Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 08 Domenica calendario

LETIZIA GUIDA LE DONNE CHE SANNO GOVERNARE

Non tutte le donne vengono per nuo­cere. La Letizia Moratti, per esempio, corre verso il se­condo mandato e inten­de guadagnarselo con la solita grinta e con la solita tranquillità, se i milanesi ci staranno. Il lavoro ben fatto, da quando ha as­sunto incarichi pubblici, è una sua prerogativa. Non gridata, non sban­dierata, considerata qua­si ovvia. È che la signora è fatta così. Se presiede la Rai, forma uno staff di prim’ordine, completa il suo mandato temperan­do le polemiche, speciali­tà aziendale, e restituisce all’azionista pubblico, concluso il mandato, una televisione molto dignito­sa. Se guida il ministero dell’Istruzione, fronteg­gia le solite rivolte di stu­denti e professori, specia­lità ministeriale e stagio­nale, con calma e savoir faire . Introduce nella scuola italiana il princi­pio di competizione, per­ché sa che l’ozio è il padre dei vizi e il monopolio bu­r­ocratico è differente dal­l’obiettivo primato del pubblico nell’educazio­ne statale. Se diventa sin­daco di Milano fa pochi scontenti, quelli ci sono sempre, ma tiene in pu­gno una grande città eu­ropea ricca di conflitti, la proietta sulla scena del mondo con il progetto dell’Expo, non si cura del chiacchiericcio, realizza quel che ha promesso, commette qualche inevi­tabile sbaglio, guarda e passa.
Presidente della tv di Stato, ministro o borgo­mastro, la Moratti è un ti­po di lead­ership femmini­le che persuade senza ne­cessariamente voler in­cantare, e per questo è og­getto di attenzioni spec­ia­li da parte del mondo ide­ologico che odia le perso­ne capaci, gli imprendito­ri in politica, la ricchezza familiare. Detesta in spe­cie chi mette soldi nella vi­ta pubblica invece di pre­tenderne, soprattutto se finanzia generosamente la comunicazione eletto­rale della sua campagna per Milano, uno scanda­lo per Beppe Grillo, il gran buffone simpatico e imbroglioncello che ve­de la vita privata come un albergo a cinque stelle, il suo simbolo elettorale, ma si comporta in modo molto austero nella vita pubblica. (Caro rispar­mioso Grilletto, per finan­ziare la mia campagna contro l’aborto ci ho mes­so duecentocinquanta­mila euro, mi dicono che tu ne hai messi a stento due o tremila, per riempi­re le piazze di un pubbli­co che al momento buo­n­o ti verrà a trovare al bot­teghino, infatti non cono­sci il precetto americano: put your money where your mouth is , metti il tuo denaro a garanzia delle tue parole, insomma cre­dici).
La Moratti è parte di una generosa filiera di donne politiche capaci di pensare il proprio lavoro, e di farlo in mezzo ai pic­coli e grandi linciaggi del­l’epoca dell’indignazio­ne, cioè dell’ipocrisia del­la menzogna. Penso alla Mariastella Gelmini, che è arrivata a Roma dalla Lombardia per mettere a posto le baronie universitarie, almeno in parte. Alla Mara Carfagna, che è stata aggredita in modo volgare perché è «die schönste Ministerin der Welt», la più bella ministro del mondo secondo la stampa tedesca, e ha risposto, delizioso paradosso, varando la benedetta legge che sanziona le molestie alle persone, lo stalking , e illustrandosi per la sua sincera battaglia contro l’omofobia in un governo con un presidente fin troppo macho . Alla Stefania Prestigiacomo, così radicalmente diversa per pragmatismo dall’ideologo dei rifiuti, il Pecoraro Scanio di buona memoria, il ministro che diceva sempre di no quando si trattava di buttar via la spazzatura. Non sopporto le retoriche al femminile, ma la donna in politica mi piace, quando è così.
Di Rosa Jervolino Russo o Russo Jervolino (non si è mai capita la successione onomastica) so poco. So quanto basta.
Come sindaco di Napoli, lei che è una brava persona in politica da un’era geologica, una professionista che meritava la pensione dieci anni fa, ha clamorosamente fallito. Ora detta interviste lagnose alla Repubblica , se la prende con Berlusconi che la odia perché non è «comprabile», e anche per soprammercato con il suo partito, il Pd, che l’ha sottoposta a uno «stillicidio » di critiche aspre e di menzogne selvagge, lasciandola sola davanti ai poteri forti. Napoli è un disastro, riconosce, uno sfasciume civile incorniciato dal più bel mare del mondo, ma la colpa non è sua e non ci si può fare niente, nemmeno criticare è lecito. Ecco un modello di leadership femminile che per fortuna è al tramonto.
Infine c’è la Emma, la Marcegaglia.
Ha riunito ieri gli industriali della sua associazione, la Confindustria. Dicevano che la riunione è «a porte chiuse», non ci volevo credere. In realtà sono invitati solo politici in stand by , ancora non provati dal consenso (come l’elegante golden boy Luca Cordero di Montezemolo, uno che farebbe bella figura alla Farnesina e pessima nella cucina della politica) perché quelli che il consenso lo hanno chiesto e ottenuto hanno altro da fare. Porte chiuse. Sfogatoio. Rinuncia. Della Marcegaglia, che è personalmente una donna operosa e mite, capacissima nel piccolo punto associativo, si ricorderanno frasi storiche come «ognuno faccia la sua parte» o «ci sentiamo tanto soli», non proprio stile Churchill. Un po’ grigia la performance come editore. Ma per il resto una missione onesta, firmati i contratti giusti, anche senza la superba Cgil, e qualche spintarella da comizio in favore della crescita, di tanto in tanto, è perfino arrivata. Il risultato in generale è che in Confindustria non c’è più la Fiat, una cosina così, e gli altri ci stanno con un po’ di noia da routine. In compenso c’è l’impresa «in rete», come se fosse un pesce. Ma non tutte le donne vengono per nuocere.