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 2009  febbraio 18 Mercoledì calendario

AMANDA IN AULA RIDE, SCHERZA, SFILA E POI DICE CHE ERA AMICA DI MEZ


Entra in aula come potrebbe entrare a teatro per una prima, sorridente, disinvolta, curiosa di vedere chi c’è, indifferente ai flash dei fotografi, rilassata. Si siede composta in attesa che lo spettacolo cominci e i suoi begli occhi indecifrabili non lasciano intravedere nessun imbarazzo. Colpevole o innocente che sia, ogni apparizione di questa americanina è abbastanza irritante. Qualcuno dovrebbe spiegare ad Amanda che in un processo per un delitto orrendo, come quello di cui lei è comunque protagonista, non c’è niente da ridere. Si sta cercando l’assassino della sua migliore amica.

E cosa dire della sua ultima apparizione in tribunale il giorno di San Valentino con addosso una maglietta bianca dalle grosse scritte rosse che rievocavano il titolo di una famosa canzone dei Beatles, All you need is love, più adatta a una discoteca che a un luogo dove si dibatte di un omicidio? Ma era un regalo di papà, che certo voleva riportarla con la mente ai tempi felici, ma forse se le avesse passato un biglietto con qualche pensierino per la sera, sul quale meditare, sarebbe stato meglio.

Ci stiamo dimenticando infatti che dall’altra parte c’è una famiglia distrutta dal dolore per aver perso una figlia giovanissima, nel modo più brutale e imbarazzante che si possa immaginare, perché infatti pare che di un delitto a sfondo sessuale e di gruppo, si sia trattato. Ma aspettiamo, come è giusto la sentenza, resta però il fatto che dai protagonisti di questa storia ci si aspetterebbe una maggiore serietà. vero anche che, dopo tanti sorrisi, ammiccamenti in aula col fidanzato, l’apparente indifferenza per ciò che la circonda, Amanda quando lascia il tribunale versa in pubblico qualche lacrima, chiedendosi ”ma perché ce l’hanno tutti con me?”. Mi chiedo se è ingenua fino a questo punto, se è furbacchiona più di quanto si creda, se recita la parte della tontolona che potrebbe servirle, qualora fosse condannata, per avere delle attenuanti, in quanto ”non sapeva quello che faceva”.

 stato così anche quando, all’inizio di questa squallida storia, lei ha subito incolpato un amico di colore, indifferente del guaio in cui lo cacciava e risultato poi totalmente innocente? Anche in quella occasione Amanda non sapeva quello che faceva? Una cosa è certa, siamo di fronte a un personaggio difficile da decifrare, piuttosto inquietante, di cui si è detto tutto e più di tutto, che beveva, si drogava, faceva sesso, ma questi sono fatti suoi e prove concrete di questo suo comportamento non ce ne sono, resta il fatto che in qualche modo Amanda rappresenta un certo tipo di giovani d’oggi insofferenti alle regole e alle restrizioni.

Il problema dei ragazzi che vanno a studiare all’estero è proprio quello di trovarsi improvvisamente liberi della loro vita, lontani da casa, dal controllo dei genitori, impegnati ad autogestirsi fra mille tentazioni, gli amici troppo scatenati, le discoteche da frequentare a qualunque ora, tanto al rientro non c’è nessuno che ti controlla,il canto delle sirene della droga, dell’alcool, l’incognita delle nuove conoscenze che possono nascondere qualche inganno.

Se dietro a questi ragazzi non c’è un imprinting forte, un’educazione non repressiva, ma serrata, decisa, inequivocabile, se non gli si è creata una coscienza del comportamento, un’attenzione alle regole, una volta che prendono il volo e sono lontani da qualunque controllo famigliare, è facile che possano sbagliare. Il mondo che li circonda non è dei più rassicuranti. Ma torniamo ad Amanda. Se tutto quello che le è accaduto, fosse accaduto in America, la sua patria, se fosse stata accusata di quello che è accusata qui in Italia, non credo che avrebbe trovato la forza di sorridere spensierata entrando in aula.

Tutti sappiamo che i giudici americani non scherzano, le pene sono pene sulle quali non si fanno sconti, se ti danno vent’anni puoi stare sicuro che vent’anni saranno, né un’ora di più, né un’ora di meno. In America, considerata l’escalation della delinquenza minorile, sono arrivati a far scendere a quattordici anni l’età in cui puoi andare sotto processo. Non dico che ci sia da rallegrarsene, ma neanche la rilassatezza della nostra giustizia ci mette di buon umore.

Nata a Seattle, Washington, nel 1987, Amanda è arrivata in Italia che aveva poco più di diciannove anni. Gli amici, quando è partita, le hanno regalato un vibratore. A forma di coniglietto.