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 2011  maggio 08 Domenica calendario

«Non sogno posti al governo ma anch’io ho la mia canzone» - Non è uno «scilipoti» qua­lunque

«Non sogno posti al governo ma anch’io ho la mia canzone» - Non è uno «scilipoti» qua­lunque. Non si sente un sim­bolo, una maschera, un luo­go comune. «Non sono una categoria della politica». Il destino di Domenico Scilipo­ti deraglia in un giorno di di­cembre, quando regalò la sua fiducia al governo Berlu­sconi. Fama e fango. Da allo­r­a non è più soltanto un parla­mentare. La scelta, in fin dei conti coraggiosa, di mettere la sua faccia sui «responsabi­li », passando da Di Pietro al Cav, gli lascerà una cicatrice. È qualcosa che lo segnerà per sempre. Scilipoti chi? Quello del controribaltone? Quello che ha sconfitto Fini? Quello che ha tradito, si è ven­duto? Quello che va contro­vento, pigliando insulti e spu­ti? Eccolo Scilipoti, l’origina­le: medico, ginecologo, ago­puntura, sicilianità, che par­la di cure olistiche e cure al­ternative, che sogna di scardi­nare la lobby delle banche e delle case farmaceutiche, cat­tolico, con un passato social­democratico, dipietrista pen­t­ito e ormai col marchio inde­lebile di berlusconiano sulla fronte. La sua risposta è un fiume di parole. Scilipoti è convinto che se si dialoga so­lo gli sciocchi ti insultano. È ottimista. Scilipoti, si è mai chiesto: chi me lo ha fatto fare? «Me lo sarei chiesto se aves­si avuto la coscienza sporca. Ma non è così. Non si butta giù un governo eletto dagli italiani solo perché si è osses­sionati da Berlusconi. Il prin­cipio del ribaltone è pericolo­so. Si rinnega il voto degli elet­tori con giochi di palazzo, ol­tretutto in un momento di cri­si, difficile. È da irresponsabi­li ». I responsabili, appunto. Alla fine Scilipoti non ha avuto nulla. Neppure una poltroncina. «E ne sono fiero. Certo, avrei potuto fare il sottosegre­tario, ma volevo dimostrare con chiarezza che le mie scel­te n­on avevano nulla a che fa­re con le poltrone. Io sono un parlamentare. Questo è il mio mestiere e voglio conti­nuare a fare il mio lavoro. Penso di essere più utile così. In questa legislatura ho pre­sentato 30 proposte di legge, 150 interrogazioni, mi sono battuto per le battaglie che mi interessano. Il mio sogno non è stare al governo, ma re­alizzare due o tre cose che mi stanno al cuore». Tipo? «Rivedere le commissioni di massimo scoperto delle banche. Siamo sicuri che cer­ti interessi non siano ai confi­ni dell’usura? Le racconto una storia. Due anni fa venne da me un signore di Ascoli Pi­ceno, Emidio Orsini, che da anni stava combattendo con­tro questa lobby. E mi spiegò che nell’articolo 50 del Testo unico bancario si nasconde il grande potere delle banche sui clienti». Toccare le banche è peri­coloso. «Ogni tanto si può anche es­sere coraggiosi. Quel testo rende molto semplice e velo­ce il rilascio di decreti ingiun­tivi. È sufficiente la mera atte­stazione di veridicità e liqui­dità del credito effettuata da un funzionario bancario, af­finché il giudice conceda de­creti ingiuntivi». Cioè, basta che un banca­rio dichiari «ti ho dato i sol­di » e il giudice ci crede? «Esatto. Ma se i crediti van­tati dalle banche fossero ine­sistenti, non corretti o frutto di interessi da usura, di oneri e commissioni non pattuite, di investimenti spazzatura, il presunto debitore dovrebbe affrontare un lunghissimo e oneroso processo per dimo­strare la sua innocenza». I tribunali servono a que­sto. «I processi civili, come sa, sono infiniti. Nel frattempo le banche possono agevol­mente aggredire e mettere al­l’asta l’intero patrimonio del­la vittima. La conseguenza è che le ipoteche poste sui pa­trimoni degli imprenditori, delle aziende e dei fideiusso­ri, non vengono cancellate fi­no alla sentenza di terzo gra­do. Il cliente delle banche è un presunto colpevole. Le banche, potendo contare su risorse economiche illimita­te hanno tutto l’agio di atten­dere la resa delle proprie vitti­me ». Scilipoti contro le banche. È la sua battaglia? «Non è la sola. L’altra mia fissa sono le case farmaceuti­che. Difendo gli informatori scientifici. Li vogliono tra­sformare in piazzisti. I medi­ci non sono schiavi della grande industria e i farmaci­sti dovrebbero fuggire da un destino di bottegai. Il primo passo è ricominciare a scrive­re ricette come si deve». Cosa non va nelle ricette, a parte la grafia orribile dei medici? «Non andrebbe prescritta una marca di farmaci, ma la cura. Come si faceva una vol­ta. Ogni paziente è un indivi­duo e va curato su misura». Come si scrive una «ricet­ta all’antica»? «Ecco un esempio di pre­s­crizione di miscela vitamini­ca antistress, per un paziente di età compresa fra i 40 e i 50 anni, con un peso corporeo di circa 70 chili, in assenza di patologie: axeroftolo palmi­tato (gr. 0,5), betacarotene (gr. 2), alfatocoferile acetato (gr. 1.000), 1 flacone da 250 cc. Somministrare un quarto di cucchiaino, la mattina, a digiuno, per 3 mesi». E di solito non sono così? «Decisamente no». Ha mai più incontrato Di Pietro? «Ci siamo incrociati qual­che volta in Transatlantico. Non mi parla. Nessuno di lo­ro mi parla. Se mi vedono scappano». Ma come si fa a passare da Di Pietro a Berlusconi? «Si fa quando ci si rende conto che l’unica cosa che conta per Di Pietro è l’anti­berlusconismo ». Non lo sapeva prima? «Certo. Ma non pensavo fosse l’unica cosa. Io facevo battaglie a cui ancora credo. Ho incontrato in Sicilia per­sone che la pensavano come me e mi hanno detto: perché non ti candidi con Di Pietro, queste sono le stesse idee del­­l’Idv. Mi sono candidato. Ar­rivato a Montecitorio mi so­no reso conto che quelle bat­taglie non interessavano. Di Pietro voleva mettere cappel­lo su tutto». E a Berlusconi interessa­no? «Berlusconi ascolta e mi la­scia campo libero». Ma non l’ha fatta sottose­gretario? «Ancora? Non sogno una poltrona». Infatti la accusano di aver­lo fatto per soldi. «Chi parla con questo lin­guaggio è abituato ad avere certi pensieri. E quindi è abi­tuato anche a farle le cose che pensa. Io sono diverso. Io a Berlusconi non ho chie­sto nulla e non voglio nulla». È diventato un personag­gio. «Vorrei diventarlo per quel­lo­che faccio come parlamen­tare, per il mio lavoro legisla­tivo ». La «canzone di Scilipoti» però poteva risparmiarse­la. «Perché? Mi prenderanno in giro? Non mi interessa. Esprime il mio modo di vede­re il mondo. Non mi vergo­gno di una canzone. Vuole leggere il testo?» Perché no. « Un solo cuore un’unica idea, per un’Italia ancora tua, ancora mia... Per padri e figli e per chi ancora verrà, per un futuro e per chi lo vor­rà. Mi fermo qui?» Non vincerà il premio Ten­co. «Neppure Sanremo, sup­pongo ». Con chi si candiderà la prossima volta? «Con i Responsabili. Or­mai il mio destino è nel cen­trodestra ». Sicuro? «Accetto scommesse».