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 2010  maggio 10 Lunedì calendario

UN CYBER ATTACCO E L’AMERICA CROLLA

L’America è sotto tiro dei suoi nemici cibernetici e potrebbe finire vittima di un attacco micidiale, capace in meno di un quarto d’ora di provocare morte e distruzione. L’allarme è nel libro «Cyber War» (Guerra Digitale), uscito giorni fa negli Usa per la firma di Richard Clarke, esperto di controterrorismo con 30 anni di lavoro in agenzie governative sotto quattro presidenti.
Decine di migliaia di cittadini potrebbero morire, avvisa Clarke, in una sorta di «Pearl Harbor elettronica», se l’America non si attrezza prontamente contro il rischio di azioni di terroristi-hackers. L’esito potrebbe essere devastante come quello di un ordigno nucleare, paventa Clarke. «Nel primo decennio del 21° secolo gli Usa hanno sviluppato un nuovo tipo di arma, basata sulla nostra nuova tecnologia, ma l’abbiamo fatto senza una strategia ragionata», argomenta Clarke. «Abbiamo creato un nuovo comando militare per condurre una guerra high-tech, senza dibattito pubblico, discussione sui media, supervisione del Congresso, analisi accademica, o dialogo internazionale».
Simili comandi esistono in Russia, Cina e altri Stati: organizzazioni militari e dei servizi stanno preparando il campo di battaglia con le cosiddette «bombe logiche, piazzando esplosivi virtuali in altri Paesi in tempo di pace. Ma data la natura unica della cyber war ci possono essere incentivi a muoversi per primi, e i civili sono i più probabili target», è la raggelante profezia.
Lo scenario si apre con il collasso del cervellone del Pentagono, che si trasmetterebbe a catena ai provider di Internet. Tra gli effetti possibili: il blocco nel funzionamento sicuro degli impianti chimici, con la fuoriuscita di letali nuvole di cloro e di altre sostanze nocive. Le metropolitane delle maggiori città, da New York a Washington a Los Angeles, impazzirebbero trasformando il sottoterra urbano in un inferno di incidenti, scoppi e incendi, mentre nei cieli, saltati i controlli delle torri aeroportuali, gli aerei in volo sarebbero vittime di collisioni a catena.
«La nazione che ha inventato la nuova tecnologia, e le tattiche per come usarla, può non finire vittoriosa se le sue forze militari sono impantanate nei modelli del passato, sono sopraffatte dall’inerzia, troppo fiduciose nelle armi di cui si sono innamorate e che considerano di forza suprema», sferza Clarke, 59 anni, che dal 1973 al 2003 ha lavorato per la Casa Bianca. Con Ronald Reagan nella segreteria di Stato, con Bush padre da capo dell’antiterrorismo, con Bill Clinton come coordinatore per la sicurezza. Di Bush figlio è stato prima consigliere speciale per la guerra cibernetica fino al 2003, e poi critico feroce della guerra in Iraq. Negli ultimi anni si è messo in proprio, fondando la società di consulenza Good Harbor Consulting.
L’allarme di Clarke non è isolato. In una testimonianza al Congresso in febbraio Mike McConnell, ex capo della National Security Agency, era arrivato a dire: «Se dovessimo entrare oggi in un conflitto cibernetico, perderemmo». E il direttore della Cia, Leon Panetta ha azzardato che «la prossima Pearl Arbour sarà probabilmente un attacco informatico».