Tommaso Besozzi, L’Europeo n. 11 del 1952 ripubblicato su L’Europeo aprile 2001, 10 maggio 2010
L’amante gelosa sparò durante il Gran Galà - La notte fra il 15 e il 16 settembre 1948, a Villa d’Este, durante un trattenimento danzante, la contessa Pia Bellentani uccise con un colpo di rivoltella calibro 9 l’industriale comasco Carlo Sacchi
L’amante gelosa sparò durante il Gran Galà - La notte fra il 15 e il 16 settembre 1948, a Villa d’Este, durante un trattenimento danzante, la contessa Pia Bellentani uccise con un colpo di rivoltella calibro 9 l’industriale comasco Carlo Sacchi. La scena fu improvvisa e drammatica. Ad un tavolo della sala sedevano il conte Lamberto Bellentani e la moglie, Carlo Sacchi con la moglie Lilian Willinger, la cronista mondana Elsa Haerter e la signora Ada Locatelli Mantero, sorella del Sacchi. Ogni tanto Carlo Sacchi e il conte Bellentani si alzavano per fare un ballo non solo con le rispettive mogli e con le altre signore del tavolo, ma anche con le indossatrici di una grande sartoria milanese che aveva fatto sfilare i suoi modelli durante la serata. Verso mezzanotte, il conte Bellentani, che da tempo soffriva di dolori reumatici alla spalla destra, ricordò alla moglie che avevano stabilito di rincasare presto. Ma le proteste scherzose degli amici convinsero la coppia a restare ancora. Per quanto qualcuno abbia affermato che da quel momento la contessa Bellentani cominciasse a dar segni di nervosismo, nulla lasciava prevedere l’imminente tragedia. La contessa ballava spesso, sorrideva agli amici che la salutavano da lontano e beveva più del solito. Poco prima delle due, Lamberto Bellentani rinnovò alla moglie l’invito a rincasare, questa volta senza indugi. La contessa si tirò sulle spalle la pelliccia di ermellino e uscì dalla sala. Andò al guardaroba dove si fece consegnare un pullover giallo del marito e la rivoltella che il conte aveva lasciato in consegna al guardarobiere. Poi ritornò al tavolo dove il marito, preparandosi a lasciare la compagnia, stava bevendo un bicchiere d’acqua minerale. Proprio in quel momento, un cavaliere venne a chiedere un ballo alla contessa. Ella acconsentì senza sorridere, posò sopra una seggiola il pullover e la rivoltella, e si abbandonò fra le braccia del ballerino. La sala era in penombra, l’orchestra suonava un valzer. Finito il ballo, le luci si alzarono e la contessa ritornò al tavolo. Ripresa la sua pelliccia, se la accomodò sulle spalle e raccolse dalla seggiola il pullover nel quale era fasciata la pistola. Improvvisamente, si fece indietro di un passo, tirò fuori l’arma ed esplose un colpo in direzione di Carlo Sacchi, che scivolò quasi sotto il tavolo, senza un lamento. Nella sala accanto le coppie continuavano a ballare. L’esplosione aveva fatto poco rumore. L’industriale Robert Bouyeure, ch’era lì vicino, con le spalle voltate, testimoniò che gli era sembrato che si trattasse di uno schiaffo. Subito dopo l’arresto, la contessa Bellentani, seguendo i frettolosi consigli del marito, laureato in legge, depose che il colpo era partito per disgrazia. Puntando la rivoltella contro Carlo Sacchi, aveva voluto soltanto scherzare. Ma più tardi, interrogata con una certa fermezza dal commissario Manopulo, la contessa scoppiò in singhiozzi e raccontò una storia piuttosto confusa dalla quale fu facile capire che aveva ucciso Carlo Sacchi perché, dopo una relazione intima durata alcuni anni, l’industriale cominciava a dar segni di stanchezza. [...] La sera della tragedia, durante un ballo, la Bellentani gli aveva parlato delle proprie angosce, pregandolo di non abbandonarla. «Tu esageri sempre, come tutti i terroni» le aveva risposto il Sacchi, alludendo all’origine abruzzese della contessa. Fu forse quella risposta a spingere la contessa al delitto. Nel 1949, dopo qualche mese di carcere, Pia Bellentani fu messa in osservazione al manicomio di Aversa. Una settimana fa il dottor Giuseppe Giudice, procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano, ha cominciato ad occuparsi del delitto della contessa Pia Bellentani. Per qualche ora, da quella montagna di carta che ingombrava una buona metà del grande tavolo di noce massiccio non è emerso altro che un fiocco di seta nera. (Giuseppe Giudice porta costantemente il tocco in testa; e ne ha colpa l’architetto Piacentini, progettista del Palazzo di Giustizia: gli uffici dell’ultimo piano sono troppo vasti, hanno soffitti altissimi, non si riesce a scaldarli.) Poi, terminata la prima sommaria ricognizione, le cartelle gonfie di documenti sono state riportate in cancelleria, ma da quel giorno, ogni mattina, un fascicolo alla volta, ritornano sul tavolo di noce. Il procuratore generale ha, infatti, deciso di non affidare la requisitoria ad uno dei suoi sostituti. La sta preparando egli stesso. Sarà lui a tirare una conclusione da tante migliaia di pagine dattiloscritte, da tante prove (o supposizioni) contrastanti, chiedendo il rinvio a giudizio o l’assoluzione per infermità di mente. Il caso Bellentani meritava questo privilegio. un delitto «difficile». Tutto è trasparente nell’episodio finale del romanzo di Pia Bellentani, nella breve scena del dramma conclusa da quel colpo di pistola, la notte del 15 settembre 1948. La ricostruzione del fatto di cronaca non ha certamente imposto una lunga fatica al commissario di polizia. Ma gli interrogativi ai quali l’istruttoria deve rispondere sono molto più gravi e tutti portano alla formulazione del quesito fondamentale: la contessa Bellentani al momento del delitto era in grado di «intendere e di volere», oppure era pazza? Tra gli incartamenti dell’istruttoria c’è, naturalmente, anche una voluminosa perizia medica, firmata da un alienista illustre. Ma dovrà essere interpretata dal magistrato. E la sua conclusione toccherà grossi problemi sui quali, anche da noi, i giuristi della giovane scuola discutono, agitando idee di riforma, sostenendo la necessità di concedere più moderni mezzi di indagine alla giustizia. Giuseppe Giudice, giunto ad uno dei più alti gradi della magistratura, non è certo un giovane; e neppure uno tra i più accesi postulatori di riforme; ma le concezioni moderne, tenute a freno dalla prudenza, sono entrate a far parte del suo pensiero giuridico. nato sessantasette anni fa, a Favara, in provincia di Agrigento, ed ha trascorso quasi tutta la sua carriera in Lombardia. [...] Il suo nome è al sesto posto nella graduatoria dei magistrati italiani; ma è difficile che chi lo incontri in tranvai o per strada possa immaginarsi d’essere accanto ad un’«eccellenza» tanto importante: non è tipo che si preoccupi della piega dei pantaloni; né del nodo della cravatta; sotto il panciotto nero e lucido spunta la lana grigia di un farsetto a maglia; non tutti i giorni la pelle del suo viso è rasata. Anche questa è una legge: sappiamo tutti quante delusioni toccherebbero a chi andasse in cerca di eleganza tra gli uomini di pensiero, tra i personaggi importanti. E giurista di profonda dottrina, sia nel diritto civile che nel penale; ha presieduto e presiede diverse commissioni di studio per la riforma della legislazione. [...] Ma adesso è immerso nello studio del caso Bellentani. Quanto gli occorrerà, per portare a termine il suo lavoro? Alcune settimane, senza dubbio. Dovrà leggere e valutare centinaia di documenti, migliaia di pagine fitte. Poi stenderà la requisitoria, cominciando con l’esposizione del fatto, partendo proprio da quel colpo di pistola sparato a Villa d’Este, trenta mesi fa. Il punto essenziale sarà, come si è detto, la interpretazione della perizia psichiatrica e su di essa si impernierà la richiesta che potrà essere di rinvio a giudizio; o d’assoluzione in istruttoria; o di temporanea sospensione, nel caso risultasse che Pia Bellentani è impazzita dopo il delitto. [...] Dicono i giovani giuristi: «Le scienze hanno fatto enormi progressi: anche la psicologia, la criminologia, la psichiatria. Il loro campo si è approfondito, certe barriere che impedivano a ciascuna di invadere il terreno riservato per tradizione alle altre sono cadute; oggi, anzi, si aiutano vicendevolmente, e, appunto per questo, le possibilità di ricerca sono enormemente accresciute». Tommaso Besozzi