Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 10 Lunedì calendario

SALOTTI APERTI ALLE RIPRESE DI FICTION E SPOT

Chi l’ha detto che un appartamento comporta solo oneri? In Italia da qualche anno si sta facendo strada una nuova tipologia di affitto che permette di guadagnare anche se l’alloggio è abitato dai proprietari. Sono sempre più numerose, infatti, le produzioni televisive e cinematografiche che cercano location in cui ambientare una fiction o girare qualche scena. Ecco allora che alle agenzie di casting che reclutano attori e comparse si affiancano strutture specializzate nella ricerca del set perfetto.
Proporre la propria casa è semplice: basta contattare una delle numerose agenzie di location e dare la propria disponibilità. In genere sono richieste anche foto dell’alloggio, ma alcune agenzie preferiscono inviare sul posto un fotografo professionista in grado di valorizzare al meglio gli spazi. Immagini e descrizione della casa vengono inserite nel data base del service, che le proporrà a sua volta ai produttori in base alla loro esigenza. Può capitare, infatti, che un regista si rivolga all’agenzia per cercare una villa in cui girare un film in costume, ma sempre più spesso (soprattutto per gli spot pubblicitari e per le fiction) la richiesta riguarda appartamenti "normali", in cui poter ambientare una scena che riguardi personaggi molto vicini alla realtà.
Non serve, quindi, possedere una dimora storica per affittarla alle produzioni televisive: quello che prima veniva ricostruito nei teatri di posa adesso lo si trova nelle case vere.
Per la produzione questo comporta un forte risparmio, che si traduce in un bel guadagno per il proprietario dell’immobile. Se la casa è stata scelta come location per un film gli importi dell’affitto (temporaneo) vanno dai mille ai tremila euro al giorno, mentre per gli spot televisivi si parte dai 3.500 e si sale in base alle dimensioni e al prestigio dell’immobile.
Generalmente, il pagamento avviene al termine delle riprese, che possono durare da uno a tre giorni per una pubblicità (mentre per i film il tempo dipende dal numero di scene girate su quel set). Le cifre sono sicuramente molto invitanti, eppure prima di "buttarsi" in questa avventura bisogna valutare attentamente le condizioni del contratto di affitto temporaneo.
Prima di tutto, è necessario sapere che in genere le produzioni tendono a stravolgere l’arredamento della casa, spostando mobili e oggetti. Il proprietario che firma il contratto di locazione deve acconsentire a questi cambiamenti, fermo restando l’obbligo da parte della troupe di restituire l’immobile nelle condizioni in cui lo hanno trovato. Gli spostamenti dei mobili, però, possono causare danni: in questo caso è bene tutelarsi assicurandosi che la produzione abbia stipulato un’assicurazione che copra le spese.
Se l’appartamento si trova in un condominio, poi, sarà meglio inserire nel contratto una clausola che impegni il conduttore a non creare disturbo agli altri condomini o intralcio negli spazi comuni. Questa clausola, apparentemente superflua, è di fondamentale importanza se si pensa che una troupe televisiva si sposta con pesanti macchinari e numerose attrezzature, spesso da caricare nell’ascensore condominiale.
Un’altra condizione da mettere nero su bianco può riguardare i locali "privati", ossia quelle stanze che si desidera escludere dall’uso del regista. Il locatore può, infatti, mettere per iscritto il divieto di accesso alla propria camera da letto o al proprio bagno. Per esigenze di spazio, però, le produzioni hanno sempre bisogno di una camera da usare come "camerino" in cui troveranno posto il guardaroba e una postazione per il make up degli attori.
E proprio qui sta l’altro buon motivo (oltre al guadagno) che può invogliare a trasformare la propria casa in una location: potrebbe accadere di trovarsi George Clooney che sorseggia caffè sul proprio divano. Francesca Milano • AGGIUNGI UN OSPITE A TAVOLA - Il fenomeno è tutto italiano ma il nome è americano, homefood.
In effetti l’idea di aprire le cucine di casa agli ospiti (paganti) che vogliono vedere come si preparano le ricette tradizionali, scoprire i segreti della cucina tipica e vivere l’esperienza di un pranzo domestico, è stata "individuata" dagli anglosassoni, appassionati fruitori della tavola italiana.
In cucina
E Home Food si chiama anche il progetto che sta sviluppando questo nuovo filone turistico facendone un’esperienza sempre più apprezzata e richiesta, soprattutto dagli stranieri. Tanto che – come ha scritto il New York Times – un pranzo in famiglia in Italia è una delle esperienze da provare almeno una volta nella vita. Per l’ospite.
Invece per i padroni di casa può rappresentare un’entrata aggiuntiva, anche se «non è il guadagno la motivazione che spinge ad aderire a questo progetto quanto piuttosto la volontà di condividere un’esperienza di vita e una conoscenza culinaria» sottolinea Cristina Fortini, responsabile organizzativa di Home Food, il circuito che riunisce 500 padrone di casa, chiamate le Cesarine (ma ci sono anche i Cesarini). Per "vestire il grembiule" della Cesarina occorre dimostrare la giusta motivazione e la propria abilità. Una volta accettati in Home Food e pagati i 35 euro di quota annua si può decidere quando ospitare le cene in famiglia: vi possono partecipare solo i soci (oltre un migliaio) che pagano una quota di 30-40 euro (variabile secondo il menue i piatti cucinati) e che per l’80% finisce nelle tasche della famiglia ospitante (a coprire anche le spese per gli ingredienti, la preparazione e il riordino della casa).
Feste a tema
Non è solo cucinando che si può "monetizzare" la propria casa. Un’altra idea è quella di ospitare gli swap party, le festicciole in cui ciascuno porta gli oggetti (dagli abiti agli scarponi da sci, dai bijoux ai quadri) che vuole barattare. Questa formula, che sta riscuotendo successo anche presso locali e negozi, si adatta benea essere riproposta anche in casa. Basta invitare amici e conoscenti (e i social network sono un grande aiuto), magari individuando un tema preciso (bambini, abiti vintage, ecc) e prevedere una quota di partecipazione tanto da ripagare le spese per bevande e stuzzichini e garantirsi un minimo guadagno. E se l’esperienza piace o si scopre il proprio talento per il commercio, allora ci si può impegnare nella vendita diretta a domicilio, trasformandosi in un vero e proprio "consulente" per gli acquisti. Che si tratti di vendere cosmetici, integratori o casalinghi, la formula non cambia: l’incaricato alla vendita resta un intermediario, e quindi non deve acquistare la merce che propone e su ogni vendita percepisce una provvigione, inversamente proporzionale al valore della merce. « del 10-20% sui prodotti di alto valore commerciale (come gli elettrodomestici), del 25-30% sui prodotti di consumo quotidiano e del 40%, su cosmetici e prodotti per la casa» spiega Luca Pozzoli, presidente di Avedisco, che riunisce le principali aziende del settore e rappresentano circa il 50% del mercato nazionale delle vendite dirette. Manuela Soressi • UNA RENDITA DAL BED & BREAKFAST - la "regina" delle attività per chi vuole mettere a reddito la propria casa, integrando le entrate familiari: consolidata da anni all’estero come filosofia di viaggio, quella dei bed and breakfast (l’offerta di camera e prima colazione fra le mura domestiche) è una realtà in rapida espansione in Italia. La normativa di riferimento cambia da regione a regione, ma quasi ovunque il requisito base è la residenza e viene richiesto un carattere saltuario dell’attività. Per il resto, avviare un B&B è relativamente semplice: non è necessaria partita Iva o iscrizione nel registro delle imprese, gli adempimenti sono ridotti rispetto a un albergo, basta una semplice Dia per iniziare e non è imposto alcun obbligo per il cambio d’uso del fabbricato (anche se in Veneto, Sardegna e Sicilia, dove non è specificato nella legge regionale, capita che venga richiesto dal comune).
Trend e nodi
Il successo della formula sta nei numeri. In pochi anni, i B&B si sono moltiplicati in Italia e sono passati dai 10.176 stimati nel 2005 dall’Istat agli oltre 18mila dell’ultimo monitoraggio 2008, per un’offerta complessiva di circa 93mila camere.Il giro d’affari, secondo l’Anbba, l’Associazione nazionale dei B& B (riconosciuta nel 2004 dal ministero delle Attività produttive, attiva anche nel campo della consulenza a chi apre l’attività e nell’organizzazione di corsi formativi), è stato lo scorso anno di circa 400 milioni (-6% rispetto al 2008). Tuttavia, gestire un B&B, anche se part time, significa investire tempo e denaro. Ma, in assenza di controlli costanti, l’abusivismo e la concorrenza sleale sono diffusi, mentre i nodi aperti dalle legislazioni regionali sembrano remare contro la qualità, come sarà messo in luce dalla stessa Anbba, chiamata dal ministero a collaborare per la categoria B& B alla raccolta in un testo unico delle normative vigenti sul turismo.
«Il problema – spiega Stefano Calandra,presidente dell’associazione – è la giungla di norme locali che non solo limitano i giorni di apertura (in alcuni territori l’attività può operare appena 120 giorni l’anno) e mettono un tetto al numero massimo di stanze ma, in certi casi, addirittura impediscono l’uso di partita Iva». questo il caso dell’Emilia Romagna, dove la legge dice che il B&B non può essere svolto in modo professionale, o della Liguria, dove sono forti i limiti temporali. «Altrimenti – si giustificano le regioni – si rischia di fare concorrenza sleale agli alberghi, soggetti a molti più adempimenti». Scettiche però le categorie. «Il risultato – prosegue Calandra ”è che sifinisce per scoraggiare gli investimenti. La materia fiscale, poi, è competenza statale e le regioni non avrebbero titolo per intervenire. Mentre il limite delle tre stanze è contrario allo spirito europeo del B&B, dove ne sono permesse fino a sei».
Nelle regioni
Chi ha sposato la filosofia dei B&B, non vuole essere confuso con gli affittacamere, perché la differenza sta nell’ospitalità domiciliare. «In Veneto – spiega Enrico Giorgiutti, delegato regionale Anbba – stiamo lavorando per una proposta di legge che consenta un doppio livello di attività, di tipo familiare o di imprenditoriale per chi vuole stare aperto tutto l’anno o ha più di tre camere». Gli fa eco il delegato della Sardegna. «Il problema – osserva Vincenzo Morgera – è scoraggiare il fai da te. Inoltre, a volte sono gli stessi comuni a non essere informati sulle regole ». Anche in Campania è battaglia contro l’abusivismo. «Ci stiamo battendo per la qualità e la formazione degli operatori – spiega Marco Piscopo – e saremo fra le prime regioni a introdurre la certificazione volontaria per i gestori. Il pericolo da noi sta anche nel buco legislativo di una vecchia legge senza regolamento, colmato dai comuni».
Qualcosa, nel panorama nazionale, sta tuttavia cambiando. La direttiva Bolkenstein sui servizi impone alle regioni la liberalizzazione delle regole anche per le strutture ricettive. In alcuni territori, come il Piemonte, è stata introdotta di recente la cosiddetta Dia immediata (già attiva in Toscana, Veneto o Lombardia). Al contempo, sempre nel territorio subalpino, potrebbe scomparire l’obbligo della residenza, sostituito dal domicilio garantito con la prsenza fisica del titolare nel periodo di apertura. Una via in salita, che potrebbe però spianare la strada allo sfruttamento delle seconde case. Maria Chiara Voci