Massimo Gaggi, Corriere della Sera 08/05/2011, 8 maggio 2011
IL BRITANNIA DEGLI INVISIBILI. UNA LEGGENDA DEGLI AFFARI
Oggi mestamente attraccato all’Ocean Terminal di Edimburgo, in Scozia, dov’è ormai ridotto a museo galleggiante, il Britannia è stato per decenni il Royal Yacht, il panfilo della famiglia reale britannica e anche una straordinaria piattaforma a disposizione degli imprenditori inglesi, un seducente strumento di pubbliche relazioni per attirare affari nella City di Londra. Tutto nato da un’idea di William Clarke, curiosa e affascinante figura di giornalista trasformatosi negli anni in imprenditore. Clarke, scomparso due giorni fa a 88 anni, fu il primo, nel 1960, a parlare, sul Times dell’innovativo mercato dell’eurodollaro che poi avrebbe prosperato proprio nella City. La sua notorietà è però legata soprattutto alla creazione, alla fine degli anni ’ 60 del Novecento, di un comitato, il British Invisible Export Council, che si dette il compito di promuovere l’attività di banche, assicurazioni, società di servizi e trading company britanniche nel mondo. Clarke, che nel 1966 lasciò il Times per fondare Euromoney e che poi passò alla rivista The Banker e pubblicò una serie di saggi, alla fine divenne direttore generale dei «British invisibles» e da questa posizione nel 1980 fece il colpo della sua vita: convinse la regina Elisabetta che durante le crociere reali in giro per il mondo, sarebbe stato «patriottico» affittare il panfilo per un giorno o due agli imprenditori, in modo da promuovere gli affari della City. Un «doppio uso» durato quasi vent’anni, fino a quando, dopo un’ultima missione in occasione del passaggio di Hong Kong dalla sovranità britannica a quella della Cina, alla fine del 1997 il panfilo andò in pensione. Troppo costoso, in tempi di «austerity» anche per la famiglia reale, continuare a mantenere quest’imbarcazione di 42 metri con 230 uomini di equipaggio che somiglia più a un transatlantico in miniatura che a uno yacht. Il Britannia è ormai una leggenda e lo è divenuto soprattutto in Italia -una leggenda infarcita di teorie cospirative e sulla quale sono stati costruiti vari strati di retroscena più o meno fantasiosi -per una sua missione del 1992. Il panfilo, attraccato a Civitavecchia, ospitò il 2 giugno di quell’anno, per una delle sue brevi crociere d’affari, una manciata di banchieri britannici e un centinaio di imprenditori e manager pubblici italiani, qualche politico, qualche accademico e tre giornalisti (tra i quali il sottoscritto). Arrivarono quasi tutti ancora insonnoliti sul molo di Civitavecchia. Tra le mani il cartoncino d’invito a nome della Regina Elisabetta, ma firmato da questi «British Invisibles» che suonavano come una specie di organizzazione segreta (il termine per gli anglosassoni indica gli affari -bancari, assicurativi, i vari tipi di servizi -che non comportano lo scambio di merci fisiche). La crociera durò poche ore. Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro di un governo in transizione (ministro era Carli, ma il gabinetto era appena caduto e Andreotti sarebbe stato ben presto sostituito a Palazzo Chigi da Giuliano Amato) aprì i lavori del convegno sottocoperta presentando il programma italiano di privatizzazioni di un Paese che a quel tempi aveva mezzo sistema industriale e le sue maggiori banche e assicurazioni nelle mani dello Stato. Poi salì su una lancia e tornò in porto mentre i capi di banche d’affari come Barings e Warburg spiegavano il vantaggi di una campagna di privatizzazioni ai capi di enti e banche pubbliche e di politici come Beniamino Andreatta (in quel periodo senza incarichi ministeriali) e Mario Baldassarri (allora un accademico). Ad ascoltarli c’erano il presidente dell’Eni (ancora ente pubblico) Gabriele Cagliari, il capo dell’Ina, Pallesi, quelli di Agip e Snam, Santoro e Pigorini, il vicepresidente dell’Iri, Gallo, ma anche Giovanni Bazoli, Rainer Masera, Mario Arcari -allora alla guida di Ambroveneto, IMI e Comit -e il direttore generale di Confindustria, Innocenzo Cipolletta. Grandi discorsi sulla necessità di ridurre l’area dell’industria pubblica e recuperare risorse per risanare il bilancio, ma anche molto scetticismo sulla capacità della politica italiana di farlo. Nel primo pomeriggio, dopo una puntata al largo dell’Argentario, lo sbarco. In realtà, anche se ancora non se ne era ben consapevoli, la svolta, quel 2 giugno, era già iniziata da un centinaio di giorni con l’arresto di Mario Chiesa e lo scoppio di Tangentopoli. Furono l’emergere degli scandali e la tempesta giudiziaria che decapitarono, oltre ai vecchi partiti, anche le principali aziende pubbliche e aprirono la strada all’ondata di privatizzazioni. Ma ovviamente, e forse non solo per i complottisti, è più suggestivo pensare che sotto la coperta del Britannia manager ben visibili abbiano venduto agli inglesi «invisibili» un pezzo d’Italia. La fabbrica dei retroscena aggiunse subito alla storia anche l’accordo sottocoperta per una massiccia svalutazione della lira. Inverosimile, prove zero, ma affascinante.
Massimo Gaggi