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 2010  maggio 10 Lunedì calendario

IL DEBITO E I TIMORI DI OBAMA L’AMERICA VUOLE PROTEGGERSI DAL CONTAGIO DELL’EUROPA

«Speriamo che le autorità monetarie della Ue» scrive sul suo blog il Nobel per l’Economia Paul Krugman «riescano amettere in piedi un intervento efficace a difesa della Grecia» e degli altri Paesi sotto tiro. «Altrimenti l’Anno Domini 2010 potrebbe diventare l’anno del domino 2010». Non è solo l’Europa ad aspettare col fiato sospeso la riapertura dei mercati, stamattina, dopo la pausa del weekend. Anche l’America ha paura e il timore è proprio quello citato dall’economista di Princeton: il contagio, l’effetto domino.
Il più preoccupato sembra proprio Barack Obama che ieri, oltre a partecipare alle consultazioni informali coi partner europei’ una «conference call» coi leader degli altri Paesi del G7’ ha chiamato di nuovo (lo aveva già fatto due giorni fa) il cancelliere tedesco Angela Merkel per invitarla a promuovere «misure energiche per ridare fiducia ai mercati». Subito dopo il presidente americano ha telefonato anche a quello francese, Nicolas Sarkozy, al quale ha rivolto una analoga sollecitazione.
Sono diversi gli economisti americani che avevano a suo tempo giudicato la moneta unica una costruzione intrinsecamente fragile, oggi tentati di mostrarsi soddisfatti perché le loro tesi si stanno rivelando fondate. In realtà di giubilo in giro non se ne vede: è ancora fresca la lezione presa da un’Europa che due anni fa reagiva con malcelata soddisfazione alla crisi dei mutui subprime, senza capire che quella tempesta che squassava l’America avrebbe ben presto investito anche i Paesi della Ue.
Si comincia, insomma, a capire che l’interdipendenza delle economie sconsiglia di gioire dei guai altrui. Mentre si diffonde il timore di trovarsi, un domani, davanti a difficoltà analoghe a quelle che Atene sperimenta oggi. Certo, le due economie sono molto diverse, ma gli analisti fanno notare che Grecia, Spagna, Portogallo, i Paesi più a rischio, non sono vecchi rottami alla deriva: ancora nel 2007 Atene aveva una deficit pubblico comparabile, fatte le debite proporzioni, con quello degli Usa e la Spagna era addirittura in surplus. Due anni di recessione globale hanno indebolito il quadro e gli Stati Uniti, che ora prevedono di aggiungere per molto tempo ancora mille miliardi di dollari l’anno al loro debito pubblico, sono diventati anch’essi assai più vulnerabili.
La speculazione per adesso guarda altrove, ma se i Paesi asiatici dovessero mostrarsi stanchi di acquistare titoli del Tesoro Usa, tutto potrebbe cambiare.
Ma gli effetti temuti non sono solo di lungo periodo: una crisi dell’euro è un grosso guaio anche per le banche americane, esposte per mille miliardi di dollari nei Paesi dell’area Ue. Istituti che rischiano di diventare anche loro di nuovo obiettivi di attacchi speculativi degli «hedge fund» che, utilizzando con abilità le tecnologie più sofisticate e gli strumenti derivati che amplificano l’impatto di ogni intervento, possono gettare nel caos i mercati. Ma l’allarme, in questo momento, riguarda in primo luogo i movimenti finanziari, ma dietro ci sono, ovviamente, le preoccupazioni relative all’impatto sull’economia reale: la crisi della valuta europea che fa salire come una mongolfiera il dollaro e il rischio di una nuova recessione nel Vecchio Continente rappresentano una grave minaccia per una ripresa economica Usa che dura da diversi mesi, ma che solo ora ha ricominciato a produrre nuove occasioni di lavoro. questa la principale preoccupazione di Obama. Arrivato quasi a metà del suo mandato indebolito dalla crisi e da una disoccupazione salita a livelli record, il presidente Usa per la prima volta aveva potuto tirare un sospiro di sollievo venerdì scorso, quando il ministero del Lavoro aveva reso noto che ad aprile sono stati creati 290 nuovi posti di lavoro: un incremento molto superiore a quello atteso dagli economisti. Ma poi la tempesta europea e il caos aWall Street hanno oscurato di nuovo l’orizzonte.
Adesso il timore della Casa Bianca è che una nuova tempesta possa interrompere la ripresa, materializzando il temuto scenario di una curva dell’economia che, anziché quella di una U, prenda la forma di una W. C’è poi il rischio che i Paesi resi più vulnerabili dalla rapida crescita dell’indebitamento – categoria alla quale gli Stati Uniti appartengono di certo – si vedano obbligati ad adottare immediatamente quelle misure di rientro dal deficit che l’Amministrazione Obama voleva introdurre in modo graduale, in nodo da rassicurare i mercati senza strozzare la ripresa e senza chiedere troppi sacrifici ai cittadini a pochi mesi dalle elezioni di mid term.
L’America continua a godere del margine di sicurezza garantito dalla flessibilità del suo modello economico a fronte di un’Europa che paga proprio la rigidità del meccanismo dell’euro. Ma, proprio perché ha un welfare leggero e un prelievo fiscale limitato, fa molta fatica a individuare tagli o aumenti delle entrate politicamente e socialmente sostenibili.
Massimo Gaggi