MARIO DEAGLIO, La Stampa 6/5/2011, 6 maggio 2011
MA SENZA SOLDI NON SI CRESCE
Le nozze con i fichi secchi: questo modo di dire toscano che si riferisce all’atteggiamento di chi vuole realizzare qualcosa senza averne i mezzi, e perciò rischia di rendersi ridicolo, descrive abbastanza bene il «decreto sviluppo» varato ieri dal Consiglio dei ministri.
L’ affermazione del presidente del Consiglio che il decreto «non graverà sui conti dello Stato» mostra chiaramente i limiti di questo provvedimento: la crescita dell’economia non deriverà, come per magia, da una manciata di micro-misure come quella sulle facilitazioni alle imprese per disfarsi di beni obsoleti, o la soppressione dell’obbligo di compilazione della scheda carburanti per chi paga con moneta elettronica, o la soppressione del limite d’età per la carta d’identità elettronica.
La crescita non deriverà nemmeno dal via libero dato dalla Banca d’Italia alla Banca del Sud, che sarà pure un «gigante», come l’ha definita il ministro dell’Economia, capace di arrivare a settemila sportelli; si tratta però di un gigante sulla carta con tempi di realizzazione in ogni caso molto lunghi, che potrebbe non contribuire affatto alla crescita nel caso in cui questi settemila sportelli, se mai si realizzeranno, fossero semplicemente sottratti ad altre banche o istituzioni creditizie.
Detto questo, alcune misure sono di buon senso, servono a mantenere il Paese sulla linea di galleggiamento, specie quando correggono storture precedenti. I contratti di ricerca e il credito d’imposta per la ricerca potrebbero dare un modesto sollievo a un’attività chiave che, tramite i tagli alle università, è stata a lungo tartassata. La semplificazione contabile e l’accorpamento dei controlli sulle imprese dovrebbero alleggerire un poco il fardello amministrativo delle aziende in crescita, le misure sui precari della scuola leniranno una piaga senza sanarla, la rinegoziazione dei mutui compenserà in parte il rialzo dei tassi che si sta verificando da qualche mese. Le misure sull’apprendistato erano attese da tempo; trecento euro al mese di detrazione fiscale per ogni lavoratore assunto al Sud non sono certo da buttare via, ma un’impresa che decide di installarsi nel Mezzogiorno solo o soprattutto in virtù di questa norma non può essere molto seria.
Purtroppo non mancano anche provvedimenti discutibili che rischiano di creare dei mostri senza generare sviluppo, come il diritto di superficie per novant’anni per i chioschi e gli stabilimenti balneari. Può darsi che in questo modo si portino nuove risorse alle casse dello Stato o dei comuni interessati, ma questo vantaggio appare molto modesto di fronte al rischio di immobilizzare per quasi un secolo infrastrutture chiave di un turismo in rapidissimo cambiamento e il sospetto di perpetuare privilegi locali di «amici degli amici» non è però certamente infondato. Ugualmente, se non sarà accompagnata da adeguati controlli, la libertà di ampliamento delle abitazioni può portare a una nuova ondata di brutture edilizie con scarsissimi benefici economici e l’infornata dei nuovi sottosegretari che aumenta disinvoltamente, si potrebbe dire sfacciatamente, i costi della politica non è certo un bel segnale.
Ed è purtroppo un vizio di questo Paese pensare che basti scrivere «sviluppo» in un decreto perché si avvii un processo di sviluppo. Il contenuto di questo decreto conferma l’avvitamento del Paese sulle piccole cose, quasi un modo per rimuovere scelte più grandi e più scomode. Tutto ciò rende la classe politica - opposizione compresa, come ha ricordato due giorni fa il Presidente della Repubblica - sempre meno credibile, sempre più lontana dai bisogni del Paese.
Un discorso sullo sviluppo dovrebbe partire dalla constatazione che è molto difficile per qualsiasi governo «fare sviluppo» senza quattrini da spendere. Il settore pubblico di quattrini da spendere sicuramente non ne ha e il settore privato, come mostrano anche i dati sul forte calo del risparmio delle famiglie, ne ha sempre meno. Occorre francamente riconoscere che far ripartire lo sviluppo in un Paese addormentato da una quindicina d’anni non può non essere un’operazione dolorosa che può implicare sia una ridistribuzione dei redditi all’interno, sia una franca discussione in ambito europeo su politiche che di fatto potrebbero portare a una crescita stentata e insufficiente, non soltanto in Italia ma in tutti i Paesi del vecchio continente.
A discorsi di questo genere non sembrano preparate né la maggioranza né le opposizioni. Entrambi si disperdono nel varare, nel discutere provvedimenti necessari ma secondari e di qui nasce la tentazione bipartisan di ricorrere a slogan, di definire sviluppo ciò che è al massimo normale manutenzione. Di fare le nozze con i fichi secchi, appunto.