Massimo Sideri, Corriere della Sera 06/05/2011, 6 maggio 2011
TABLET, UN GIOCHINO CHE VALE OGNI GIORNO 200 MILIONI DI MINUTI —
Lo scorso agosto la copertina di Wired firmata da Chris Anderson e Michael Wolff — «Il web è morto, lunga vita ad Internet» — era apparsa più che altro una provocazione intellettuale. Quasi un sofismo sull’economia digitale. Nel frattempo, con i tempi ormai accelerati a cui ci ha abituati la rete, la profezia ha iniziato ad avverarsi. Come ha calcolato Tom Cheshire in un recente numero di Wired Angry Birds — l’applicazione alcoholic inventata dalla società finlandese Rovio, a lungo alla guida delle classifiche delle apps più scaricate a pagamento — occupa 75 milioni di persone che ogni giorno spendono 200 milioni di minuti (16 anni ogni ora, sic!) per uccidere dei maialini verdi lanciando gli ormai mitici uccellini kamikaze. La società di Espoo ha ampiamente superato i 50 milioni di ricavi anche grazie a un sapiente mix di vendite, promozione online e merchandising.
Poco si dirà: per un’azienda che punta a un mercato internazionale sono spiccioli. Un giudizio oggettivo che però si relativizza appena si scopre l’investimento complessivo di Mikael Hed, suoi cugino Niklas e Peter Vesterbacka: 100 mila euro. Il ritorno è del 50 mila per cento. Se è una nuova generazione di «micro Aziende » online c’è da rifletterci. Di rado capita di poter assistere alla nascita di un nuovo fenomeno economico in laboratorio come a una coltura in vitro. È la appnomics, l’economia delle applicazioni, pronta a prendere il posto dell’economia della condivisione, la Wikinomics.
Non è solo un passaggio semantico ma di business: la fuga dal web (per intendersi il sito www. qualsiasicosa. com a cui siamo abituati ad accedere con il computer) ha permesso di monetizzare l’Internet smarcandosi dal malinteso del tutto gratis. Partendo dal gaming, uno dei settori di traino della nuova economia veicolata dai vari Apple Store, Android Market (Google), l’App World (BlackBerry) e Ovi Store (Nokia), la stessa cosa sta avvenendo a molti settori industriali. Non serve più essere dei giganti, delle corporation: la differenza la fa avere l’idea. Al di là dei luoghi comuni non è necessario nemmeno essere degli sviluppatori come non bisogna essere degli artigiani del cuoio per fondare una società che produce scarpe. Le applicazioni vengono sviluppate da esperti terzi rispetto a chi ha immaginato la apps di successo. Con la differenza che nell’economia industriale c’è poi bisogno dell’investimento per dare vita alla catena di montaggio con tutti i problemi che ne occorrono in caso di un boom della domanda del prodotto. Mentre l’applicazione può essere riprodotta all’infinito sostanzialmente a costo zero.
Potenzialmente chiunque può inventare l’applicazione di successo trasformandosi in un ricchissimo micro-imprenditore online.
A testimoniare la diffusione del fenomeno anche in Italia c’è l’avvio a Milano della Start Up School, fondata da Marco Montemagno, l’ideatore di Blogosfere con Marco Masieri. Oltre ai docenti noti del web italiano— come Paolo Ainio (Virgilio) e Paolo Barberis (Dada) — c’è anche il cofondatore di YouTube Steve Chen. I corsi si prefiggono l’ambizioso obiettivo di insegnare a fondare la propria azienda su Internet.
«Il paradosso è che a una delle sfide più micidiali della vita, che è quella di fare un’impresa, non ti prepara nessuno» spiega Pierluigi Paracchi, cofondatore ed ex amministratore delegato di Quantica, anche lui chiamato ad insegnare nella nascente scuola come esperto di venture capital. «Si crede di poter avviare da soli una start up che deve competere ormai a livello mondiale. Ma non siamo tutti Steve Jobs. Da qui l’idea della scuola con dei docenti che vengono dalle esperienze concrete visto che in questo campo gli accademici non funzionano» .
Nel frattempo chissà quanti altri anni vengono usati ogni giorno per lanciare uccellini kamikaze. Ma forse è anche questo il problema: i tablet erano stati pensati come prodotti per incrementare la produttività, per strizzare maggiore valore dal nostro tempo, con buoni ritorni in termini di produzione per il Paese. Ma se tutti ci fermiamo a giocare?
Massimo Sideri