Antonella Scott, Il sole 24 ore 18/2/2009, 18 febbraio 2009
UCRAINA, LO SPETTRO DEL DEFAULT
Il cielo è grigio, e basso sopra Kiev, il freddo è umido. Gruppetti di uomini si aggirano tra i binari della stazione centrale, aspettano. Sperano in un impiego alla giornata, un cantiere, qualche soldo. Se gli rivolgi la parola, in un baleno sei circondato: credono tu abbia bisogno di loro. Ma tutto è fermo, ormai nessuno viene più a cercarli. Da qualche mese non c’è più lavoro, la crisi economica ha colpito duramente l’industria ucraina delle costruzioni.
Mikhail invece viene da Kozatyn, 160 km dalla capitale. Al villaggio non gli permettevano di ritirare i soldi dalla banca. Lui è anziano, deve far curare la moglie. Entra in una filiale di Nadra Bank, la settima del Paese, e si torce le mani: il locale è pieno di gente in attesa, preoccupata come lui. Spiegano che è consentito prelevare solo dopo aver effettuato un versamento. Fuori, un signore se la prende con il bancomat che sentenzia: fuori servizio. Il giorno dopo i giornali daranno la notizia che il Governo ucraino ha posto Nadra Bank in amministrazione controllata.
«A marzo ci sarà una grande mobilitazione», assicura Larisa, 20 anni, studentessa tra i manifestanti che sulla Piazza dell’Indipendenza sperano di risollevare l’Ucraina come cinque anni fa, come nei giorni della Rivoluzione Arancione che dopo aver promesso democrazia, onestà e buon governo ha tradito se stessa, e il Paese. E ora che la crisi economica chiude le fabbriche e divora i risparmi, lentamente la rabbia sale. Perché per l’Ucraina, più che per ogni altro Paese dell’Est Europa, viene evocato il rischio di default: ma l’impressione è che a spingere verso la bancarotta non siano solo le ragioni dell’economia. «Qui la politica è in guerra permanente», osserva Savik Shuster, protagonista di un talk show televisivo che ogni sera denuncia la deriva dell’economia in un Paese dove, nel frattempo, presidente e primo ministro passano il tempo a scambiarsi accuse. «Una lotta assurda», aggiunge Vasyl Yurchyshyn, direttore per i Programmi economici del Centro studi Razumkov: «Come posso dirlo con parole civili? Se il potere rivolgesse anche solo un’attenzione parziale all’economia, la crisi non sarebbe così acuta».
La crisi è nata con il crollo dei prezzi dell’acciaio, tallone d’Achille dell’Ucraina. L’acciaio qui è ciò che petrolio e gas rappresentano per la Russia, caposaldo del Pil, 39,9% dei profitti garantiti dall’export. «La nostra economia è troppo aperta - spiega l’economista Oleksandr Zholud, del Centro internazionale di studi politici - l’export pesa più del 50% del Pil, e non è molto differenziato». In più, diversamente dai russi, gli ucraini non hanno un’Opec che cerca di frenare il calo dei prezzi. E diversamente dai russi, non hanno approfittato degli anni d’oro del boom delle materie prime - qualcuno aveva parlato addirittura di una "tigre ucraina" - per costituire un fondo di riserva. Al contrario, hanno spalancato le porte al credito.
«La gente era come drogata dal lungo periodo di crescita», dice Sergio Omelich, direttore dell’Italian Trade House, importatore di generi alimentari e tessuti. Il Pil cresceva in media del 7% annuo, i mercati attiravano capitali stranieri, le banche occidentali offrivano finanziamenti in valuta a tassi di interesse vantaggiosi: «Si facevano prestiti anche per acquistare un telefonino - scuote la testa Vadim Karasev, direttore dell’Istituto di strategie globali - una vita a suon di debiti. Tutti volevano stare come in Germania, con la differenza che lì la produzione funziona».
Il grande cambiamento sarebbe dovuto venire nel 2005, quando Viktor Yushchenko, eroe della Rivoluzione Arancione accanto a Yulia Tymoshenko, venne eletto presidente con la promessa che gli anni dell’inerzia e della corruzione del suo predecessore, Leonid Kuchma, non sarebbero tornati più. Ora anche i collaboratori più vicini al presidente faticano a capire perché Yushchenko, invece di realizzare le riforme e modernizzare l’industria, abbia trascorso gli anni della crescita economica allontanandosi dalla realtà e dagli elettori, accanendosi in una lotta all’ultimo sangue contro l’alleata di un tempo, Yulia, che ora è primo ministro e, paradossalmente, partner del presidente in una coalizione surreale.
«Qui la burocrazia si estende come una piovra - spiega Savik Shuster - aprire un’impresa è difficilissimo, la terra non è mai stata privatizzata. Negli anni del benessere gli oligarchi del settore metallurgico non hanno investito niente, spendevano solo per comprarsi gli yacht: e l’economia è rimasta inefficiente a livelli sovietici».
Sfortunata Ucraina: proprio nel momento in cui il calo dei prezzi mondiali delle materie prime condanna l’economia, il prezzo interno del gas - al termine del lungo braccio di ferro di gennaio con la Russia - è raddoppiato. Un colpo durissimo per l’industria che deve far fronte al crollo della domanda, e che si avvia a una recessione che il Governo si ostina a negare, ma che in gennaio potrebbe trascinare il Pil - secondo Valerij Lytvytsky, primo consigliere della Banca centrale - a un calo del 20 per cento. I dati sulla produzione industriale di gennaio, pubblicati ieri, sono i peggiori registrati in Europa, -34,1% su base annua. Per l’acciaio e l’industria chimica, il calo è del 50 per cento.
Il conto lo paga la valuta nazionale, la hryvnia: alla fine dell’anno scorso aveva perso metà del proprio valore. Chi aveva contratto prestiti in valuta si sente ora schiacciare dal peso del rimborso, e questo nel momento in cui migliaia di persone perdono il lavoro, o vengono costrette ad accettare ferie non pagate. Il potere d’acquisto si sbriciola: «Quello che ci ha colpito è la repentinità con cui è sparito il mercato del credito al consumo», spiegano Eliano Lodesani e Silvio Pedrazzi, rispettivamente responsabile di Intesa Sanpaolo per la Comunità di Stati indipendenti (Csi) e presidente del Supervisory Board di Pravex Bank, di Banca Intesa.
Nella settimana peggiore per la hryvnia, l’autunno scorso, la Banca centrale ha calcolato che in pochi giorni la gente ha ritirato depositi per 3 miliardi di dollari, il 4% del totale. La tempesta arrivava al settore bancario, alcuni istituti congelavano i conti: come Nadra Bank, altre sei banche sono finite in amministrazione controllata.
«Quando si parla di default bisogna chiarire a cosa ci riferiamo - dice il professor Yurchyshyn - il debito pubblico non rappresenta un rischio». Su questo gli analisti sono tutti d’accordo: il debito estero dello Stato ucraino non è altissimo, 15 miliardi di dollari di cui due in scadenza quest’anno. Le riserve della Banca centrale, se pure in calo, sono di 28 miliardi di dollari. Però la mina che potrebbe esplodere è il debito privato, 85 miliardi. « qui che potremmo assistere a dei default», ammette l’economista Zholud, è qui che si concretizza il rischio delle banche straniere più esposte in Ucraina: il Governo non ha grandi margini per intervenire.
«Anche questa, del resto, è una crisi artificiale», sospira Andrej Kourkov, scrittore e sceneggiatore: nei suoi libri molti ritrovano lo spirito di Bulgakov. Quello che racconta sembra davvero un mondo surreale come quello del Maestro e Margherita: «Hanno creato banche solo per venderle agli stranieri, le mandano in bancarotta per ridistribuire le proprietà tra gli oligarchi amici del premier o del presidente». Quando alla fine dell’anno scorso il Fondo monetario internazionale rilasciò all’Ucraina la prima tranche di un prestito di 16,5 miliardi di dollari, le condizioni erano mantenere il bilancio in pareggio e sostenere solo le banche più grandi. Invece i soldi, dice Kourkov, sono finiti nelle mani di banche vicine a Yushchenko e alla Banca centrale. Domenica scorsa l’Fmi avrebbe dovuto annunciare il rilascio della seconda tranche del prestito: ma quella data è passata in silenzio.