Federico Fubini, Corriere della sera 18/2/2009, 18 febbraio 2009
IL PIL CROLLA. E I GOVERNI LO RIFORMANO
A scelta, è il momento migliore per riformare le liturgie dell’economia oppure il più sbagliato. Negli ultimi giorni, politici, élite degli esperti e normali cittadini hanno assistito all’autodemolizione di un feticcio contemporaneo: il Pil. La sua cifra fino a ieri era considerata il riassunto della salute di un intero Paese. Ma agli ultimi dati, il Prodotto interno lordo sta crollando come se quelle che vengono definite «potenze economiche» fossero diventate di colpo altrettante Repubbliche popolari cinesi al contrario.
In ritmo annuale, il Pil tedesco va giù di oltre l’8%, quello dell’Italia del 7%, l’Europa crolla quasi del 6%, gli Stati Uniti del 4% circa e persino la Cina non è più quel che era: secondo il consigliere economico della Casa Bianca Larry Summers, il Pil sta scendendo anche lì. Con una piroetta, la si definisce in questi casi «crescita negativa ».
C’è dunque anche qualcosa della favola della volpe e l’uva nella corsa dei governi, da Parigi a Ottawa, da Dublino a Canberra, a dichiarare proprio ora la morte del Pil, cioè l’inadeguatezza del termometro dell’economia. Visto che la febbre non cala, l’istinto della rimozione aiuta.
Eppure il Pil come bussola della salute di un sistema per vari aspetti si è dimostrato imperfetto. Esso stima la «crescita» tramite le vendite nette di beni e servizi, istruzione e fatturato della sanità incluso, ma qualcosa non torna. E non solo perché quel dato non coglie l’aumento delle differenze fra i più ricchi e i più poveri. C’è un paradosso che va anche oltre: in una recente audizione al Congresso Usa, lo scrittore Jonathan Rowe ha così definito il suo «eroe del Pil»: è un malato terminale di cancro impegnato in una costosa causa di divorzio. Un uomo così, con il fatturato che porta a ospedali e studi legali, contribuisce all’economia più di un marito felice e in perfetta salute. L’elenco dell’assurdo in realtà sarebbe anche più lungo. In base ai criteri attuali, fa meglio alla crescita consumare carburante fermi in un ingorgo, magari ammalando di asma da smog i bambini del quartiere, che prendere la metropolitana. Contribuisce maggiormente affidare i propri genitori a un istituto per anziani, che occuparsi personalmente di loro. E avvicina più la ripresa costruire un grande carcere che una piccola scuola dove non ce n’è neanche una. Riempire di cibo-spazzatura la bocca del proprio figlio, anziché parlare con lui, rilancia poi molto meglio l’economia nel prossimo trimestre. L’America, il Paese dal Pil più vasto e dinamico del dopoguerra, presenta dati fra i peggiori nell’Ocse (ultima dopo Messico e Turchia) quanto a patologie infantili da obesità, oltre a costi sanitari doppi rispetto all’Europa: anche questo è Pil.
Proprio il Congresso di Washington, nell’attesa che Barack Obama si impegni su questo fronte, riflette su come vada misurata davvero un’economia e da quali statistiche una società debba trarre autostima o segnali d’allarme. Lo stesso fanno i governi in Francia, Irlanda, Australia, Spagna, Canada e da ancora più tempo l’Ocse, il club delle prime trenta democrazie capitaliste. In Italia il ministro Giulio Tremonti sostiene che il Pil non fotografa adeguatamente certi punti di forza dell’economia nazionale, dal ruolo del volontariato al risparmio delle famiglie. Senza un quindicennio alle spalle di crescita bassa e diseguaglianze sociali in aumento l’argomento sarebbe ancora più robusto, eppure l’Italia non è sola.
Persino il nuovo sovrano del Bhutan, re Khesar, ha lanciato un sondaggio per mettere a punto una nuova misura: la «felicità interna lorda». Un centro di ricerca del regno himalayano sta così raccogliendo questionari su una gran quantità di variabili: incidenza del benessere psicologico, gelosia, frustrazione, disponibilità di tempo libero, salute, educazione, i modelli culturali e la loro tenuta nelle generazioni, qualità della vita comunitaria e in famiglia, tutela e conoscenza dell’ambiente.
C’è molta autarchia buddista in tutto questo, ma re Khesar ha trovato un alleato in Nicolas Sarkozy. Prima ancora della recessione, il presidente francese ha iniziato a prendere sul serio il crescente malumore nell’opinione pubblica verso i dati ufficiali di crescita e inflazione. Nel suo stile, Sarkozy ha creato una nuova «Commissione sulla misurazione delle performance economiche e del progresso sociale» che farà rapporto in aprile. Ci lavorano vari premi Nobel dell’Economia, da Joseph Stiglitz (che la presiede) a Amartya Sen, a Daniel Kahneman. L’italiano Enrico Giovannini, capo- statistico dell’Ocse e da anni animatore degli studi su questi temi, guida il gruppo sulla valutazione dei dati attuali di crescita. Un secondo gruppo lavora sul «Pil verde» e la sostenibilità ambientale, un terzo guidato da Alan Krueger di Princeton su come si misuri la qualità della vita.