
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Disoccupazione in calo

Secondo l’Istat, la disoccupazione è calata a giugno di uno 0,2% rispetto a maggio. Il premier Paolo Gentiloni ha subito twittato: «Buone notizie sul lavoro. Meno disoccupati, anche tra i giovani. Aumenta lavoro donne. Fiducia in risultati Jobs Act e ritorno crescita».
• Ha ragione?
Chi sa. È vero che gli ultimi dati attribuiscono all’Italia una crescita un po’ più sostenuta del previsto. Ma si tratta in ogni caso di proiezioni, che saranno corrette tra un anno, quando non interesseranno più a nessuno. Confrontati con quello che succede in Europa i nostri numeri non sono così esaltanti. Quanto all’occupazione, lo 0,2% di giugno compensa un calo a maggio dello stesso 0,2%. In pratica, come ammette lo stesso Istat, siamo semplicemente ritornati sui livelli di aprile.
• Che cosa però ha determinato questo sia pur piccolo incremento?
Sono aumentati i dipendenti con contratti a termine, che hanno raggiunto il picco storico di 2,69 milioni, un livello mai raggiunto da quando si raccolgono questi dati (1992). Il numero di dipendenti a tempo indeterminato è invece fermo e il numero degli autonomi è addirittura in calo. L’Istat spiega anche che a determinare la crescita di giugno sono le donne: il 48,8% di tutti gli occupati è a questo punto di sesso femminile, e anche questo è un record da quando si raccoglie questa serie storica (1992). Gli occupati di sesso maschile sono invece leggermente diminuiti, specie nelle classi d’età 15-24 e 35-49. C’è però una crescita di 12 mila unità tra gli inattivi (saldo tra un incremento degli inattivi maschi e un calo degli inattivi femmine). Su base annua risultano in crescita gli occupati ulracinquantenni (+335 mila) e in calo tutti gli altri. Non so come questi dati non la annoino.
• Mi interessa sapere se i centri per l’impiego, previsti a suo tempo da Renzi, stanno dando qualche risultato.
Renzi aveva previsto che queste agenzie di collocamento venissero messe in capo allo Stato in modo da ottenere un coordinamento nazionale e rendere possibile una politica coerente in tutte le Regioni. Ma queste belle intenzioni facevano parte del pacchetto bocciato al referendum del 4 dicembre, col risultato che i centri destinati a incrociare la domanda e l’offerta di lavoro sono rimasti formalmente in capo alle Province, divenute però nel frattemo delle scatole vuote. Le Province hanno dovuto passare questa competenza alle Regioni, che tuttavia non vogliono farsi carico di scelte compiute a Roma. Quindi i 1.600 lavoratori da assumere per far funzionare i centri dell’impiego (si tratta di un impegno del Ministero del Lavoro vecchio di un anno), restano per il momento in un limbo normativo disperante: le Regioni si rifiutano di assumerli con l’argomento che prima si deve stabilire l’assetto definitivo di tutta la forza lavoro presente nei centri per l’impiego, circa 8 mila persone. E bisogna che lo Stato assicuri fin d’ora finanziamenti pluriennali, cosa che tuttavia potrà essere fatta solo con la legge di bilancio. La Provincia di Caserta, che sulla carta esiste, ha ricevuto i soldi destinati ai suoi centri per l’impiego e li ha adoperati per saldare i creditori.
• E i concorsi? Perché quelli si fanno...
A Genova per 69 posti da infermiere si sono presentati in 12 mila. A Roma per trenta posti di viceassistente in Banca d’Italia si sono presentati in 84.745. Ma anche sui concorsi non c’è da fare troppo affidamento, finché il sistema rimane questo. Gli esclusi fanno ricorso ai vari Tar, i Tar spesso gli dànno ragione e tutto si ferma. A Roma un concorso per 300 vigili urbani, bandito nel 2010, è stato sospeso per sette anni. Tra l’altro il concorso per l’impiego pubblico, previsto dall’articolo 91 della Costituzione, sembra che non selezioni affatto i migliori. Uno studio della Banca d’Italia, firmato da Cristina Giorgiantonio, Tommaso Orlando, Giuliana Palumbo e Lucio Rizzica, mostra che chi affronta un concorso studia per cinque mesi nei quali evidentemente non lavora. E i ricorsi lo tengono fuori dal sistema ancora per parecchio, sicché il costo per partecipare alla gara diventa alla fine consistente. Dicono i quattro studiosi che questo scoraggia «i candidati più capaci e con migliori prospettive di mercato».
• E nel privato? Perché almeno lì...
L’Istat, in un rapporto precedente, ha mostrato che il settore con più posti vacanti è quello dell’alloggio e della ristorazione. I posti disponibili sono undicimila. Ma non si riesce a riempirli. E la ragione in sostanza è questa: i turni di lavoro sono troppo pesanti e le paghe troppo basse. Anche per uomini e donne che il lavoro non ce l’hanno.
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