
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri pomeriggio hanno portato Tanzi in galera. I finanzieri hanno bussato al citofono della sua villa ad Alberi di Vigatto (Parma) intorno alle tre e mezza del pomeriggio. «Signora, siamo della Guardia di Finanza». Sono entrati a bordo di due grandi Suv e hanno mostrato l’ordine di carcerazione, firmato dal procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda. Tanzi, in pullover rosso, si è meravigliato: «Sono sorpreso, non mi aspettavo che mi mandassero in carcere. Pensavo accogliessero la sospensiva». Gli avvocati difensori avevano chiesto infatti di fargli scontare gli otto anni di pena a casa, cioè nella villa con piscina. Motivo: ha 73 anni e, per i condannati ultrasettantenni, è possibile predisporre un regime di reclusione diverso dal penitenziario.
• Lei prova una sottile soddisfazione a vedere Tanzi in galera?
La provo e, mentre la
provo, me ne vergogno, perché una persona civile, di fronte a uno che va in
galera, deve solo sentire pietà e astenersi da giudizi troppo facili. E però si
deve ammettere che Tanzi, fra tutti i criminali di cui dobbiamo occuparci, è
uno dei più antipatici. Lei ricorderà il caso, no? Un’azienda tecnicamente
fallita fin dal 1989 che restava in piedi grazie al fatto che si prestava al
ruolo di fogna delle banche: quando le banche (specialmente estere) dovevano
risolvere il problema di un cliente insolvente, imponevano a Tanzi di comprare
l’azienda, per far questo gli permettevano di emettere un bond che gli
consentisse di radunare la somma necessaria, loro stesse giravano questi bond
agli ignari risparmiatori. Ogni tanto poi Tanzi doveva fare aumenti di capitale
e si faceva sempre prestare i soldi (stiamo parlando di cifre da due-trecento
miliardi di lire). Ma ogni aumento di capitale erano altre azioni messe in
circolo, altri piccoli risparmiatori fregati… L’ultimo giorno, Tanzi non poteva
onorare un bond da 150 milioni di euro e per guadagnare tempo mostrò che i
denari li aveva esibendo un estratto conto Bonlat presso la Bank of America da
cui risultava una liquidità di 3,95 miliardi. Senonché la Bank of America emise
un comunicato: non esisteva nessun conto Bonlat, quell’estratto conto era
falso. Tanzi, e il suo direttore generale Fausto Tonna, avevano costruito il
documento con uno scanner.
• Beh, a parte le dimensioni, si tratta alla fine di un qualunque
truffatore…
In quel momento Parmalat
era presente in 30 paesi, possedeva più di 500 società, nessuna delle quali in
utile, aveva 35 mila dipendenti e ricavi di poco inferiori agli otto miliardi
annui. Le società o le persone che avevano nel cassetto almeno un’azione
Parmalat erano centomila. Come ha dimostrato Enrico Bondi, l’azienda si poteva
salvare. Ma Tanzi, per tutto il periodo, non ha smesso di pagare a se stesso e
ai suoi familiari dividendi corposi. In tribunale gli hanno chiesto: «La sua
azienda si poteva salvare?». Tanzi ha risposto (come se fosse merito suo): «Va
ancora avanti». «Una parola ai truffati?». «Continuino a consumare i prodotti
Parmalat». E non dovrei essere soddisfatto della galera? Il nostro uomo, mentre
si esibisce in queste battute infelici, dice pure di credere in Dio e di
passare il tempo pregando.
• Lui dice che la colpa è delle banche.
La colpa è anche delle
banche, che il tribunale di Milano ha creduto di mandare assolte. È possibile
che in punta di diritto questo giudizio sia incontestabile. Ma per quello che
riguarda il senso di giustizia che ognuno di noi porta dentro di sé, questa
assoluzione, specie per le banche straniere, suona come una bestemmia.
• Gli otto anni sono pochi,
secondo lei?
Non sconterà mica otto anni. Ha già fatto nove mesi di
carcere, tre gli vanno tolti per l’ultimo condono, altri tre sono di
affidamento ai servizi sociali. Alla fine su otto anni e un mese di reclusione,
rimarranno da scontare non più di tredici mesi. Questa è però la condanna per
aggiotaggio patita nel processo milanese (che riguarda solo i reati di Borsa).
C’è poi l’altra condanna, a Parma, per la bancarotta fraudolenta. Qui, pochi
mesi fa, gli hanno dato 18 anni. Anche quella volta Tanzi ha fatto il sorpreso:
«Non mi aspettavo una sentenza così severa». È però un giudizio di primo
grado e gli avvocati hanno fatto ricorso.
• Non deve anche rimborsare qualcosa?
I giudici milanesi lo hanno condannato a risarcire i
risparmiatori con cento milioni di euro. Tutti giudicano questa parte della
sentenza puramente teorica. Cento milioni ci sarebbero: a parte il tesoretto
che nasconde certamente all’estero e che nessuno ha ancora trovato, l’anno
scorso gli investigatori hanno scovato in casa sua una collezione d’arte di
grande valore: Van Gogh, Picasso, Modigliani, Cézanne, Ligabue, De Nittis,
Monet. Suppongo che però siano beni assegnati alla procedura fallimentare, e
quindi non destinati ai risparmiatori. Infatti, come dicevo, il risarcimento
appare al momento puramente teorico.
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