Alessandro Capponi, Corriere della Sera 08/05/2011, 8 maggio 2011
L’AMERICA CON AMANDA: «DUBBI SULLE PROVE DEI PM» —
L’orario di messa in onda: 8 p. m., le otto della sera. Il titolo: «Omicidio all’estero, la storia di Amanda Knox» . Ma, soprattutto, per capire ciò che i telespettatori statunitensi potranno guardare questa sera, bastano le poche righe di lancio sul sito della Cnn: «Il corrispondente investigativo Drew Griffin rivela nuovi dettagli che gettano dubbi sulle prove controverse — coltello, dna, sangue e altre— presentate al processo di primo grado» . Se il lavoro della Cnn aiuterà quello della Corte di Perugia, è da verificare: di certo, il processo d’appello entra, adesso, in una fase decisiva che, a luglio, porterà alla sentenza di secondo grado. Gli americani, però, sembrano non aver voglia d’aspettare. Non ne hanno mai avuta molta, a dir la verità. La storia è cominciata tre anni e mezzo fa, nella notte del primo novembre 2007: Meredith Kercher, studentessa inglese, viene uccisa nella sua casina a poche centinaia di metri dal centro di Perugia. Il corpo nascosto da un piumone, la gola tagliata, tutto quel sangue. Da allora, l’unico condannato in via definitiva, a sedici anni, è Rudy Guede. Gli altri due, l’americana Amanda Knox e il pugliese Raffaele Sollecito, hanno preso ventisei e venticinque anni in primo grado. E, fin da quella sentenza, nel dicembre del 2009, la reazione statunitense fu di notevole perplessità. Della vicenda si interessò il segretario di Stato Hilary Clinton, le rispose il ministro degli Esteri, Franco Frattini: di certo, buona parte dei media americani criticò così tanto la giustizia italiana che, alla fine, rimane difficile stabilire se questo atteggiamento abbia aiutato o danneggiato Amanda. «In generale, il problema di alcuni giornalisti -spiega Barbie Latza Nadeau, di Newsweek -è che vivono in America e non seguono il processo. Parlano esclusivamente con la famiglia Knox. È una strada facile, per loro, ma certo la loro prospettiva spesso può apparire non proprio equilibrata» . Anche l’aspetto fisico della ragazza di Seattle -bionda, occhi chiari, molto fotogenica -può aver contribuito all’impatto mediatico: per fare un esempio, secondo Aldo Grasso fu lei «il personaggio televisivo del 2008» . Anche in questo caso, forse, non è facile capire se la grazia dei lineamenti abbia finito per aiutare o danneggiare la difesa di Amanda. Di certo, adesso, il processo d’appello è vicino alla sentenza. L’appuntamento più atteso, in aula, era previsto per domani: i periti nominati dal tribunale— Stefano Conti e Carla Vecchiotti della Sapienza — avrebbero dovuto depositare le risposte ai quesiti della corte. Ma hanno chiesto, e ottenuto, altri quaranta giorni. A detta di molti, dal loro responso dipenderà buona parte dell’esito dell’appello. Il coltello ritenuto in primo grado l’arma del delitto, il gancetto del reggiseno di Meredith con sopra il Dna di Raffaele Sollecito: fino a oggi, sono stati considerati pilastri dell’accusa. «Noi -dice l’avvocato difensore di Amanda Knox, Luciano Ghirga -contestiamo le modalità di accertamento del Dna. Per noi, il risultato non è attribuibile ad Amanda. Evidentemente la corte, concedendo le perizie, ha ritenuto di dover valutare le nostre obiezioni. La proroga chiesta dai periti? Aspettano dati che non sono ancora stati trasmessi loro. E comunque ben venga un accertamento quanto più approfondito possibile» . Ieri, poi, i difensori di Sollecito, Giulia Bongiorno e Luca Maori, hanno depositato una memoria per «dimostrare» che il clochard Antonio Curatolo, testimone d’accusa, sbaglia quando colloca i due ragazzi a pochi metri dalla casa di Meredith la sera dell’omicidio. «Dice che quel giorno si svolse il mercato. Ma i documenti del Comune dicono che non ci fu» . Insomma, la battaglia legale prosegue. E anche quella mediatica. Amanda Knox si oppone, anche legalmente, ai film e ai libri a lei dedicati. Ma c’è una sentenza che, forse, è già scritta: colpevole o innocente che sia, Amanda Knox è seguitissima dai media. Oggi, sulla Cnn, il «prime time» è tutto per lei.
Alessandro Capponi