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 2011  maggio 06 Venerdì calendario

CARLOS: «STO CON GHEDDAFI CONTRO GLI YANKEE»

La calligrafia è minuta e precisa, la carta intestata porta il nome di Ilich Ramírez Sánchez. In calce, si firma semplicemente "Carlos". «Basta con le falsificazioni sulla mia vita». L´ex primula rossa del terrorismo internazionale esce dal suo silenzio per contestare il nuovo film che gli è stato dedicato dal regista francese Olivier Assayas, trasmesso in questi giorni da Fx. «Un´opera di propaganda contro-rivoluzionaria» dice dal carcere di Poissy dove sta scontando l´ergastolo. Lo Sciacallo ha accettato di rispondere a una serie di domande scritte consegnate attraverso il suo avvocato e moglie, Isabelle Coutant Peyre. Lo Sciacallo ricorda anche i suoi legami con l´Italia e commenta l´attualità di questi giorni, compresa l´uccisione di Osama Bin Laden, considerato come lui a suo tempo il Nemico Numero Uno. «Gli yankees si pentiranno di aver nascosto il suo corpo».
Partiamo dalla fiction "Carlos". Perché critica la ricostruzione di Assayas?
«Il protagonista, che sarei io, è presentato come uno psicopatico alcolico e cocainomane, mercenario, misogino, dal grilletto isterico. Ma come avrebbe potuto un tale degenerato battersi in diversi continenti per venticinque anni, senza farsi mai prendere? È una contraddizione che spiega da sola l´opera di falsificazione storica che è stata fatta».
Gli sceneggiatori hanno fatto un lavoro molto documentato, con archivi dell´epoca.
«La falsificazione più evidente è quella di mettere Saddam Hussein anziché Muammar Gheddafi come "inceptor" (mandante, ndr.) dell´operazione Opep a Vienna. Gheddafi mi contattò nell´ottobre 1975 attraverso Kamal Kheir-Beik, cofondatore di Settembre Nero. E poi né Johannes Weinrich, né Magdalena Kopp sono mai stati agenti della Stasi, come dice il film: è una cosa ormai appurata dai tribunali in Germania. Ma più che di errori, parlerei di menzogne calcolate».
Cosa pensa della guerra in Libia per fermare i massacri del suo amico Gheddafi?
«Finché il colonnello Gheddafi sarà in vita, la maggioranza dei libici resisterà con lui. E anche in caso venisse a mancare, i libici continueranno a battersi, in modo ancora più forte di quando ci furono gli invasori italiani nel 1911».
Le sfugge che Gheddafi è un dittatore accusato di crimini contro l´umanità...
«I crimini contro l´umanità sono commessi in Iraq e in Afghanistan dagli invasori yankees e dai loro agenti. Come altro qualificare i tentativi di assassinio del colonnello Gheddafi e della sua famiglia? Semmai Gheddafi è un dittatore nell´antica accezione nobile e romana di dictator. Ho scritto a questo proposito una lettera al mio amico Hugo Chávez».
Non si è accorto che la vera rivoluzione è venuta dai moti popolari in favore della democrazia in Tunisia, Egitto e in altri paesi arabi?
«Penso in effetti che dei cambiamenti democratici sono possibili in Tunisia. In Egitto, invece, il sistema è rimasto intatto. Sarà necessaria un´insurrezione violenta per strappare il potere ai traditori in uniforme. Ma sono convinto che solo le rivoluzioni popolari possono davvero cambiare le società».
Se lei non è uno psicopatico mercenario, allora chi è davvero lo Sciacallo?
«Sono militante comunista dal gennaio 1964, dall´età di 14 anni, e lo resto. Tutto quello che ho fatto, l´ho fatto credendo in una società più giusta, socialista».
Perché non si decide a raccontare le cose che sa sugli episodi più oscuri del terrorismo in Italia, per esempio sul sequestro di Aldo Moro?
«Né i magistrati italiani, né la commissione parlamentare, hanno chiesto di sentirmi a Roma. Stando a Parigi, non accetto la tutela malsana della cosiddetta giustizia francese, su affari che non la riguardano. Personalmente non ho avuto alcun contatto con le Brigate Rosse ma è vero che ho partecipato al tentativo di salvare la vita ad Aldo Moro, il più grande uomo politico della sua generazione, in cambio di brigatisti imprigionati. Dei servizi nemici hanno sabotato i miei sforzi e quelli di qualche patriota italiano dentro ai servizi di intelligence militare dell´epoca».
Il suo nome è stato fatto anche per l´attentato di Bologna. Lei ha fornito diverse versioni.
«Mi sono limitato a dire che trovavo incongruo che dei giovani neofascisti attaccassero una stazione simbolo dell´eredità del Duce nella penisola, e a rimarcare alcune coincidenze inquietanti. La mia non è una verità, ma un´opinione tecnica fondata. Sono convinto che l´attentato sia stato l´opera delle atrocità di Gladio».
Come passa il suo tempo in prigione?
«Scrivo, leggo e cerco soprattutto di essere aggiornato su quello che accade nel mondo. Per quanto mi è possibile mi occupo di persone care in difficoltà. Ho scritto al presidente Obama per chiedere che venga fatta luce sulla morte del nostro compagno svizzero Bruno Bréguet scomparso tra l´Italia e la Grecia nel 1995».
Scriverà un libro sulla sua vita, raccontando finalmente tutta la verità sui suoi anni da Nemico Numero Uno del mondo?
«Ho finito di scrivere le mie memorie ad Amman nel 1992. Saranno pubblicate solo dopo la mia morte».