ELENA DUSI, la Repubblica 10/5/2010, 10 maggio 2010
SI CHIUDE IL BUCO NELL´OZONO DOPO 25 ANNI NON FA PI PAURA
Ci vorranno ancora dei decenni, ma la catastrofe annunciata si risolverà con tutta probabilità in un happy end. Il protocollo di Montreal, adottato nel 1987 da tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite, ha infatti bandito i clorofluorocarburi (cfc) responsabili della distruzione del gas che ci protegge dai raggi ultravioletti. Gli industriali si sono piegati al dettato Onu e hanno cessato la produzione delle sostanze killer. Di fronte a questo successo, gli scienziati si chiedono: riusciremo a fare lo stesso con il riscaldamento climatico?
La riflessione è affidata su Nature a Jonathan Shanklin, uno dei tre scienziati britannici che nella primavera di 25 anni fa si trovavano in Antartide a misurare l´ozono atmosferico. «Ricordo che all´epoca il pubblico attendeva con ansia una risposta dai governi. Le evidenze scientifiche erano forti e chiare. Il buco era percepito come una minaccia reale. C´era un legame fra assottigliamento dello strato di ozono e cancro della pelle». Soprattutto poi esistevano dei sostituti ai cfc usati in frigoriferi e bottiglie spray. Per gli industriali, il protocollo di Montreal fu un problema facilmente aggirabile. «In tempi brevi furono trovati dei sostituti validi ai cfc» spiega Claudio Cassardo, che insegna meteorologia, fisica del clima e dell´atmosfera all´università di Torino. «All´inizio i costi erano naturalmente un po´ più alti, ma si sono livellati verso il basso con il tempo. Di sicuro trovare un´alternativa al petrolio non sarà mai altrettanto semplice».
Shanklin nella primavera australe del 1985 si trovava al Polo Sud nella base di Halley, gestita dalla British Antarctic Survey. Il suo compito era gestire sul computer i dati raccolti. La sua esperienza in materia di clima era quasi nulla. Ma quando notò qualcosa di strano nelle misurazioni, ne parlò subito con i colleghi Joseph Farman e Brian Gardiner. Insieme, il 16 maggio 1985 i tre pubblicarono su Nature la notizia che lo strato dell´ozono si stava assottigliando. Ma gli effetti di quel grafico in rapida picchiata furono all´inizio assai scarsi. E un premier, la Thatcher, alle prese con la crisi economica continuò a puntare il dito contro gli "inutili" ricercatori della base di Halley, minacciando di tagliare i loro fondi da un momento all´altro.
«Siamo stati fortunati» ammette oggi Shanklin. Che nel suo recente articolo su Nature rivela di aver subito contattato i colleghi americani dell´università della California di Livermore per cercare conferme. Ma loro, con i loro sofisticati satelliti, prima non risposero, poi dissero di non rilevare alcuna anomalia. Il declino nella concentrazione di ozono osservabile sul cielo antartico tra i 15 e i 30 chilometri di altezza poteva infatti essere notato solo all´inizio della primavera australe, quando il freddo, una presenza particolarmente elevata di cfc causata dalle correnti atmosferiche del Polo Sud e i primi raggi ultravioletti provenienti dal sole danno il via alla reazione chimica che distrugge l´ozono. «Oggi è ancora presto per parlare di guarigione» ammette Cassardo. «I gas nocivi restano infatti per parecchi anni nell´atmosfera prima di svanire. Al momento osserviamo una riduzione della velocità di assottigliamento dell´ozono. Credo che ci vorranno altri 25 anni prima che lo strato inizi a crescere di nuovo». Le dimensioni del buco dipendono dall´andamento delle stagioni e le sue fluttuazioni da un anno all´altro sono ampie. Un inverno particolarmente freddo nel 2006 ha portato a una grandezza record, mentre nel 2007 il buco - mediamente equivalente alla superficie degli Usa - si è presentato sotto tono per poi riprendere forza l´anno successivo. L´allarme rientrerà completamente nel 2080, quando lo strato di ozono tornerà ai livelli del 1950, quando ha iniziato a calare. «Ma la lezione più importante di questi 25 anni - sostiene Shanklin - è quanto rapidamente il pianeta sappia modificarsi».