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 2010  maggio 10 Lunedì calendario

Tra Egitto e Libia il bengodi italiano - Vincenzo Corti era un giovane perito chimico quando cominciò ad andare in Marocco per fare consulenze nel settore delle materie plastiche

Tra Egitto e Libia il bengodi italiano - Vincenzo Corti era un giovane perito chimico quando cominciò ad andare in Marocco per fare consulenze nel settore delle materie plastiche. Si ambientò così bene che nel ”91 ha creato a Casablanca la sua azienda. «All’inizio producevamo sacchetti di plastica racconta poi ci siamo allargati nel domopak, negli involucri per l’acqua minerale, nei film plastici a bolle. Siamo sempre cresciuti a due cifre fino a 20 milioni di euro di fatturato, abbiamo 140 dipendenti tutti locali, il rapporto con loro è fantastico». Giuseppe Licciulli, amministratore delegato della Busi International, è sorpreso dalla professionalità degli interlocutori: «Stiamo costruendo ad Algeri il più grande ospedale del Nordafrica, 1000 posti letto e un’unità cardiochirurgica d’avanguardia. Gli algerini sono rigorosi nei controlli, non lasciano nulla al caso, lavorano con standard europei. E ci capiamo alla perfezione». Di storie così, ne abbiamo raccolte a bizzeffe. La sponda sud del Mediterraneo, i cinque paesi nordafricani, si conferma, come dice il Censis, «la vera Cina dell’Italia». Ed è molto più vicina.La tenacia dei nostri connazionali sfodera qui le migliori virtù. «Dal ”94 avevamo con alcuni partner una fabbrica tessile all’interno della Tunisia, dove il governo garantiva degli aiuti. Ma le cose non andavano bene, i dipendenti non imparavano a lavorare secondo standard di qualità, c’era un turnover frenetico», racconta Massimo Bizzotto, 40 anni, che però non si è dato per vinto: nel 2006 ha fondato la sua di azienda, la B&B Tricot, con la sorella Ida, nella zona industriale di Fouchana, vicino Tunisi. «Qui abbiamo trovato tutt’altra atmosfera, collaboratività, impegno. Oggi ci troviamo benissimo, abbiamo 250 dipendenti locali, siamo entrati in una sorta di Gotha imprenditoriale a contatto con i massimi vertici dello stato. E Tunisi è una città dove si vive alla grande, tutto costa meno, non c’è stress. Magari c’è un po’ di inshallah, nel senso che se ti mettono lo scaldabagno non è detto che funzioni, però poi telefoni al tecnico alle 11 di sera e lui arriva subito per 5 euro». Bizzotto, che fornisce abbigliamento in maglieria a una serie di grandi marchi italiani, ha colto l’opportunità garantita da una legge tunisina di fare un’azienda offshore: niente tasse ma tutta la produzione deve essere esportata. «Al pari di tanti altri, da Benetton a Miroglio», spiega Cecilia Oliva, capo dell’ufficio Ice di Tunisi. «Il governo ha scelto questa formula per garantire posti di lavoro (200250 euro al mese lo stipendio lordo di un operaio, ndr) senza invadere il mercato». Fra agevolazioni e finanziamenti pubblici l’impegno di Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto, è notevole. «Abbiamo 46 progetti infrastrutturali in pipeline con uno stanziamento totale di 16 miliardi di dollari», spiega Osama Saleh, presidente del Gafi, l’ente egiziano di promozione degli investimenti esteri. E snocciola con orgoglio le cifre: «Abbiamo già attratto investimenti esteri per 42 miliardi di dollari dal 2004 di cui 8,1 nel solo 2009». Secondo il rapporto Doing Business 2010 della Banca Mondiale, l’Egitto è tra le 10 economie che più hanno migliorato il clima degli investimenti, varando misure che creano un contesto normativo favorevole per la gestione di un business. «Il clima è cambiato da quando nel 2005 hanno tagliato le tasse sulle società dal 45 al 20% e hanno quasi azzerato i dazi sui beni industriali», spiega Antonino Mafodda, capo dell’Ice al Cairo. Bisogna essere bravi perché la concorrenza è dura in tutta l’area. L’anno scorso il governo algerino ha messo a gara due grossi lavori autostradali. I giapponesi hanno fatto una cordata delle cinque migliori imprese, uno studio serissimo, l’appoggio delle banche, e così hanno vinto l’appalto per il lotto est. I cinesi hanno ingaggiato il direttore della concessionaria autostradale locale, se lo sono portato a Pechino, hanno studiato insieme la partecipazione, e alla fine hanno vinto il lotto ovest. Gli italiani avevano diritto per accordi politici a un terzo appalto, una strada nordsud da 1,5 miliardi, ma le aziende hanno cominciato a litigare fra di loro, non hanno presentato offerte convincenti e alla fine non siamo riusciti a prendere neanche questo lavoro. Per fortuna la maggior parte delle storie è di successo. L’Eni è diventata la prima compagnia petrolifera sia in Egitto che in Libia e sta ulteriormente crescendo in Algeria, «come risultato di una presenza antica, costante e non interrotta neanche nei momenti più difficili, la guerra del Sinai nel ”67 e la faticosa ricostruzione successiva, il bombardamento di Tripoli del ”96 con il lungo isolamento di Gheddafi che ne è seguito, il golpe algerino del ”92 con lo strascico di violenze», racconta il direttore generale dell’Eni, Claudio Descalzi. «In Algeria, paese da cui compriamo gas per il 34% del nostro fabbisogno, ci siamo inseriti gradualmente anche nei programmi di sviluppo petrolifero. Dall’81 ad oggi abbiamo investito 4 miliardi di euro, e ne investiremo altri 3,5 nei prossimi 4 anni. In Egitto abbiamo una produzione, fra greggio e gas, di 220mila barili equivalenti al giorno, in Libia di 280mila. In tutti questi paesi abbiamo società in jointventure e questo ha certamente contribuito a farci accettare e a sviluppare il senso di collaborazione reciproco». Sulla via dell’energia è arrivata anche la Edison: «All’inizio del 2009 abbiamo firmato la concessione governativa per tre campi offshore di fronte ad Alessandria, e ora abbiamo cominciato a lavorare con una società operativa di 800 unità», racconta Pietro Cavanna, direttore degli idrocarburi, un veterano dell’Egitto: «Ho vissuto qui dieci anni fra gli ”80 e i ”90, allora lavoravo all’Eni, i miei figli sono andati alla scuola Don Bosco del Cairo, e già apprezzavo la buona volontà degli egiziani, la loro competenza. Spesso li formavamo qui per dislocarli in altre unità operative in giro per il mondo». I cinque paesi puntano con grinta sullo sviluppo industriale. «La Libia vuole recuperare il terreno perduto dice Enzo Papi, presidente di Termomeccanica e per le aziende italiane c’è un grande mercato potenziale da cogliere in un momento favorevole delle relazioni, e non solo a livello di governi». Il glorioso gruppo ligure, nato nel 1912, ha aperto nel 2008 un ufficio con 22 persone a Tripoli e ha vinto un appalto da 250 milioni per due depuratori nella capitale e uno a Misurata. «Dopo le elezioni del 2007 spiega invece Silvia Giuffrida, capo dell’Ice di Casablanca il governo marocchino ha fissato rigorosi obiettivi di sviluppo, tipo: entro il 2012 arriveremo a 10 milioni di turisti e 15 miliardi di investimenti esteri. Anno dopo anno vengono verificati e aggiornati. Questa città è la prova dei risultati conseguiti: moderna, funzionale, del tutto diversa da dieci anni fa, con un’ampia zona industriale. Piena di aziende italiane». Che le imprese arrivino a frotte lo conferma Bruno Gamba, direttore della Bank of Alexandria, acquisita tre anni fa dal gruppo Intesa SanPaolo grazie alla liberalizzazione del sistema bancario egiziano: «Gli egiziani sono un popolo fantastico, malgrado siano radicati nelle loro tradizioni religiose sono aperti e tolleranti verso tutti e hanno una gran voglia di progredire». Duecento filiali in tutto il paese, un milione di clienti, la banca è in crescita. «Da 38 anni giro il mondo, questa è l’esperienza più impegnativa e più interessante. Ci stiamo specializzando tra l’altro nel microcredito, con un occhio particolare alle imprese femminili, e abbiamo risultati ottimi». Che le opportunità della "costa sud" siano importanti lo conferma il Censis, che ha organizzato proprio giovedì prossimo, insieme con la Fondazione RomaMediterraneo presieduta da Emmanuele Emanuele, una conferenza internazionale a Palermo su questo tema. In occasione del forum, il Censis ha realizzato un sondaggio (vedere grafico) da cui emerge la fiducia della maggior parte degli italiani nello sviluppo dell’area mediterranea: e il nord, "leghista" ma pragmatico, l’ha compreso meglio di tutti.