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 2010  maggio 10 Lunedì calendario

BANCHE LA LUNGA MARCIA DELLA LEGA

passato quasi un mese da quando, il 14 aprile, Umberto Bossi annunciò il progetto di inserire uomini della Lega, fresca vincitrice delle elezioni regionali, nelle grandi banche del Nord. Ma al tuono non è seguita la tempesta. Il governatore del Piemonte, Roberto Cota, avrebbe avuto argomenti per dire la sua sulle nomine in Intesa Sanpaolo, e invece, almeno finora, è rimasto silenzioso. Il suo collega veneto Luca Zaia, l’altro governatore leghista, ha invece interpretato i detti di Bossi come un invito allo scontro con l’establishment bancario ed è intervenuto su Unicredit, ma alla fine ha sospeso le ostilità sulla base del fatto che già oggi la banca capeggiata da Alessandro Profumo presta alla clientela veneta più di quanto raccolga nella regione, circostanza nota da sempre. La verità è che le parole del leader della Lega vanno reinterpretate alla luce della realtà della politica e delle banche.
L’affondo di Bossi non è stato in alcun modo precisato e approfondito, in particolare laddove rivendica la subordinazione delle fondazioni agli enti locali, pena la caduta in una deprecabile autoreferenzialità. Ma l’alternativa secca tra potere impotente al guinzaglio di sindaci e governatori e potere autonomo ma irresponsabile è fondata oppure è una forzatura? Chi potrebbe autorevolmente rispondere nel mondo del Carroccio è Giancarlo Giorgetti, segretario lombardo della Lega e fiduciario del capo per gli affari economici. Ma il prudente Giorgetti tace. Si potrebbe dunque concludere che Bossi vada riletto oltre le apparenze. Probabilmente, il Senatur voleva rimarcare un ruolo della Lega anche nel mondo del credito – di una Lega vicina al ministro dell’Economia, ma non succube – più che scatenare una caccia alle poltrone: esercitare un’egemonia più che organizzare una propria burocrazia bancaria.
D’altra parte, per costruire un’influenza su banche ormai privatizzate, la Lega dovrebbe passare attraverso le fondazioni che delle banche ancora detengono quote di varia consistenza. Un passaggio fatalmente lungo e complesso: basti pensare che Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri, uomo di centrosinistra, è stato designato per due volte, e senza pentimenti, nella Commissione centrale di beneficenza, così si chiama il parlamentino della fondazione Cariplo, dalla provincia di Como a guida leghista.
Poteri locali
Del resto, basta leggere gli statuti sulla composizione dei consigli di indirizzo, i parlamentini delle Fondazioni, che poi eleggono i consigli di amministrazione e i presidenti, spesso assai inossidabili all’usura del tempo: la conclamata equivalenza tra enti locali e fondazioni è un mero artificio retorico.
Quando Zaia rivendica un ruolo d’indirizzo nelle fondazioni, esce dal seminato: gli statuti delle fondazioni venete sono unanimi nel negare alla Regione ogni rappresentanza in consiglio. In altre zone, le Regioni hanno rappresentanze, ma sempre minime. E se si pensa alla storia delle vecchie casse di risparmio e degli antichi istituti di diritto pubblico ormai privatizzati si capisce anche il perché: queste aziende di credito nascono per impulso dei notabili delle comunità locali tra il XV e il XIX secolo; le Regioni le ha varate il Parlamento nel 1970.
Assai più titolati a parlare, dunque, sarebbero i sindaci e i presidenti delle province in quanto grandi elettori dei consiglieri delle fondazioni. Ma dovrebbero farlo con prudenza per non mettere in imbarazzo i «loro» consiglieri i quali decidono senza vincolo di mandato e per non scontrarsi con gli assai più numerosi consiglieri espressi da Camere di commercio, università o loro consorzi, accademie, istituzioni culturali e artistiche, diocesi, associazioni professionali e non profit, ospedali e dagli stessi consigli uscenti ai quali è riconosciuta la facoltà di nominare direttamente – in pratica di cooptare – personaggi di varia eminenza.
Il peso delle rappresentanze degli enti locali – tra il 30 e il 40% dei consigli – non deriva da un golpe antidemocratico, ma da una sentenza della Corte costituzionale che dichiara illegittimo il comma, introdotto nella finanziaria del 2002 da Giulio Tremonti, che poneva le fondazioni sotto il controllo degli enti locali.
La società civile
Secondo il costituzionalista padovano Mario Bertolissi, vicepresidente di Intesa Sanpaolo, per la Corte il territorio si manifesta non solo attraverso la politica, ma anche attraverso le istituzioni civili, per loro natura trasversali o estranee ai partiti. E un altro giurista, Candido Fois, vicino alla Fondazione Cariverona e presidente di Unicredit corporate banking, ricorda come gli statuti, redatti nel 2004 e approvati dal ministero dell’Economia, articolino la governance in coerenza con la natura delle fondazioni quali persone giuridiche private senza fine di lucro, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo in piena autonomia gestionale.
Chi dunque volesse dare attuazione meccanica e immediata alle dichiarazioni di Bossi o del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, per riportare le fondazioni sono l’egida dei municipi dovrebbe tornare al Tremonti del 2002, al quale lo stesso Tremonti del 2010 dimostra di non credere più. Ma per farlo dovrebbe anche convincere la Corte a rivedere la sentenza numero 301 del 2003.
Una strada in ripida salita, resa addirittura impervia dall’incompetenza delle attuali classi politiche locali, come dimostrano le querelle torinesi nell’ambito del centrosinistra e le fughe in avanti leghiste in Veneto. Al momento, la forza delle cose e degli statuti consiglia, come dicevano i ribelli del ’68, una lunga marcia attraverso le istituzioni o, come dicono i leghisti di governo oggi, la costruzione paziente dell’influenza, man mano che si formi una nuova classe dirigente o che la vecchia si tagli le gambe con i propri errori.
Massimo Mucchetti