrali e la vita di Yamato Takeru, il più antico eroe giapponese, è sopravvissuto sei giorni aspettando pazientemente in un bivacco dell’esercito. Ha bevuto l’acqua, si è coperto dal freddo, come ha imparato durante le esercitazioni in caso di catastrofi naturali. Sopravvivere alla natura. Anche questo fa parte della disciplina nipponica, dell’educazione dei bambini giapponesi: si chiama resilienza. *** GUIDO SANTEVECCHI, CORRIERE.IT 3/6 –  Dopo una settimana le squadre di soccorso avevano perso la speranza di trovare vivo Yamato Tanooka, il bambino di 7 anni scomparso durante una gita tra i monti dell’isola di Hokkaido. Invece venerdì mattina il piccolo è ricomparso in un hangar usato dall’esercito giapponese per esercitazioni. Tanooka era sfinito ed è stato portato subito in ospedale, ma apparentemente non è ferito in modo grave. La sua avventura era cominciata sabato scorso, quando i genitori avevano dato l’allarme dicendo che il bambino si era perso mentre giocava tra gli alberi della foresta. Poche ore dopo però i genitori avevano ammesso di averlo fatto scendere dall’auto perché Tanooka si comportava male e lanciava sassi contro altri turisti e le loro auto. «Lo abbiamo lasciato solo per pochi minuti, dopo aver percorso 500 metri siamo tornati indietro ma lui non c’era più». Nella zona di montagna ci sono orsi e si è temuto che il bambino fosse stato sbranato. Nelle ricerche sono stati impegnati 200 militari e agenti di polizia che ormai avevano perso le speranze di trovarlo vivo. Molti soccorritori erano stati richiamati. Invece Yamato Tanooka è riuscito da solo a scalare una montagna alta 1000 metri e rifugiarsi in un hangar a circa 4 chilometri dal luogo dove era stato abbandonato e venerdì mattina è stato trovato da un militare. «Era lì, vestito con la maglietta nera i calzoncini blu e le scarpe da ginnastica rosse della segnalazione e si è identificato da solo», ha detto il soldato. «Mi ha detto che era affamato e gli ho dato la mia razione: pane, palline di riso e acqua». I soccorritori radunati intorno lo hanno applaudito per l’impresa. La televisione e la radio giapponese hanno seguito la vicenda per giorni, con aggiornamenti continui e sempre più pessimisti. Sembrava impossibile che un bambino di 7 anni potesse sopravvivere per quasi una settimana in quell’ambiente ostile dove la temperatura di notte scende a 6 gradi e in questi giorni ha piovuto molto. I genitori si sono scusati per aver causato la situazione che ha tenuto in ansia il Giappone, ma ora potrebbero essere denunciati per negligenza e abbandono. *** GIAMPAOLO VISETTI, LA REPUBBLICA 4/6 –  Il «piccolo samurai» ha compiuto una magia, i giapponesi ancora non riescono a crederci e la straordinaria storia di Yamato Tanooka fa il giro del mondo e ci commuove. Dopo un incubo lungo sei giorni il bambino di 7 anni abbandonato nel bosco dai genitori «per castigo », è stato ritrovato vivo e «in buon condizioni». È fuggito nei boschi del monte Kamagatake, nella parte meridionale dell’isola di Hokkaido, ha vagato nelle foreste popolate dagli orsi e ha infine trovato rifugio in una baracca in lamiera usata dalle Forze di autodifesa nipponiche per esercitazioni militari. Solo, con addosso una felpa e un paio di pantaloni corti, in scarpe da ginnastica, senza acqua né cibo, si è salvato grazie alla sua forza d’animo e a una fontana esterna al riparo. Ha potuto bere, evitando la disidratazione che gli sarebbe stata fatale, si è protetto dalla pioggia e per quasi una settimana ha retto la solitudine, la fame e temperature di poco al di sopra dello zero, come fosse addestrato per situazioni estreme. L’incredibile lieto fine non ha però placato le polemiche nazionali contro «l’educazione kamikaze », che impone ai genitori giapponesi di allevare i figli come «piccoli soldati da cui pretendere cieca obbedienza e un sacrificio eroico». Migliaia le richieste di processare i genitori del bambino per «negligenza» e di costringerli a pagare le spese per le ricerche, che hanno impegnato 200 uomini, cani ed elicotteri. La svolta ieri mattina poco prima delle 8 locali. Un soldato ha aperto la porta della baracca per prepararsi a un altro giorno di perlustrazioni e ha scorto un bambino che dormiva, buttato sopra un materasso. «Gli ho chiesto se fosse Yamato Tanooka – ha raccontato davanti alle tivù che hanno interrotto i programmi con lunghe dirette – e lui mi ha risposto di sì e che aveva fame. Gli ho offerto pane e polpette di riso». Il luogo del ritrovamento, tra le abetaie del comune di Shikabe, dista quasi sette chilometri dal punto in cui sabato scorso il bambino per punizione era stato costretto a scendere dall’auto su cui viaggiava con i genitori, reduce da una visita in un parco naturale. Il padre Takayuki, di 44 anni, voleva castigare il figlio che aveva tirato sassi contro le auto ferme in un parcheggio. L’intenzione era quella di abbandonarlo alcuni minuti e fingere di andare via senza di lui «per spaventarlo e dargli una lezione». Quando la famiglia era tornata a riprenderlo però, Yamato Tanooka non c’era più. Sparito nel nulla. Padre, madre e sorella lo avevano cercato per oltre due ore, prima di dare l’allarme quando già era buio. La versione iniziale era stata che il bambino si era perso mentre raccoglieva erbe selvatiche. Il padre aveva infine confessato l’agghiacciante verità dell’abbandono, spiegando di non averla ammessa subito «per vergogna e per paura». Ieri il «piccolo samurai», trasportato in elicottero all’ospedale per accertamenti, ha raccontato di essere fuggito e di essersi inizialmente nascosto «per vendetta» contro i genitori. «Mi sono infilato in un buco – ha detto – così che anche i miei capissero cos’è il terrore. Poi ho temuto un altro castigo ». Ha quindi marciato per ore nel bosco, mosso dall’incubo di finire sbranato da un orso, fino a trovare la baracca che l’ha salvato. «Non mi sono più mosso – ha detto ai soccorritori – perché avevo paura, freddo e fame. Mi ha tenuto vivo l’idea che se i miei mi avessero realmente voluto bene, prima o poi mi avrebbero trovato». Il padre, in lacrime davanti alle telecamere, si è scusato con il figlio e con la nazione. «Il mio gesto eccessivo – ha detto – ha fatto soffrire Yamato, a cui ho dato e sempre darò il massimo dell’amore. Mi scuso profondamente con lui, con i maestri e con i compagni della sua scuola, con i soccorritori e con tutti coloro a cui ha causato problemi». Per i medici il bambino, ripreso sorridente mentre fa il segno della vittoria con le dita, sta bene. Il Giappone più nazionalista ha festeggiato «un vero samurai che ha saputo superare con coraggio le difficoltà, come in una guerra». L’altra metà chiede invece di processare «i genitori inadeguati che quotidianamente infliggono ai figli punizioni sproporzionate e umilianti, sottoponendoli a veri e propri abusi». Alla sorella il piccolo Yamato ieri sera ha detto che nel bosco «è stato terribile ma bellissimo, perché sono diventato grande». *** RENATA PISU, LA REPUBBLICA 4/6 – Il piccolo disperso è stato ritrovato dopo sei giorni. Tutto è bene quel che finisce bene e il fatto che la vicenda del bambino smarrito nella foresta dell’isola settentrionale di Hokkaido infestata dagli orsi abbia provocato in tutto il paese un’accesa discussione sulla liceità di mezzi di punizione eccessivi-Scendi dalla macchina! Sparisci! - è di certo un risvolto positivo della vicenda. In Giappone si tende ancora, assai spesso, a considerare i bambini come proprietà della famiglia, non come soggetti di diritti , anche se forse non c’è paese al mondo in cui siano più viziati e coccolati, almeno fino a quando raggiungono l’età in cui li si obbliga a comportarsi da veri uomini, che è intorno ai sette anni, tanti ne ha appena compiuti Yamato Tanooka, l’eroe di questa storia. Anche se bisognerebbe ricordare che all’infanzia da noi, in Occidente, sono stati da poco riconosciuti propri diritti. Cosa erano una volta i bambini? Piccoli esseri dall’esistenza incerta dei quali si poteva disporre a piacimento, come nella favola di Pollicino, abbandonato assieme ai fratellini nella foresta, infestata dagli orchi, non dagli orsi, che però riesce a sopravvivere perché è ingegnoso, furbo, coraggioso. Proprio come Yamato, smarritosi per una punizione, non come Pollicino per la disperazione dei suoi genitori costretti a tanto dalla fame. Eppure di favole tanto crudeli e realistiche, permane il ricordo come un’ombra funesta nella psiche collettiva. In quella giapponese sono vivi però anche altri ricordi, risalenti a un’epoca più recente, quella della Seconda guerra mondiale, quando il paese si arrese ma rimasero sperduti in terre lontane, nelle giungle dell’Indocina, del Borneo, delle Filippine, soldati solitari decisi a continuare la lotta. E in molti sopravvissero addirittura per anni. Così è notevole come nei commenti della stampa nipponica il bambino Yamato, sia stato lodato come un esempio di resistenza alle avversità, sette giorni al freddo, con niente da mangiare, appena qualche graffio sulle gambe, la forza della volontà, una tempra d’acciaio, la resilienza come valore massimo… Elogi che ne hanno fatto l’eroe di una favola, ogni paese ha le sue, antiche o moderne, oscurando in parte le critiche ai genitori. **** IL POST 3/6 – Yamato Tanooka, il bambino giapponese di 7 anni scomparso una settimana fa in un bosco, è stato trovato vivo alle 7:50 di questa mattina (le 00:50 in Italia) a circa 5 chilometri di distanza dal punto in cui i genitori lo avevano abbandonato brevemente perché si era comportato male. Stando ai media giapponesi, Tanooka sta bene: è tranquillo e ha solo qualche graffio. È stato trovato dal personale dell’esercito in un edificio utilizzato per le esercitazioni nei pressi della città di Shikabe, sull’isola di Hokkaido. Si è già ricongiunto con i genitori e suo padre ha chiesto nuovamente scusa per averlo lasciato solo. Sabato scorso la famiglia Tanooka aveva organizzato una gita per raccogliere alcune piante commestibili in un bosco nei pressi di Nanae. Inizialmente avevano detto alla polizia che il bambino era scomparso mentre stavano facendo la loro escursione, poi avevano raccontato la verità. Nel pomeriggio, Tanooka si era comportato male: aveva lanciato pietre contro altri escursioni e le loro automobili, e non aveva smesso nonostante i rimproveri. Al termine della gita, mentre stavano lasciando il bosco in automobile, i genitori si erano fermati e avevano fatto scendere Tanooka dall’auto, ripartendo senza di lui e allontanandosi di 500 metri circa. L’idea era fargli credere di averlo abbandonato per spaventarlo e dargli una lezione. Circa cinque minuti dopo il padre era tornato, convinto di trovare suo figlio ancora sulla strada, ma Tanooka era scomparso e da allora non si erano avute più sue notizie. Per una settimana circa 200 persone tra agenti di polizia, vigili del fuoco e volontari hanno perlustrato il bosco alla ricerca di Tanooka. L’area è disabitata e montuosa, e viene spesso segnalata la presenza di orsi agli escursionisti. Nei giorni passati la temperatura è scesa fino a 7 °C di notte, cosa che aveva portato a qualche preoccupazione per la sopravvivenza del bambino, che al momento della scomparsa indossava maglietta e jeans, senza altri abiti per ripararsi. Yamato Tanooka è stato trovato da un soldato durante un’esercitazione in un’area militare nei pressi di Shikabe, a 5 chilometri in linea d’aria da dove era stato lasciato e a circa 7 chilometri di cammino. Tanooka non era particolarmente spaventato, ha detto come si chiamava e di essere affamato: il soldato gli ha offerto riso e pane. Il bambino ha detto di avere camminato a lungo il giorno in cui era stato lasciato solo e di avere trovato infine riparo nella baracca dell’esercito, trovando alcuni materassi e, subito all’esterno, un rubinetto per l’acqua. Non è ancora chiaro quando Tanooka sia arrivato alla baracca, secondo alcuni media giapponesi si sarebbe rifugiato al suo interno già nella notte di sabato scorso. Il bambino è stato trasportato in elicottero in ospedale, dove si è ricongiunto con i genitori. Il padre, Takayuki Tanooka, ha detto che la prima cosa che ha fatto “è stata scusarmi con lui per avergli causato un ricordo così orribile, gli ho detto che mi dispiaceva e lui ha annuito e ha detto OK”. Ha poi ammesso di avere superato il limite quando ha deciso di abbandonare brevemente il figlio: “Lo abbiamo cresciuto in una famiglia amorevole, ma d’ora in poi faremo ancora di più per amarlo e tenerlo vicino mentre cresce. Il nostro comportamento da genitori è andato oltre, ed è qualcosa di cui mi pento molto. Pensavo di stare facendo la cosa giusta per il suo bene, ma mi rendo conto di essere andato oltre”. *** MICHELANGELO COCCO, IL MESSAGGERO 4/6 –  Dopo sei giorni che hanno visto mobilitati centinaia di poliziotti, vigili del fuoco e soldati delle forze di autodifesa giapponesi, quando oramai le ricerche erano state rallentate, perché si era affievolita la speranza di trovarlo ancora vivo, il piccolo Yamato, solo 7 anni, è riemerso da una pila di materassini in una baracca militare nel paesino di Shikabe (nell’isola di Hokkaido), a cinque chilometri dal bosco dove era stato abbandonato dai genitori che intendevano impartirgli una lezione esemplare.«Sei Yamato?», gli ha chiesto ieri mattina un militare che si stava preparando per un’esercitazione e l’ha rinvenuto per caso. «Sì, e ho fame» ha risposto il bambino a cui, prima dell’arrivo dell’elicottero che l’ha portato in ospedale, sono state date subito una bevanda e palle di riso. «Non avevo da mangiare, ho bevuto soltanto acqua»: così Yamato Tanooka, ha raccontato preoccupato ai soccorritori la sua disavventura. Yamato se l’è miracolosamente cavata con un’ipotermia, una leggera disidratazione e qualche graffio. Se non si fosse rifugiato nell’accampamento, avrebbe potuto essere ucciso dagli orsi bruni che popolano il bosco di Nanae o dal freddo. PRIMA VERSIONE Il padre e la madre in un primo tempo avevano dichiarato di averlo smarrito, poi la confessione: l’abbiamo lasciato lì per castigo, perché lanciava pietre contro macchine e passanti. È nel nosocomio di Hakodate che Yamato ha rivisto papà Takayuki, 44 anni. Davanti alle telecamere il genitore ha infine chiesto scusa al figlio e al popolo giapponese e ha ammesso di essersi spinto «troppo oltre» nella sua punizione. La vicenda che ha tenuto per sei giorni col fiato sospeso i giapponesi che l’hanno seguita su internet, in tv e alla radio si è dunque conclusa con un lieto fine. TROPPA DUREZZA La disavventura di Yamato (nome che, nell’antichità, identificava il Giappone) ha però riacceso il dibattito sull’educazione troppo rigida che spesso viene impartita ai bambini nel paese asiatico. Il Japan Times, tra le altre, ha raccolto la testimonianza di una coppia con un figlio di quattro mesi che ha dichiarato che «vunque in strada puoi vedere genitori che minacciano i figli di abbandonarli se non smettono di piangere». Ryoichi Yamano, docente di servizi sociali per l’infanzia presso l’Università di Nayoro (Hokkaido) ha spiegato al quotidiano nipponico che il caso di Yamato fornisce l’opportunità di mettere in discussione metodi educativi da tempo dati per scontati. Ancora oggi, non è raro che i genitori caccino di casa i figli e li lascino fuori la porta, punendoli così per qualche marachella, ha aggiunto Yamano.Il professore sottolinea comunque come un atteggiamento del genere assuma un peso diverso, rispetto all’Occidente, in Giappone, dove non è raro che bambini di quattro, cinque o sei anni restino soli a casa, anche perché il Giappone è un paese sicuro e lasciare da solo un bambino non significa automaticamente esporlo a rischi». Ma adesso c’è da chiedersi qual è il vero confine tra disciplina e violenza? I casi di abusi su minori tra cui quelli commessi dai genitori sono in costante aumento in Giappone negli ultimi anni, da quando hanno iniziato a essere registrati. E, spesso sottolineano gli esperti - complici delle violenze sono la povertà e il disagio sociale più che i valori tradizionali. Michelangelo Cocco *** MASSIMO GRAMELLINI, LA STAMPA 31/5 –  C’era una volta un piccolo teppista che tirava sassi contro le auto in sosta. I suoi genitori lo portarono in macchina nel cuore del bosco e, dopo averlo fatto scendere, andarono via. Ma quando tornarono a prenderlo, il figlio di sette anni non c’era più. È successo in Giappone, più difficile immaginarlo in un Paese mediterraneo, dove un genitore moderno avrebbe difeso la creatura dalle vittime della sassaiola («quante storie, è solo un bambino») e spiegato al sangue del suo sangue che i sassi vanno tirati senza farsi beccare. Eppure fra i due estremi è ancora preferibile il nostro. Persino nella favola più crudele di tutti i tempi, Hänsel e Gretel vengono abbandonati nel bosco a causa della carestia che impedisce al padre di sfamarli. Mentre Yamato Tanooka è scomparso da tre giorni in una foresta frequentata dagli orsi per effetto di una punizione sproporzionata. Ogni punizione inferta a qualcuno, e in particolare a un bambino, comporta una perdita di umanità. La si sacrifica in nome di qualche valore che si ritiene preminente in quella circostanza: l’educazione alla disciplina, la formazione del carattere, il rispetto delle regole. Ma esiste un limite insuperabile: la punizione non può mettere in pericolo il punito. Il senso profondo dell’essere genitori è la protezione dei figli. Se li metti in pericolo, non sei un genitore. Sei un fanatico. E magari questo spiega anche perché tuo figlio tira sassi alle auto. In una favola Yamato verrebbe adottato da una famiglia di orsi. Nella realtà ci auguriamo che ritrovi la strada di casa. E genitori più umani. Massimo Gramellini, La Stampa 31/5/2016 *** ARIANNA GIORGIA BONAZZI, RIVISTASTUDIO.COM 3/6 – Un bambino cade nella gabbia del gorilla allo zoo di Cincinnati e, come un Mowgli moderno, ripreso e condiviso da decine di telefonini, viene strattonato o bruscamente coccolato dal gorilla, pochi istanti prima che i suoi distratti genitori e i guardiani dello zoo decidano di abbattere il nuovo amico di Mowgli, per riportare il bambino selvaggio nella civiltà. Nello stesso momento, il formativo abbandono nel bosco di un indisciplinato bambino giapponese si trasforma in una raggelante sparizione di una settimana in mezzo agli orsi, ma non quelli di Masha e Orso, piuttosto quelli di Brave. Secondo lo psicanalista Bruno Bettelheim, autore de Il mondo incantato, il bambino ha bisogno di fiabe per superare le difficoltà della vita. La fiaba, infatti, con la sua visione magica del mondo e le sue figure archetipiche portatrici di angosce e desideri, incarna perfettamente le contraddizioni interne al bambino, e lo aiuta a esorcizzare gli incubi e a superare le crisi esistenziali. Sì, ma quando fiabe, invece di limitarsi a titillare l’inconscio e a rappresentare le paure più illogiche, si trasformano in realtà? I quattro genitori che hanno fatto vivere ai loro figli questa doppia fiaba tragica, dove nessuno visse felice e contento, sono stati subito messi alla gogna virtuale, gli uni dal mondo intero, per la loro mostruosa intransigenza, gli altri dagli animalisti, per la loro colpevole svagatezza. Mi sono chiesta, assurdamente, se per esempio i genitori del bimbo americano lo avessero abbandonato più spesso nel bosco, anche solo per due minuti, forse lui sarebbe stato più timoroso di arrampicarsi sulla gabbia? Avrebbe pensato “se non faccio il bravo, mi ci buttano mamma e papà nella gabbia, e direttamente in quella del leone”? I genitori americani hanno risposto con superficialità che a tutti capita di distrarsi, che gli incidenti semplicemente accadono, mentre il papà giapponese anaffettivo si è detto “dispiaciuto” (dispiaciuto, mi auguro sia un errore di traduzione!) per il figlio e per aver causato danni alla comunità, ma soprattutto per la comunità: dopo tutto, il figlio era uno che tirava i sassi alle auto durante le gite! Quando poi, infine, il bambino è stato ritrovato, ha detto: «Mi scuso profondamente con le persone della sua scuola, con le persone delle operazioni di ricerca, e con tutti quanti per aver creato problemi». Questi genitori di bambini troppo vivaci, arbitrariamente uniti nel destino da una congiunzione temporale, sono stati pubblicamente attaccati dall’opinione pubblica per motivi opposti: per non aver sorvegliato abbastanza, e quindi aver lasciato cadere un figlio iperattivo nella gabbia, e per aver punito troppo. Vedendo i nove mila commenti al post di lutto per il gorilla dello zoo di Cincinnati, sembra quasi che avremmo preferito, tra i due, i genitori di Yamato. Genitori che dicessero: siamo dispiaciuti di aver causato tanto trambusto allo zoo, lasciatelo pure lì, così impara a arrampicarsi. E intanto, Yamato, senza cibo e acqua, per quasi una settimana, di sicuro non ha imparato i segreti della foresta di Hokkaido con l’orso Baloo… Due storie diametralmente opposte, una di genitori orribilmente leggeri, che fanno uccidere una bestia per salvare il bambino che avevano trascurato, l’altra di genitori orribilmente severi, che lasciano un bambino in preda alle belve perché gli aveva fatto fare brutta figura con degli escursionisti. Noi condanniamo i genitori, tutti e indistintamente. Forse perché non ci è mai capitato. Di certo, perché nelle favole vincono i bambini e gli animali, e poi serve un cattivo. Noi siamo indignati, ma non vogliamo scegliere tra il bambino e il gorilla, così come, spesso, non sappiamo scegliere tra punire e non punire. A tal proposito, Bettelheim disse che l’educazione si instilla e non si impone, e che la punizione insegna al bambino solo che chi ha potere può far fare al debole quello che vuole. In questo caso, i deboli sono Yamato, il bimbo giapponese, e Harambe, il gorilla buono. Quello che ci vuole, di fronte a questa cupa fiaba fattasi realtà, è un po’ più di rispettoso stupore, e un po’ meno giudizio. Siamo lì, per un attimo, nel fossato, nei panni di una bestia di fronte a un cucciolo umano piovuto dal cielo; o, nel bosco, siamo orsi che vedono un bambino tremante che cammina nella notte. Siamo bambini che hanno appena visto i fari dell’auto allontanarsi, e forse lasciano il sentiero alla ricerca di un albero cavo, come nelle fiabe, o magari di una creatura fatata nata da una canna di bambù… Ma siamo anche i genitori che guardano il bambino nello stagno dello zoo, forse con qualche osso rotto, mentre il gorilla lo ispeziona e il pubblico dello zoo urla e fa i video. Siamo il papà di Hansel e Gretel, quando si pente e decide di tornare a cercarli nel bosco, ma è troppo tardi, loro sono già nella gabbia della strega. Siamo intrappolati nel dominio dell’illogico, solo che non basterà una rima barocca a salvarci, né arriverà un folletto a portarci un oggetto magico, che non sia un guardiano dello zoo col fucile carico. Come ci muoviamo sbaglieremo, e ci troveremo di fronte all’inaccettabile finale del Cappuccetto Rosso di Perrault: ecco cosa succede ai bambini incauti. Solo che i bambini incauti non hanno colpa. La colpa è tutta nostra. E forse siamo proprio noi, noi adulti, ad avere quel bisogno di fiabe che Bettelheim attribuiva all’infanzia. Ecco perché queste storie grottesche di bambini smarriti e animali quasi-parlanti ci toccano così nel profondo, e continuano a scavare dolorosamente dentro alla nostra immaginazione, ad attrarci fatalmente.