Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 08 Domenica calendario

Pakistan-America Dopo il raid è guerra di spie - Iradar pachistani erano spenti quando gli elicotteri americani andarono a catturare Bin Laden»

Pakistan-America Dopo il raid è guerra di spie - Iradar pachistani erano spenti quando gli elicotteri americani andarono a catturare Bin Laden». Questa è l’ultima verità nella storia di Abbottabad, attribuita direttamente al comandante delle forze aeree, e raccontata con vari dettagli tecnici per spiegare che questi congegni sono di diversa potenza, che hanno una vita variabile dai tre ai nove anni, che alcuni servono a proteggere le frontiere e che quelli meno potenti servono solo all’addestramento. Quindi gli americani non avevano oscurato le difese elettroniche del Pakistan, avevano trovato la porta aperta. Ma anche questa rivelazione, come ormai succede ogni giorno, è stata poi smentita da un portavoce. O forse aveva ragione il generale Gul, ex capo dell’intelligence e vero sostenitore dei talebani, che aveva subito dichiarato: «Quattro elicotteri americani erano decollati quella notte da Tarbela». Quella base, vicina alla grande diga omonima, è in territorio pachistano. È stata smentita anche la partenza per Washington avvenuta venerdì del generale Pasha, capo dell’Isi, dei servizi segreti, con lo scopo di discutere la situazione con i colleghi americani, i quali hanno anticipato che comunque chiederanno i nomi degli agenti probabili protettori di Obama. Lo stesso generale aveva smentito in precedenza di avere mai detto ad «Asia Times» che i pachistani avevano partecipato alla cattura di Osama. In sostanza è come se i militari avessero cominciato a creare una cortina fumogena per evitare il fuoco incrociato che dall’interno e dall’esterno li sta incalzando in quello che qualcuno al senato nei giorni scorsi ha definito «un disastro himalaiano», con riferimento all’altezza di quelle montagne, ma forse anche alla velocità con cui la neve si scioglie. Forse vogliono approfittare di quel fumo anche il presidente, il primo ministro e il capo di stato maggiore che ieri hanno avuto un vertice. Ma per reagire alle accuse di inefficienza, o di complicità, e condividere le colpe con il potere politico, i militari hanno sollevato la questione dei settemila visti di ingresso concessi a cittadini americani, senza che lo spionaggio avesse controllato queste richieste. Nell’elenco c’è, secondo un ambasciatore pachistano che non smentisce le sue affermazioni poche ore dopo averle rilasciate, un numero oscillante tra 1500 e 3000 agenti Usa che si muovono nel paese in piena impunità. Anche un giornalista degli Emirati Arabi, uno dei tre Paesi che riconosceva il governo del mullah Omar, stima in almeno 1500 queste presenze opache, in competizione se non in contrasto con gli uomini dell’Isi. Il rappresentante di questa compagine più noto, ma anche più detestato dai pachistani, è Rymond Davis, un ex uomo dei reparti speciali, poi passato alla compagnia privata di sicurezza Blackwater, reclutato dalla Cia, e arrivato qui con un passaporto diplomatico. Nel traffico congestionato di Lahore uccise due persone sparando alla schiena, e fuggendo poi verso il consolato, lasciandosi dietro cento bossoli, un passamontagna nero, e un pezzo di bandiera americana. Nella contestazione alle spie si è inserito dall’Afghanistan Amrullah Saleh, capo dei servizi in quel Paese negli anni recenti e oggi in pensione forzata. Sostiene di avere avvisato a suo tempo Karzai che il mullah Omar era protetto in una casa dell’Isi a Karachi, e che questa informazione aveva portato quasi allo scontro fisico tra il presidente afgano e il suo collega Musharraf che reagiva dicendo: «Siete venuti per insegnare a me generale di carriera come si fa lo spionaggio?». Sicuramente i militari hanno in mano due carte: i resti dell’elicottero americano, non più invisibile se i radar erano spenti, e le tre mogli con i nove figli di Bin Laden. Gli americani non potranno incontrare queste persone se non ci sarà l’autorizzazione scritta dei rispettivi Paesi di origine. Ma intanto una delle donne, Amal, yemenita, 29 anni, ferita dal commando, avrebbe raccontato ai suoi protettori pachistani che Osama era in buona salute, che non aveva bisogno della dialisi, e che prima di trasferirsi alla fine del 2005 nella residenza dove poi è stato ucciso, aveva vissuto per due anni e mezzo in un villaggio, nel distretto di Haripur, vicino ad Abbottabad. La notte dell’attacco erano andati a dormire e poco dopo sentirono il rumore e le esplosioni. È l’ultima persona che ha sentito, e capito, le sue parole. Intanto dalla casa della cattura escono, distillate con sapienza mercantile, sempre nuove immagini. Chi le ha scattate, chi le vende, chi le compra, quanto le paga, è un altro capitolo di questa storia.