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 2009  febbraio 18 Mercoledì calendario

BUFERA SULLE MONETE DELL’EST


Erano in bilico da tempo. L’annuncio di Moody’s e quello di Standard & Poor’s hanno soltanto precipitato le cose: lo scivolone delle valute dell’Europa dell’Est non ha sorpreso nessuno. Ha però allarmato molti, perché la situazione minaccia adesso di trasformarsi in un nuovo incubo. Per Eurolandia innanzitutto.
Il primo a soffrire, non a caso, è stato l’euro. scivolato verso tutte le principali valute, calando fino a 1,2564 dollari, da 1,2777 di lunedì; e a 115,65 yen, da 117,17; mentre l’indice Stoxxe delle Borse dell’Unione è sceso del 3,36% per cento. Se S&P si è concentrata sulle aziende di credito dei Paesi dell’Est, la lente d’ingrandimento di Moody’s si è diretta infatti alle banche dell’Unione monetaria, molto esposte - anche attraverso le loro controllate - verso i Paesi dell’Europa centrale e orientale.
I guai, però, sono nati qui, nelle "economie in transizione", e i mercati lo sanno bene. Ieri il fiorino ungherese è sceso ai minimi storici sull’euro (a 309,85), lo zloty polacco si è riavvicinato al record negativo (a 4,938), la corona ceca è tornata ai livelli di ottobre 2005 (a 29,67). Il leu romeno si è mantenuto stabile, ma quasi sicuramente la Banca centrale, che "guida" il cambio con grande attenzione, è intervenuta sul mercato vendendo euro. La Borsa di Varsavia ha intanto perso il 7,5%, quella di Praga il 6,8.
Sono Paesi in crisi da tempo - l’Ungheria e la Lettonia hanno da poco ottenuto un prestito da Fmi e Ue, la Romania lo chiederà presto - e soffrono tutti della stessa malattia. In mancanza di risparmi sufficienti per finanziare la ricostruzione, hanno dovuto attirarli dall’estero: si sono quindi indebitati in valuta con banche straniere, a volte con le case madri delle aziende di credito locali.
Quel che è peggio è che lo hanno fatto tutti. Persino le famiglie, per finanziare i consumi o l’acquisto della casa. Questi prestiti stanno diventando un po’ i subprime d’Europa. Di fronte a mutui in moneta locale a tassi alti, gli europei dell’Est hanno preferito indebitarsi in valuta straniera: i baltici in corone svedesi, polacchi, ungheresi e rumeni in franchi svizzeri ed euro. Tutto dipendeva dalla nazionalità della casa madre della loro banca.
Oggi, però, le rate di quei prestiti sono sempre più care: le monete locali, infatti, perdono valore, e i mutui diventano difficili da pagare, anche se restano più vantaggiosi di quelli domestici e continuano a essere sottoscritti. I tassi interni restano infatti alti: lo impongono la crisi creditizia, che ha aumentato il "rischio controparte", la politica monetaria, nel desiderio di difendere il cambio, o l’Fmi, che segue una ricetta standard non sempre ottimale.
Le agenzie di rating stanno facendo il resto: ora che promettono di dirigere la loro lente d’ingrandimento su questi Paesi e sui loro legami con le banche di Eurolandia (o quelle svedesi) potrebbero scatenare, o almeno accelerare, una crisi che tutti vorrebbero evitare. Si sta creando il classico circolo vizioso: la percezione dei rischi legati all’elevato indebitamento con l’estero di quei Paesi indeboliscono il cambio e questa flessione rende ancora più elevati i rischi. Il mercato valutario, che va sempre "oltre" - «it overshoots or undershoots», dicono gli economisti - amplifica ulteriormente i problemi.
Vie d’uscita per ora non se ne vedono. L’unico fattore che può fermare il ribasso - notano gli economisti della Barclays - sono gli interventi delle Banche centrali, che hanno riserve non indifferenti (il 24% del Pil in Ungheria, il 14% in Polonia, il 20% nella Repubblica Ceca), ma non infinite.
«Per noi sembra un collasso dei mercati delle stesse dimensioni di quelle della crisi asiatica nel 1997», spiega Lars Christensen di Den Danske Bank, che da tempo ha lanciato l’allarme su quei Paesi, per i quali si era accesa la "spia rossa", quel deficit con l’estero (e non solo...) che resta il nocciolo duro della crisi e segnala il continuo bisogno di risorse "esterne".
La prognosi dipende ora proprio dalla capacità di questi Paesi di rifinanziare i debiti in scadenza. Moody’s ha segnalato come la loro tenuta dipenda molto dalla capacità delle banche europee di rinnovare i prestiti a breve termine concessi alle loro controllate. In assenza, occorreranno forti aiuti sovranazionali: dalla Ue o dal Fondo monetario, forse superiori a quelli già concessi, e i tentativi di ottenerli non mancano. Ma Bruxelles ha la volontà e la capacità di soccorrere l’Europa dell’Est? L’ultimo nodo è proprio questo.