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 2010  maggio 10 Lunedì calendario

PER L’EUROPA POLITICA IL BANCO DI PROVA E LA BCE DIFENDE LA SUA INDIPENDENZA

Oggi e domani sono due giornate decisive per testare se, come e quanto i mercati giudicheranno adeguato il complesso di decisioni assunte ieri dalla Commissione Europea, Ecofin, Consiglio europeo e BCE. Si capirà in poche ore se siamo davvero in presenza della nascita di un’Europa politica, o quanto meno di un suo primo funzionante abbozzo.
Quattro mesi di ritardo descrivono da soli la responsabilità di chi ha voluto negare che il problema fosse per tutti i Paesi membri e per la moneta unica stessa, invece che dei soli greci. La differenza l’hanno dovuta fare gli Stati Uniti. Obama ha dovuto attaccarsi per tre volte in due giorni al telefono con Angela Merkel, pregandola di evitare al mondo un bis del caso Lehman. La Merkel ieri ha raccolto in patria l’amaro frutto dei suoi niet: forse, avesse spiegato col giusto tono ai tedeschi che per difendere l’euro occorreva mettere in atto subito tutto il necessario, non avrebbe perso ieri nel Land del Nord Reno Westfalia, i cui elettori hanno punito la contraddizione trta i no del governo e le misure che si varavano a Bruxelles.
A tedeschi convinti, la linea del governo italiano e francese è divenuta prevalente. Si tratta ora di sconfiggere non più il fronte del no, ma il diavolo che – vieppiù in materie di tale complessità – si annida nei dettagli. Il diavolo ieri ci ha messo del suo, con il ministro dell’Economia tedesco Schauble improvvisamente ricoverato in ospedale a Bruxelles, il cancelliere Merkel a Mosca, e il ministro degli Interni de Maziere mandato in fretta e furia a sostituire il suo più autorevole collega. Cerchiamo dunque di distinguere i punti di forza ma anche i maggiori rischi collegati alle misure.
Un nodo molto delicato riguarda la Banca Centrale Europea. Per come è definita dal Trattato e dal suo Statuto, si tratta della banca centrale che, tra le grandi nel mondo, è per scelta alla sua nascita la più indipendente dalla politica. Molto più della FED americana, attualmente ”al traino” dell’amministrazione Obama. La BCE è per unanime riconoscimento il ”pezzo” di Europa comune più e meglio funzionante. E si è conquistata tale merito attraverso la sua indipendenza, manifestata non seguendo automaticamente le richieste della politica europea o le decisioni americane sul tasso d’interesse.
Uno dei punti di maggior rilievo riguarda il fatto che la BCE compri titoli pubblici dei Paesi esposti a sfiducia sul mercato, titoli dei quali si registra un eccesso di offerta con conseguente effetto di aumentare il tasso da offrire per venderne di nuovi, e di rendimenti di molto inferiori alla parità per chi volesse comprarli. Il rischio è che ai mercati questa novità appaia una ferita inflitta dalla politica all’indipendenza della Banca. L’articolo 143 del Trattato vieta alla BCE di acquistare direttamente dai governi i loro titoli di debito. Per questo gli acquisti sarebbero sul mercato secondario. Formalmente la norma resterebbe rispettata. Ma ieri il contrasto tra Trichet e il suo stesso presidente Sarkozy pare sia stato forte. La BCE chiede che i governi non invadano il campo. Si riserva tale intervento in totale autonomia, solo per un ammontare limitato, e per tempi ristrettissimi. Altrimenti sarebbe come dire che la Bce si presta alla monetarizzazione dei debiti nazionali. Il mercato potrebbe estendere le vendite di titoli pubblici a un numero crescente di Paesi e per tali quantità che, nel giro di qualche settimana, si potrebbe porre l’esigenza ai Paesi membri di dover ricapitalizzare la BCE stessa. Saremmo al classico gatto che si morde la coda.
Il secondo punto riguarda il Fondo Salva-Stati, quel primo abbozzo di Fondo monetario europeo che intanto si vara raschiando il fondo del barile delle disponibilità finanziarie della Commissione europea, e raccogliendo sul mercato fino a una settantina di miliardi di euro che potrebbero garantire risorse per leva finanziaria per 8-900 miliardi. Qui il problema sarà di regole molto precise e rigorose, per la concessione degli aiuti. E’ impensabile che Paesi di economia debole come la Grecia possano dedicare fino a 10 punti di Pil l’anno alla remunerazione del proprio debito mentre avranno crescite negative di 4 o 5 punti. Ma è altrettanto vero che senza impegni rigorosi l’effetto sarà quello che si è già visto ieri: la Polonia ha ufficializzato il ritiro della sua candidatura all’euro. Non è un Paese debole in meno a cui pensare: i polacchi hanno l’unica economia europea che non abbia conosciuto il segno meno, né nel 2008 né nel 2009.
 il nuovo Patto di stabilità da riscrivere, ciò che può dare o levare credibilità all’intero impianto delle misure varate ieri, trasformarle o meno nel primo passo verso l’Europa politica che tutti ora dicono di volere. Se non può essere una deflazione secca imposta a imprese e lavoratori, la via per difendere l’euro nei Paesi più deboli, significa che negli impegni rigorosi su cui vigilare in quei Paesi devono esserci misure che rendano più sostenibili e i debiti pubblici e insieme tali da realizzare crescita vera. Interventi sulla previdenza e sui mercati del lavoro, oltre a minori imposizioni e gravami sull’impresa, per fare esempi. La fine di un’Europa che si occupava solo dei saldi di bilancio, a favore di un’altra che promuova più produttività privata e meno inefficienza pubblica. Vedere per credere.