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 2011  maggio 08 Domenica calendario

A GALLARATE LA LEGA «SPARA» SUL PDL: «PAGANO I VOTI CINQUANTA EURO L’UNO»

«Ni-noo! Ni-noo! Ni-noo!» . La sirena della polizia, nei manifesti della Lega Nord di Gallarate, ha un suono strano. Che si rifà al nome dell’uomo forte berlusconiano, Nino Caianiello, che i leghisti sotto sotto vorrebbero vedere in manette e dipingono come una specie di Satana. Peggio: ’ nu Satana «napulitane» , immigrato, del rione Sanità. Al punto che gli hanno scatenato contro una guerra termonucleare. Dichiarata direttamente da Bossi, che della disfida gallaratese vuol fare una prova di forza con il Cavaliere. Il quale, attraverso i suoi plenipotenziari, gli ha schierato contro un omonimo: Massimo Bossi.
La Padania qualche giorno fa lo ha scritto chiaramente: le alleanze con il Pdl «si fanno se convengono o sono inevitabili, altrimenti è meglio andare da soli» . E giù una lunga lista di comuni dove il Carroccio preferisce correre contro non solo il centrosinistra ma anche, se non soprattutto, contro il partito del presidente del Consiglio: da Azzano Mella a Urgnano, da Cologno al Serio a Pumenengo. Ma soprattutto a Desio dove, secondo il quotidiano leghista, esiste «un caso eclatante di incompatibilità fra la Lega e il Pdl» anche «per gli strascichi della nota vicenda delle infiltrazioni della ’ ndrangheta» . E più ancora qui, appunto, a Gallarate.
Sfiorata dall’autostrada che porta a Malpensa, 51 mila abitanti, nome dall’origine discussa (c’è chi la vuole romana come «borgo di Galerio» e chi celtica come «borgo dei galli» ), cresciuta e arricchita grazie a una miriade di piccole industrie meccaniche e più ancora tessili oggi in difficoltà, Gallarate non avrebbe nulla, all’apparenza, per diventare la posta in palio di una battaglia campale. Se non due dettagli. Il primo è che la Milano-Laghi divide la città da Cassano Magnago che è la «Betlemme» di Bossi. Il secondo che, agli occhi leghisti, è una roccaforte azzurra che stona nel verde del Carroccio.
«Sono pazzi di rabbia perché qui a Gallarate perdono da anni» , spiega Nino Caianiello, che lasciò il Vesuvio per la campagna varesotta dopo aver vinto la gestione di una ricevitoria del lotto e qui è salito ai vertici della politica locale prima socialista e poi berlusconiana. E spiega che tutto cominciò quando «fecero un congresso provinciale leghista vinto da Marco Reguzzoni, oggi capogruppo alla Camera, con 4 voti in più di una militante di Gallarate. Un altro avrebbe cercato di unire il partito. Lui no: fece sui gallaratesi, che non si sarebbero più ripresi, una repressione alla Gheddafi» .
«E la miseria! Alla Gheddafi!» , ride Giovanna Bianchi Clerici, schierata da Bossi alla conquista del Comune. Bionda, laureata in lingue orientali a Venezia per una cotta verso il giapponese (nel senso di idioma), master di giornalismo, parlamentare per due legislature, consigliere d’amministrazione Rai, è stata scelta dal Senatur, secondo i berlusconiani, dopo una seduta odontoiatrica. Lei conferma: «L’Umberto era venuto a Gallarate del suo dentista, Giampaolo Mocchetti, che gli aveva parlato di quanto succedeva qua. Lui è fatto così, ascolta la gente. E ha ribaltato tutto» .
Sulle prime, infatti, la Lega aveva scelto «un esponente della società civile» : Ugo Gaspari. Poi aveva cambiato cavallo puntando su un consigliere provinciale di 33 anni, Stefano Gualandris. Pareva la scelta finale. Al punto che negli scantinati sono ora ammucchiati i manifesti già stampati: Gualandris sindaco! Ce l’avrebbe fatta? Boh... Alle ultime Comunali, racconta Caianiello, «i leghisti avevano preso meno di An, il 9,8%. Pensa te...» . Un risultato quasi umiliante, per un partito che nel 1993 era riuscito a eleggere con 18 mila voti (un’enormità) il sindaco Angelo Luini.
Eppure, avrebbe detto il dentista mentre affondava il trapano tra i molari del Senatur, dopo il buon risultato raccolto alle ultime Regionali (26,8%in città) e dovuto alla rottura nel 2007 con il Pdl sullo spostamento di un campo nomadi, era «un peccato non provare a vincere» . Tanto più contro Nino Caianiello, del quale i leghisti pensano il peggio del peggio. Fatto sta che, mentre smaltiva l’anestesia, Bossi decise: «Ce la può fare Giovanna» . A costo di stringere un accordo, udite udite, coi finiani a Roma quotidianamente insultati. Da quel momento, lo scontro bossiani-berlusconiani è diventato frontale.
Certo, c’è anche un terzo incomodo, il candidato del centrosinistra Edoardo Guenzani, un dc di lungo corso che negli anni Ottanta fu vice-sindaco e assessore all’urbanistica. E non mancano altri candidati, come Andrea Buffoni (Unione Italiana) o il casiniano Andrea Rigliano. E non è escluso che, da questo scontro, possa uscire qualche sorpresa.
L’importanza «nazionale» di Gallarate, però, è tutta nella guerra Bossi contro Bossi. Nel senso che contro la consigliera della Rai schierata dal Senatur, Caianiello ha schierato l’attuale vicesindaco, Massimo Bossi. «Un Bossi falso» , dicono i leghisti.
«L’hanno scelto per far confusione» , brontola il ministro delle Riforme, che da allora è già avvenuto tre volte a sostenere la sua coccola. «Tutte sciocchezze, il "nostro"Bossi è da otto anni coordinatore locale del partito e assessore all’urbanistica uscente. Se anche si fosse chiamato Verdi o Rossi...» . «Parenti io e il Senatur? Per niente. Lui ha il suo Dna, io ne ho un altro. Siamo di ceppi diversi» , precisa l’aspirante sindaco. «E poi lui non ha mai lavorato. Io faccio l’imprenditore dal ’ 78. Ho cominciato quando avevo 13 anni, nella fabbrica metalmeccanica di mio papà. Il primo motorino, un Gilera, me lo sono guadagnato a 1000 lire l’ora» . Per la campagna elettorale non solo ha scelto di non sganciarsi dal passato ma anzi di rivendicare il lavoro che gli altri mettono sotto accusa, soprattutto sull’urbanistica, la cementificazione, lo spazio spropositato dato agli ipermercati. Lo slogan: «Il meglio è stato fatto. Ora vogliamo solo il Massimo» .
Più che con lui (anche se ripetono l’antico adagio «dimmi con chi vai e ti dirò chi sei» ) gli avversari prendono di punta però Caianiello. Per l’ammasso di cariche cumulato. Per le due inchieste nelle quali è coinvolto: «Un imprenditore mi ha accusato di avergli chiesto una tangente. Sto passando le pene d’inferno da 7 anni in attesa del processo che mi scagioni. E poi ho un procedimento per l’uso del telefonino: 350 euro in 18 mesi. Non so se mi spiego» . Per l’assunzione come direttore generale in una società pubblica dopo una gara bandita quando lui, coincidenza, era presidente.
Giovanna Bianchi Clerici, però, va più in là: «La città è stata governata da amici degli amici con comportamenti anche socialmente diversi da quelli che usiamo noi gallaratesi. Certe spese faraoniche... Il modo di porsi, d’uscire dalle macchine... Non so se mi spiego...» . Vuol dire un po’ «terroni» ? «Ecco... Ieri al bar mi hanno detto che offrono 50 euro per un voto. Non so se è vero. Ma girano delle voci...» . Sui muri il Carroccio ha incollato manifesti omicidi. Su uno, con la sirena della macchina della polizia che urla «Ni-noo!» , c’è scritto: «Più amministratori in Comune /Meno amministratori in Procura» . Su un altro: «Fuori le mafie da Gallarate» . E meno male che, da Roma a Busto Arsizio, sono pure alleati...
Gian Antonio Stella