
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Da ieri, 59° Festival di Sanremo, con Bonolis, Benigni e tutto il resto.
• Già, com’è andata? Valevano la montagna di soldi che si sono presi?
Non faccia il demagogo. Bonolis ha preso lo stesso milione di euro che hanno avuto i suoi predecessori e Benigni, alla fine, dovrebbe essere costato 350 mila euro, anche se non è ancora chiara la questione dei diritti. Lei sa che non ha preso soldi cash, ma ha incassato invece il diritto di rivendersi un certo numero di apparizioni televisive sul mercato. Ha fatto un affare lui o lo ha fatto la Rai? difficile da dire. La Rai ha l’aria d’aver molto badato a risparmiare. Domenica non hanno neanche fatto le prove.
• Mi dica prima di tutto di Bonolis. In forma o no?
Misurato, molto misurato. Un poco roco. Ha fatto il verso a Sordi – che è la sua ossessione – con parsimonia. Ha spolverato la parlantina di cultura. Per due volte ha evocato l’«alacre formicolìo» del personale dietro la scena. Poi Pavese, le Termopili. Prima inquadratura: lui e la bambina Beatrice. Bonolis le racconta in una manciata di secondi la storia della musica, dal canto gregoriano «con la nascita delle note» (in realtà non proprio di tutte e sette, però) fino alle canzonette di oggi. un modo per introdurre il video di Mina, che canta il Nessun dorma di Puccini col Vincerò finale. Dopo cominciano le presentazioni classiche: Dolcenera (con certe ciglia lunghe da qui a lì), Fausto Leali, Tricarico, Marco Carta, Patty Pravo (la migliore fino a metà gara), Marco Masini («l’Italia c’ha rotto i coglioni», demagogico), Francesco Renga. Tutto per bene, tutto in ordine, nessun sussulto.
• E Laurenti?
Laurenti è uscito a un certo punto cantando come Frank Sinatra, o qualcosa del genere. Ovazioni e finto sdegno di Bonolis. Tutto sommato i due hanno fatto molto di meglio in passato. Inutile anche il collegamento con il presidente dell’Assemblea dell’Onu, un organismo che conta assai poco nel gioco politico internazionale. Ma la cifra del Festival, se non ho capito male, è quella di trasformarsi comunque in un evento e capisco che far vedere in diretta Miguel d’Escoto può fare impressione. Le risposte del presidente sono state comunque migliori delle domande di Bonolis, molto manierate. Manierato anche il pubblico, che alla parola Obama s’è messo ad applaudire. D’Escoto invece nella sua risposta ha almeno inserito qualche lieve elemento di critica allo stile di vita americano che ci ha condotto a questo punto e ha insinuato – sempre con molta prudenza – qualche dubbio sulle possibilità di Obama di risolvere la crisi. Sia detto per inciso: ieri le Borse sono state un disastro.
• Insomma il Festival è andato bene o no? Bonolis l’ha indovinata o no?
Francamente m’aspettavo di più. Le canzoni mi sono parse mediocri e quando a un certo punto s’è sentito l’assolo di clarinetto della Rapsodia in blu mi sono reso conto dell’abisso che ci separava dalla grande musica. Ma di questo non voglio parlare. Vale la pena invece occuparsi di Benigni. Preannunciato da Bonolis alle 22.10 («mi dicono che è arrivato Roberto Benigni…»), s’è poi presentato alle dieci e mezza, cioè in pratica a metà spettacolo e ha tenuto da solo la scena per più di venti minuti.
• Buono?
Ottimo. Mi pare tornato in gran forma, anche se lo sguardo non è più quello d’un tempo (ma ieri sera si notava meno). Una performance tutta giocata sulla dichiarata volontà di non nominare mai Berlusconi e sulla necessità invece di tirarlo fuori ad ogni momento. Per sbeffeggiarlo, naturalmente. Eppure, alla fin fine, in questo sfottò implacabile ho percepito una specie di ammirazione. Che gliene importa a Berlusconi della Sardegna? Lui vuole la Corsica, lui vuole Ajaccio dove stanno tutti i i suoi antenati. Napoleone distribuiva i reami ai suoi parenti? E lui ha sistemato il figlio del suo commercialista (cioè Cappellacci), il suo medico personale (Scapagnini), più o meno tutti i suoi avvocati e in anticamera c’è l’idraulico che aspetta il suo turno, si chiama Tubacci, oh Silvio quand’è che mi sistemi pure a me… «I have a dream» come dice Berlusconi quando passa davanti al Quirinale, «come vorrei essere napoletano» come dice Berlusconi quando passa davanti al Quirinale… La sinistra l’ha pizzicata poco o niente. Ma – ha spiegato – per una ragione molto semplice: «Non faccio a tempo a scrivere una battuta che mi cascano tutti quanti, prima Prodi, ora Veltroni». Alla fine, esaltando l’amore e denunciando l’assurdità delle discriminazioni omosessuali, Benigni ha recitato a memoria l’appassionata lettera che Oscar Wilde, condannato a due anni di lavori forzati per sodomia, scrisse «al suo ragazzo dal cuore degno di un Cristo». Pensi un po’, gli consigliava di venire a consolarsi in Italia. Mi chiedo: come ha fatto poi Povia a cantare la sua canzone sul gay che guarisce e diventa eterosessuale? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/2/2009]
(leggi)