
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I greci continuano a dire che non usciranno dall’euro e non chiederanno di ristrutturare il loro debito. Sono assicurazioni che ufficialmente tutti accolgono con un sospiro di sollievo, ma nelle stanze segrete della finanza vengono commentate con notevole scetticismo. La notizia delle difficoltà di Atene è uscita l’altro giorno sull’edizione on line dello “Spiegel”. Il titolo diceva: «Atene torna alla dracma». Lo “Spiegel” è un settimanale tedesco molto autorevole, che non fa a cuor leggero scoop come questi. Il servizio è stato messo in rete di venerdì e quando le Borse europee erano chiuse. Ciononostante, sul mercato delle valute, l’euro è andato subito giù. Mentre Atene smentiva con la massima forza, i ministri dell’Eurogruppo si sono incontrati in Lussemburgo. Il problema greco esiste, e se ne valuterà appieno la portata domani, quando i mercati riapriranno.
• Sarebbe bello fare il riassunto delle puntate precedenti.
La Grecia, come l’Italia e la maggior parte dei paesi occidentali, si mantiene col sistema dei bot: si vendono titoli ai risparmiatori, si promette loro un interesse, quando i bot arrivano a scadenza li si rimborsa. L’anno scorso, avvicinandosi la data del 19 maggio, risultava ogni giorno più chiaro che la Grecia non sarebbe stata in grado di rimborsare 9 miliardi. Allarme generale: il default avrebbe fatto precipitare la fiducia nell’euro (che infatti perse parecchi punti contro il dollaro), oltre allo smacco per migliaia di lavoratori ci sarebbe stato un certo fastidio per le banche tedesche e francesi, particolarmente esposte con Atene. Il default avrebbe poi avuto conseguenze gravi sulla finanza degli altri Pigs (i “porci”, cioè Portogallo, Irlanda e Spagna, essendo la “g” riservata appunto alla Grecia), con perdita di fiducia e, probabilmente, fallimenti a catena di stati, una strage che non si sa dove si sarebbe fermata. Insomma, l’Europa e il Fmi prestarono 110 miliardi, al 5 per cento di interessi, da restituire in tre anni.
• Non è passato neanche un anno…
Si disse subito che la Grecia non ce l’avrebbe mai fatta, per quanto il nuovo governo Papandreou tagliasse a man bassa sulla spesa pubblica. In un anno, il rapporto debito/pil è sceso di 5 punti, dal 15 al 10. E tuttavia la crisi era troppo grave: l’Europa nel frattempo ha già ristrutturato il debito, permettendo ai greci di rientrare in 7 anni, invece che in 3. Ma è un palliativo, a quanto pare: l’anno prossimo Atene dovrà chiedere al mercato 40 miliardi almeno e i tassi d’interesse che deve pagare adesso per operazioni come questa stanno al 25%. Lei capisce che dalla riapertura dei mercati di domattina non c’è da aspettarsi niente di buono.
• Che cosa bisognerebbe fare?
Non lo sa con sicurezza nessuno. La linea più a portata di mano sarebbe quella di allungare ancora le rate – da 7 anni a 15? da 7 anni a 30? – e abbassare il tasso d’interesse. Però supponiamo che un po’ di quei 110 miliardi li avesse prestati lei. Come reagirebbe alla notizia che le hanno cambiato in corsa le condizioni? Una ristrutturazione del debito a questa maniera, non sarebbe una specie di default non dichiarato?
L’uscita dall’euro sarebbe una soluzione?Pare di no. Chi vorrebbe dracme in cambio delle sue merci? Fine, per quel paese, delle importazioni. Scaffali vuoti, crisi dell’energia… Il loro Pil è già sceso di tre punti quest’anno. Dove precipiterebbe? Senza contare che il debito contratto con i mercati andrebbe sempre rimborsato in euro. Atene dovrebbe cioè procurarsi euro sui mercati e per farlo sarebbe costretta a vendere tutto quello che ha. È difficile ipotizzare una politica tanto feroce senza un qualche grave problema sociale. Il governo papandreou, il cui ministro delle Finanze Papaconstantinou ancora ieri alla “Stampa” si sgolava a rassicurare tutti («ce la faremo, ce la faremo»), sarebbe rovesciato, possiamo facilmente ipotizzare l’ascesa al potere di una qualche dittatura, di un qualche demagogo con la soluzione in tasca. Costui, per far bella figura con i suoi, si rifiuterebbe di pagare le potenze che vogliono strangolare il Paese. Ci troveremmo di nuovo al limite dell’effetto cascata. Portogallo e Irlanda, soccorse anche loro dall’Europa, hanno problemi simili. L’effetto a catena potrebbe essere doppio: finanziario da un lato, politico dall’altro.
• L’Italia?
Per ora è tra i paesi salvatori. Prima di noi, casomai, c’è la Spagna.
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