Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 08 Domenica calendario

“Impara da noi cinesi e trasformati in Tigre” - Ecco da dove viene una Mamma Tigre, la madre capace di incutere paura e rispetto: «Il mio cognome è Chua (Cai in mandarino) e ne vado orgogliosa

“Impara da noi cinesi e trasformati in Tigre” - Ecco da dove viene una Mamma Tigre, la madre capace di incutere paura e rispetto: «Il mio cognome è Chua (Cai in mandarino) e ne vado orgogliosa. Siamo originari della provincia del Fujian: un mio avo paterno, Chua Wu Neng, era astronomo di corte dell’imperatore Shen Zong della dinastia Ming, oltre che poeta e filosofo». Impossibile capire Amy Chua, e le sue convinzioni sull’educazione, senza tenere conto di questo: l’orgoglio per una storia familiare e nazionale alle spalle, che una madre emigrata in America, docente alla Yale Law School, vuole trasmettere alle figlie. Il filo che viene dalla corte dei Ming non deve spezzarsi. Cosa significa essere una «madre cinese», mentre si diventa americani? Amy Chua mi dice che non avrebbe mai immaginato un simile successo per il suo unico libro non professionale: «Battle Hymn of the Tiger Mother», (Il ruggito della mamma tigre), appena pubblicato in italiano. E’ convinta che a provocare un incendio abbia pesato il titolo con cui il «Wall Street Journal» ha presentato il suo libro: Perché le madri cinesi sono superiori. Quel titolo, «una forzatura che non condivido», è lo specchio delle paure dell’America: «C’è una fortissima ansia sul potere in ascesa della Cina. Se il mio libro si fosse chiamato il Ruggito della Madre Irlandese, nessuno si sarebbe sentito messo in discussione». Probabilmente Amy Chua ha ragione. Ma un po’ scherzando e un po’ contraddicendosi, spiega nella sua «storia su una madre, due figlie e due cani» perché la madre cinese ha delle carte in più rispetto ai genitori occidentali. Queste le linee di faglia, in uno scontro di culture che attraversa anche il suo matrimonio con Jed, ebreo americano: imposizione (cinese) contro libertà di scelta (occidentale); disciplina durissima (cinese) contro comprensione (occidentale); piano e violino (cinese) contro sport (occidentale). Esistono, scrive Chua, tre grandi differenze di forma mentis. La prima è che i genitori occidentali «sono costantemente in pensiero per l’autostima dei figli. I genitori cinesi no. Non partono dal presupposto che i figli siano fragili, al contrario». Quindi esigono sempre il massimo: un 10- è un brutto voto. Seconda differenza: «I genitori cinesi sono convinti che i figli siano in debito con loro». Non è chiaro da dove nasca questa convinzione, è probabile sia una «combinazione di devozione filiale insegnata dal confucianesimo» e dei sacrifici fatti dalla madre cinese, che per ore ripete insieme alla figlia gli esercizi di musica. La sostanza è che i figli cinesi devono trascorrere la vita «ripagando i genitori»; i figli occidentali no. Per il marito di Amy «i figli non ci devono un bel niente». Infine: «I genitori cinesi sono convinti di sapere che cosa sia meglio per i figli e quindi ne prevaricano desideri e preferenze». Gli occidentali, invece, pensano che sia giusto lasciare la libertà di seguire le passioni. Il risultato, conclude Chua in tono ironico ma non tanto, è che «questo Paese è in caduta libera». Aggiungendo, nella discussione finale con le due figlie, Sofia e Lulu: «Secondo me, i Padri fondatori degli Stati Uniti possedevano valori cinesi». E’ la graffiata finale della madre Tigre. Che in realtà nasconde una donna sensibile. Quando le chiedo perché un professore di Yale abbia scritto una biografia sentimentale, risponde: «Ho cominciato a scrivere Battle Hymn in un momento di vera crisi personale, quando ero in urto con la mia figlia più piccola, Lulu, e temevo di perdere anche mia sorella Katrin, ammalatasi di leucemia. Dopo uno scontro terribile con Lulu, mi sono seduta al computer. Ho spesso sofferto di blocco dello scrittore; quella volta le parole sono fluite come un fiume in piena. Con il senno di poi, penso che scrivere questo libro sia stato un tentativo di rimettere insieme i pezzi della mia vita». Si scopre poi che Amy Chua non ha solo granitiche certezze. Ha anche delle insicurezze: «Quando si tratta del modo di educare i figli diamo tutti prova di una strana chiusura mentale. Nessuno vuole sentirsi dire che sta facendo qualcosa di sbagliato, fosse pure una minima cosa. Ho riflettuto a lungo sulle ragioni di questa suscettibilità. Forse è l’insicurezza. Desideriamo tutte fare la cosa giusta, lo desideriamo disperatamente come madri; ma non ne siamo mai sicure. Forse perché la posta in gioco è altissima; e l’idea di dovere ammettere di avere sbagliato è terribile. Chiaramente, non esiste un’unica formula giusta per produrre bambini felici, sani, riusciti. E’ possibile che alcuni genitori occidentali siano inconsciamente preoccupati del fatto che il pendolo si sia spostato troppo in direzione di un’educazione permissiva». Per Amy Chua, che ha anche scritto un bel libro di relazioni internazionali («World on Fire»), educare le figlie è stato quasi un lavoro a tempo pieno. In Italia, così dicono le statistiche, il tempo per i figli continua a ridursi. Lei come ha fatto a trovarlo?: «Sono stata una madre molto giovane; oggi, solo rileggendo quello che ho scritto, mi sento esausta. E’ stato necessario sacrificare molte cose, fra cui la casa, che è stata per anni un autentico caos. Ma è vero che ho sempre avuto moltissima energia; e auto-disciplina. Avevo l’abitudine di alzarmi alle sei del mattino e di svolgere il mio lavoro accademico per un paio d’ore, prima di dedicarmi alle figlie per il resto della giornata. Devo confessare che la mia energia di madre è nettamente diminuita con il passare degli anni: sto ancora cercando di trovare un giusto equilibrio». Ma è possibile un giusto equilibrio? E in che modo le scelte individuali si traducono in performance nazionali? «Battle Hymn» ha suscitato tanto scalpore negli Stati Uniti anche perché è uscito nel momento in cui le classifiche «Pisa» attestavano per la prima volta la supremazia delle scuole di Shanghai nelle materie scientifiche, con il sorpasso di quelle americane. E’ un problema di scuole o di genitori? «Non penso che si possa generalizzare - risponde Chua -. Ci sono tipi diversi di genitori "americani": fra cui alcuni estremamente severi ed esigenti, cinesi, insomma. Uno dei principali punti di forza dell’ America sta proprio nel fatto che continua ad attrarre immigrati intraprendenti da tutto il mondo; e queste persone sono di solito lavoratori instancabili. A loro volta, sono spesso dei "genitori tigre"! Credo che sia lo stile "asiatico" di esercitare la funzione di genitore sia quello "occidentale" abbiano i propri punti di forza e le proprie debolezze. Oggi molti genitori asiatici stanno cercando un modo per incoraggiare nei figli una maggiore creatività individuale». Quindi anche la Cina fa «auto-analisi» sull’educazione? «Sì, certo. Non a caso, “Battle Hymn” - considerato in Occidente come il racconto di una visione educativa "estrema" - è presentato in modo diametralmente opposto in Cina. In Cina è considerato una storia sull’importanza di concedere maggiore libertà ai ragazzi. Ed è divertente che nella versione cinese il titolo del libro sia: "Fare il genitore secondo una professoressa di Yale: crescere i ragazzi in America". Non solo: una rivista cinese mi ha chiesto di dare alle proprie lettrici consigli su "come essere amica dei figli"!». In realtà, si fa fatica a definire amichevole il modo in cui la madre cinese ha tentato di imporre a Lulu di suonare il violino. La «guerra nucleare totale» con la figlia minore si chiuderà con una specie di pareggio. Amy Chua lo scrive: avrebbe voluto raccontare di come i genitori cinesi siano più bravi a crescere i figli, ma si è resa conto che le cose sono più complicate di così. La battaglia con la figlia ha aiutato anche la madre a diventare più umile. La figlia, alla fine, ha domato la Tigre.