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 2010  maggio 10 Lunedì calendario

I "file" che non si cancellano mai la nuova sfida per gli archivi digitali - Lo chiamano Digital Dark Age, il medioevo digitale

I "file" che non si cancellano mai la nuova sfida per gli archivi digitali - Lo chiamano Digital Dark Age, il medioevo digitale. un ipotetico futuro in cui i documenti elettronici vengono perduti o a causa del progresso tecnologico diventano obsoleti e inutilizzabili, rendendo impossibile accedere alle informazioni in essi contenuti. Uno scenario considerato fantascientifico fino a dieci anni fa, quando la stragrande maggioranza dei libri, dei giornali e degli atti prodotti dalle amministrazioni era su carta. Ma che oggi, nell’era della digitalizzazione, è un pericolo reale, per evitare il quale ogni anno vengono investite centinaia di milioni di euro. Vediamo qualche caso. La Biblioteca Vaticana si è appena impegnata a spendere 50 milioni di euro in dieci anni per la digitalizzazione dei suoi 80mila manoscritti e la conservazione permanente delle copie elettroniche. Ma anche i National Archives del Canada spendono circa 10 milioni di dollari l’anno per la digitalizzazione e la conservazione "sicura" dei documenti elettronici, mentre i National Archives and Records Administration statunitensi hanno investito per le stesse operazioni circa 130 milioni di dollari dal 2002 ad oggi. I vantaggi dei formati elettronici hanno spinto archivi, biblioteche e pubbliche amministrazioni di tutto il mondo a produrre direttamente in digitale, o a trasformare in copie informatiche i vecchi documenti cartacei. Un processo che investe tutte le branche del sapere, dai libri scansionati e messi online da Google ai manoscritti antichi delle biblioteche inglesi, definito dematerializzazione. Un termine per la verità un po’ improprio perché sebbene i documenti elettronici abbiano perso la fisicità della carta, sono ancora conservati in luoghi materiali. Immensi archivi digitali che, spiega Sabrina Chibbaro, membro della commissione informatica del Consiglio nazionale del notariato, "sono sensibili agli stessi rischi cui erano sensibili i vecchi archivi cartacei: allagamenti, incendi, disastri naturali". E se questi rischi vengono minimizzati con backup dei dati in centri geograficamente distanti, c’è un altro pericolo da cui bisogna tutelare gli archivi elettronici: l’obsolescenza. Con l’evolversi della tecnologia, è probabile che formati e supporti oggi comuni "muoiano" rendendo impossibile l’accesso ai documenti nel futuro. «A me è successo con la tesi di laurea», dice Chibbaro. «Scritta con un programma che non esiste più e conservata su floppy da 5 pollici, i cui lettori sono ormai fuori produzione da vent’anni». Il notariato è fra i precursori della digitalizzazione: nel 2002 ha implementato la firma elettronica certificata, e dal 1997 ha costituito una commissione tecnologica per mettere a punto il sistema informatico. Il 28 maggio in un forum a Milano il Consiglio tornerà a illustrare i vantaggi dell’atto notarile informatico. «Finora abbiamo conservato una copia cartacea degli atti digitali. Il passaggio a un futuro paperless sia ancora lontano, ma ci stiamo preparando all’atto pubblico digitale, mettendo a punto un sistema di conservazione per mantenere accessibili i nostri documenti digitali per almeno 100 anni». Per garantirsi contro le evoluzioni tecnologiche future, i notai, con l’aiuto dell’Ateneo Federico II di Napoli, hanno scelto di creare un sistema di preservazione basato su software open source. «Utilizziamo formati aperti di cui conosciamo il codice, così che fra vent’anni sia ancora possibile scrivere un lettore per leggere i documenti che conserviamo». La scelta dell’open source nella conservazione digitale permanente, è comune. Nonostante esistano colossi come Ibm e Oracle che offrono sistemi evoluti di preservazione del materiale elettronico, archivi e biblioteche si rivolgono soprattutto a università e software libero. I processi di digitalizzazione, che impiegano centinaia di persone per tramutare la carta in bit, sono costosi, e se si dovessero pagare anche le licenze diventerebbero impossibili da sostenere. Anche la biblioteca Vaticana ha scelto, dopo un tentativo fallito dieci anni fa con l’Ibm, la strada dell’open source. E ora utilizza Fits, il sistema di archiviazione informatica libero messo a punto dalla Nasa, che è stata la prima a investire sul fronte della conservazione, per immagini e documenti dei viaggi spaziali. «L’utilizzo di formati proprietari – spiega Luciano Ammenti, responsabile coordinamento dei Servizi Informatici della Biblioteca Vaticana – non garantisce contro il futuro: alcuni prodotti tecnologici commerciali hanno un ciclo di vita di appena 5 anni. E l’impiego di formati chiusi potrebbe raggiungere costi inimmaginabili».