
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I 27 ministri delle Finanze europei sono divisi e, mentre scriviamo, stanno ancora discutendo il pacchetto di misure da varare immediatamente per tenere a bada i mercati e impedire, oggi e nei giorni a venire, altri crolli delle Borse, altre catastrofi.
• Dove sta il punto della questione?
Una delle idee messe in campo già sabato era quella di stornare denari non utilizzati in un fondo comune, da creare apposta, e col quale si potrebbero aiutare i paesi messi alle strette, secondo modalità che, nel dettaglio, non conosciamo ancora. Ieri in apertura dei lavori, il ministro delle Finanze inglese, Alistair Darling, ha detto però che la Gran Bretagna non parteciperà a questo fondo. «E’ una faccenda che riguarda i Paesi dell’Eurogruppo», ha spiegato. Quelli cioè dove circola l’euro. Lei ricorderà che nel Regno Unito la moneta in circolazione è ancora la sterlina.
• Beh, dov’è il contrasto? Se la Gran Bretagna non vuole, non vuole.
Per far presto bisogna adoperare una clausola del Trattato di Maastricht esistente. Quelli dell’Eurogruppo vorrebbero appoggiarsi all’articolo 122 che garantisce assistenza finanziaria agli stati membri in difficoltà o che siano sotto seria minaccia di difficoltà. Se venisse approvato sulla base di questo 122, il nuovo meccanismo obbligherebbe anche Londra a contribuire. Gli inglesi spingono invece per un’altra via: allargare agli stati membri la procedura che oggi permette di soccorrere i paesi che non fanno parte dell’Eurozona, procedura di cui hanno già approfittato, per esempio, Ungheria, Lettonia e Romania.
• In definitiva, quali sono le misure alle viste?
Questo fondo, costituito in un modo o nell’altro, e che dovrebbe mettere insieme, almeno inizialmente, una sessantina di miliardi (ieri sera si è diffusa la voce di un piano tedesco per un fondo da 500 miliardi). Secondo: rafforzare l’ufficio statistico dell’Unione europea, detto Eurostat, per permettergli di accertare la verità sui conti pubblici degli stati membri. Terzo: la Banca centrale europea permetterebbe alle singole banche centrali nazionali di acquistare, con le riserve disponibili, titoli con rating bassissimi o inesistenti, in modo da aiutare i paesi che si trovassero momentaneamente in difficoltà (anche con questo meccanismo, come abbiamo spiegato ieri, resta una misura inevitabilmente inflattiva). Quarto: creazione di un’agenzia di rating europea, effettivamente al di sopra delle parti e maggiormente affidabile delle tre che dominano il mercato e che hanno avuto tanta responsabilità nella crisi dei subprime (si tratta di Moody’s, Standard and Poor’s e Fitch). Dovrebbe anche essere preso, d’accordo però con gli americani, un provvedimento che impedisca a queste agenzie di rating di parlare a mercati aperti. Al rapporto di Moody’s dell’altro giorno, diramato appunto con le Borse in funzione, si imputa una responsabilità nei crolli. Anche se sabato Roberto Perotti ha fatto questa domanda, retorica, ai politici che imprecano contro la speculazione: «Ma davvero costoro pensano che migliaia di analisti di tutto il mondo aspettassero il report di Moody’s per essere preoccupati per l’Europa?».
• Che cos’è alla fine la speculazione?
Scalfari ieri l’ha definita l’«attesa del mercato». Cioè: se io credo che un certo titolo salirà di prezzo lo comprerò, se invece credo che scenderà lo venderò. I 60 miliardi pronti a sostenere l’euro, che l’Ue si accinge a mettere in campo, potrebbero rivelarsi inutili e addirittura controproducenti. I mercati pensano davvero che la Grecia sarà alla lunga insolvente e che il destino dell’euro è segnato? Allora prima o poi venderanno, che si mettano in campo 60 o 600 miliardi. Anzi, la presenza di una presunta diga li renderà ancora più decisi.
• Ma la Grecia sarà insolvente? E il destino dell’euro è segnato?
Mi limito a registrare quello che hanno scritto concordemente i commentatori sui giornali di ieri e dell’altro ieri. Le possibilità che i greci siano disponibili a sacrifici tali da saldare il loro debito di 110 miliardi in tre anni sono prossime allo zero. La possibilità che l’euro continui a esistere e a circolare in un’area tanto ampia nonostante le differenze profondissime tra un’economia e l’altra sono egualmente prossime allo zero. Si comincia a ragionare – ieri il Sole 24 Ore ha dedicato all’argomento una bella pagina di Luigi Zingales – della possibilità di un euro-nord e di un euro-sud. Cioè: non lo spezzettamento generale, col ritorno di ciascuno alla propria valuta d’antan, ma la persistenza di due blocchi, uno a moneta forte, l’altro a moneta debole. una soluzione inquietante, nella sua versione italiana. Non favorirà una spaccatura? Non succederà che l’euro-nord circoli nella parte settentrionale del Paese (la Padania?) e l’euro-sud faccia rinascere il Regno delle Due Sicilie? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/5/2010]
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