Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 8/5/2011, 8 maggio 2011
IL FATTO DI IERI - 8
maggio 1983 - Ha raccontato e anticipato con humour e amarezza la fine dell’“american dream”. Anche se lui, John Fante, genio “clandestino” e cantore disarmato degli irrequieti anni roosveltiani, sarebbe rimasto nella polvere di qualche biblioteca di provincia, se Charles Bukowski, il maledetto della cultura underground, non lo avesse ripescato postumo e restituito al grande Novecento americano. Nessun lieto fine, ma neanche cinismo o crudeltà, nei romanzi di questo scrittore oggi cult, inghiottito negli ingranaggi di una Los Angeles, luccicante capolinea dell’America della Great Depression, costretto a campare di cinema, pur detestando il cinema. Come altri scrittori, approdati ai cancelli eccitanti di Hollywood, pronti a cedere agli Studios i propri pezzi d’autore e a trasformarli in sceneggiature da B-movie. Una vita tra gli agi un po’ fatui del set, macinando copioni per le grandi major e libri dal successo effimero, scritti nella città simbolo della California assolata, “ai confini con la sua sabbia senza tempo” come scriverà in “Chiedi alla polvere”. Come per i suoi scritti, nessun happy end neppure per la sua vita, conclusasi l’8 maggio ’93, quando, cieco e senza gambe morirà in uno ospizio per gente di cinema.