Michael Auslin, Milano Finanza 18/2/2009, 18 febbraio 2009
Per uscire dalla crisi Obama non conti sulle formiche giapponesi Di Michael Auslin* In visita a Tokyo per il suo primo viaggio da Segretario di Stato, Hillary Clinton si sarà trovata davanti un paese immerso nella peggiore recessione degli ultimi cinquant’anni
Per uscire dalla crisi Obama non conti sulle formiche giapponesi Di Michael Auslin* In visita a Tokyo per il suo primo viaggio da Segretario di Stato, Hillary Clinton si sarà trovata davanti un paese immerso nella peggiore recessione degli ultimi cinquant’anni. La contrazione dell’economia del Giappone sembra non aver risparmiato nulla: le esportazioni sono colate a picco, la produzione industriale molto probabilmente precipiterà del 30% rispetto allo scorso anno e il governo prevede una riduzione del 12% del pil rispetto al 2008. Ebbene, il Giappone non solo è la seconda economia del mondo, ma è anche il maggiore detentore di titoli del Tesoro americano. Di recente molti economisti e studiosi degli Stati Uniti hanno ripensato al disastro bancario giapponese degli anni ’90, sperando di trarre qualche insegnamento utile alla soluzione dell’attuale crisi. Sarebbe meglio immaginare, invece, cosa potrebbe accadere se il Giappone dovesse entrare in una depressione generalizzata. Il crollo dell’economia giapponese si ripercuoterebbe sulle catene di approvvigionamento di tutto il mondo. Molti paesi si troverebbero a dover affrontare gravi dissesti, a cominciare dalla Cina che è attualmente il principale importatore del Giappone. Del resto, il rallentamento giapponese ha sta già sottoponendo le industrie cinesi a fortissima pressione. Solo la scorsa settimana Pechino ha reso noto che 20 milioni di migranti rurali hanno perso il posto di lavoro. Ma senza andare troppo lontano, il Giappone rischia di esaurire le eccedenze di cassa, per anni utilizzate nell’acquisto di titoli statunitensi. Per la prima volta in una generazione, Tokyo ormai da cinque mesi registra un disavanzo della bilancia commerciale. Una depressione giapponese avrebbe, inoltre, conseguenze politiche e sociali devastanti. Di fronte alla prospettiva dell’instabilità economica, molti altri paesi asiatici potrebbero sentirsi costretti a orientarsi verso un controllo più centralizzato – e autoritario – per cercare di limitare i danni. Gli accordi di libero scambio potrebbero essere annullati e le libertà politiche limitate. La sicurezza sociale del ceto medio emergente sarebbe messa a dura prova e le giovani democrazie potrebbero non riuscire a restare al potere. Sono a rischio i progressi compiuti sulla strada di una maggiore apertura e integrazione dell’Asia, con il pericolo di un aumento delle tensioni politiche, nelle regioni più militarizzate del mondo. Questo è lo scenario all’interno del quale il governo degli Stati Uniti si sta preparando a portare il debito pubblico a mille miliardi di dollari o più. Se Giappone e Cina dovessero interrompere gli abbondanti acquisti di titoli americani, gli Stati Uniti potrebbero non essere in grado di finanziare il pacchetto di stimoli all’economia, creando uno squarcio nello scafo dell’economia Usa. Finora la classe politica del Giappone non è riuscita a trovare una soluzione al problema. Al parlamento giapponese è in discussione un ulteriore pacchetto di stimoli per 53 miliardi di dollari e un buon terzo delle province del paese ha attivato misure d’emergenza di stabilizzazione economica. Ma i problemi più seri si sottraggono a soluzioni a breve termine. Attualmente in Giappone sono stati predisposti tagli alla spesa militare e ai servizi nazionali, ma la classe politica non è riuscita a trovare un accordo sui fondi da assegnare ai progetti di riforma. Non esiste una chiara strategia per tenere a freno lo yen, aprire il paese alla concorrenza internazionale e assumere il ruolo di guida economica asiatica, con l’obiettivo di promuovere la crescita e rafforzare le democrazie di mercato. Le cose non dovranno necessariamente andare così. Se il Giappone riuscirà a concepire una politica monetaria in grado di porre fine alla spirale deflativa espandendo con cautela l’offerta di moneta, se saprà riprendere le riforme strutturali e interrompere la salita dello yen, la crescita economica potrà riprendere. Il governo dovrà inoltre ignorare la potente lobby agricola nazionale e dedicarsi a un progetto efficace di libero scambio, che aiuterà sia il paese che il resto dell’Asia. La visita di Hillary Clinton non dovrà essere soltanto un evento propagandistico, ma dovrà dare vita a una chiara azione nippo-statunitense volta a ripristinare la fiducia e ripristinare un sistema internazionale robusto e aperto. Se non si metteranno in azione, Giappone e Stati Uniti finiranno insieme nel precipizio e trascineranno con sé il resto dell’Asia e del mondo. * resident scholar presso l’American Enterprise Institute