Franco Bechis, Libero 08/05/2011, 8 maggio 2011
SE L’UNIONE SCOMPARE CI SARANNO DUE ITALIE
La prima indiscrezione è arrivata dal settimanale tedesco, Der Spiegel, che venerdì mattina ha lanciato al sua bomba sui mercati: la Grecia, vicina al fallimento, prima di farsi suicidare proverebbe a farlo da sola, valutando l’uscita dall’euro. Nell’articolo pubblicato sul sito on line del settimanale si annunciava una riunione di emergenza dei ministri dell’Economia dell’eurogruppo per venerdì sera. Pioggia di smentite mentre le quotazioni dell’euro andavano sulle montagne russe, ma anche un grande imbarazzo. Perché la riunione dei ministri dell’eurogruppo venerdì sera c’è effettivamente stata. E non era stata annunciata. Hai voglia di credere alle rassicurazioni che per tutto il sabato hanno invaso le principali agenzie di stampa: una riunione di routine, nessuna ipotesi greca di uscita dall’euro, perfino un possibile allentamento delle stringenti condizioni poste dalla Ue all’economia greca. E addirittura un ventilato aiuto-bis ad Atene per evitarle la ormai necessaria ristrutturazione del debito pubblico. Proprio la raffica di smentite categoriche e l’improvvisa quanto inattesa generosità mostrata dagli azionisti forti dell’Europa nei confronti della Ue hanno reso ancora più verosimile quella indiscrezione a qualche autorità greca sfuggita e finita sulla stampa tedesca. Tanto credibile che qualcuno ha iniziato a ritenerla più che attendibile. Proprio ieri sera – pur non augurandosela, in un dibattito a Tv 2000 il presidente del Fondo interbancario di garanzia, professore Paolo Savona, non ha escluso l’ipotesi e anzi ha iniziato a ragionare sugli scenari che si aprirebbero. Perché se si aprisse mai una breccia nel muro dell’euro, è assai facile che la Grecia non resterebbe un caso isolato. Quella speculazione che ha visto la sua debolezza e da un paio di anni l’ha presa di mira, entrerebbe nella falla aperta e proverebbe a farla diventare voragine. Irlanda, Portogallo, Spagna e prima o poi anche l’Italia sarebbero prese di mira nella speranza di provocare lo stesso effetto. Se l’operazione riuscisse, nascerebbero due diverse Europa e a quel punto sarebbe a rischio l’integrità stessa dei vari paesi nazionali. Un tema che potrebbe coinvolgere anche l’Italia, perché di fronte a due aree diverse d’Europa sarebbe ancora più chiaro che un pezzo di questo paese sarebbe allineato con Grecia, Spagna Portogallo e compagnia mediterranea. Ma un’altra parte – il centro Nord – avrebbe condizioni di finanza pubblica e di tessuto imprenditoriale in linea con l’Europa dei forti. A quel punto – lo temono seriamente anche gli economisti (e perfino i politici, questo era uno degli incubi di Carlo Azeglio Ciampi) – la secessione non sarebbe quello spaventapasseri che fin qui è stata, ma un’ipotesi razionale e percorribile.
Tutto dipende appunto da cosa accadrà in queste ore e in queste settimane con la Grecia. Quel paese – per indubbi errori propri e perfino per una clamorosa falsificazione del bilancio pubblico – si trova in guai da cui è davvero difficile uscire. Ma le condizioni imposte dalla Ue per continuare a dare finanza alla Grecia sono davvero un cappio dentro cui pochi primi ministri al mondo vorrebbero infilare il loro collo. Il governo greco e i suoi sudditi dovrebbero trasferire nelle mani della Ue ogni potere di politica economica e industriale, oltre al proprio tessuto produttivo, visto che viene imposto un piano di uscita dello Stato dall’economia da 50 miliardi di euro. Ma anche quelli sarebbero una goccia nel mare del disastro greco. Perché fra restituzione dei prestiti europei e costo esplosivo del proprio debito pubblico il governo greco dovrebbe per anni imporre ai propri cittadini manovre finanziarie da 25-30 miliardi di euro che non sarebbero in grado di sopportare paesi ben più forti. Bisogna mettersi nei loro panni, e non è così strano che di fronte a una certa eutanasia un paese non pensi di potersi giocare il rischio di morire provando a camminare sulle proprie gambe. Non può dirlo fino a quando non lo ha deciso, ma certo la Grecia lo pensa. E valgono poco i toni forti usati ieri per smentire ogni ipotesi dal premier greco George Papandreu, che ha definito le voci sul ritorno alla dracma e l’uscita dell’eurozona «al limite del criminale».
L’apertura della falla nell’area dell’euro non è mai stata così realistica come in questo momento, e dovesse realizzarsi avrebbe conseguenze gravi sui mercati delle valute e su quelli finanziari. Ma il buco che potrebbe divenire voragine indica soprattutto una cosa: il difetto non è nella falla, ma nella diga. Perché è questa a non essere stata costruita come si doveva. L’Europa ha fatto assai poco per se stessa – valanghe di retorica a parte – ma se avesse costruito almeno quella unione economica che si vanta di essere, non sarebbe possibile a nessuno al mondo attaccare sui mercati questo o quel paese. Questo è accaduto perché si è adottata una moneta unica, ma non si è realizzata un’unione economica che avrebbe compreso al suo interno anche i debiti pubblici (almeno fino al 60% dei singoli pil secondo i parametri di Maastricht) dandoli in gestione alla Bce. Lasciati in balia delle proprie debolezze i singoli paesi possono trovarsi di fronte alla domanda che mai avrebbe dovuto essere fatta: «Mi conviene ancora?». Così oggi è divenuta possibile anche la risposta proibita: «No, non conviene più».
Franco Bechis