Millennium, 1 agosto 2017
Intervista a Erri De Luca
Tra le maggiori forze extraparlamentari oggi presenti in Italia c ’è di sicuro il partito di Erri De Luca. È un movimento erratico, si forma e compare al popolo degli (eiettori secondo l’ordine provvisorio e le necessità del suo capo branco. Che a volte sotterra le parole perché considera «un valore tacere in tempo». Erri trae origine da Harry, il nome inglese che gli affibbiò sua madre, ed è per metà scrittore e per metà belligerante. Rivoluzionario e insieme consolatorio. Intimista, poetico, ama la neve, le mosche, le fragole. Ha amato anche fare a botte. Ha amato gli agitatori del Sessantotto. tra cui lui stesso. Ha cimato Lotta Continua, di cui è stato responsabile del servizio d’ordine. Ha amato le molotov, la resistenza attiva e pronunciata. Ha amato la sua gioventù antagonistica e forse non apprezza abbastanza, ora che ha 67 anni, quella affranta di chi si reelude dentro internet. Il capopolo solitario ci attende a Mon o d’Oro, un paesino del teramano che guarda al Gran Sasso. «Se non veniva, oggi ero lassù»
FINITO IL NOVECENTO E FINITE LE PASSIONI, RIDOTTO IL PARLAMENTO A UN BUON ORNAMENTO, LA SOCIETà é ANIMATA DA FIGURE COME LA SUA.
Fungo da altoparlante, quel che faccio è solo amplificare la voce di chi lotta per una causa giusta e opportuna. Sono una destinazione d’uso. Non mi dimeno, non organizzo, viaggio quando posso e se ne ho le forze e la voglia. Sono come una casella postale: se condivido ricevo e faccio rimbalzare. Il Tap in Puglia, il Tav in Val di Susa, la grande questione di Taranto, gli ulivi del Salento. I migranti. Le battaglie che sento mie faccio mie. Nessun’altra illusione o disperazione.
L’HABEAS CORPUS DI ERRI DE LUCA.
Patto tra i cittadini sul diritto ad avere conservata la propria salute e il proprio territorio.
SEMBRA UN GUERRIGLIERO DELL’ALTRO SECOLO. QUANDO TIRAVA MOLOTOV IN NOME DELLA LOTTA RIVOLUZIONARIA, LA LOTTA CONTINUA AL CAPITALISMO E ALLA GERARCHIA AUTORITARIA.
È una storia chiusa, finita. Esiste il ricordo e null’altro. Certo, chi potrà mai negare che il Novecento sia stato un secolo davvero rivoluzionario, una lotta quotidiana tra oppressi e oppressori?
IL NOVECENTO È STATO ANCHE TRA I SECOLI PIÙ BARBARICI E VIOLENTI CHE SI RICORDINO.
Convengo. Il più grande martirio della storia dell’umanità. E anche il più grande sistema carcerario della storia dell’umanità.
E SE IL NOVECENTO FOSSE STATO SOLO UNA GRANDE, FEROCE. CLAMOROSA ILLUSIONE SULLA CAPACITÀ DI CAMBIARE IL MONDO?
Un mio amico di Sarajevo fa resistenza passiva al nuovo millennio. Rifiuta il duemila e scrive: 1999 + 1. No, il Novecento ha condotto noi nelle strade a
guardare in faccia al mondo. E a far pesare il nostro pensiero per cambiare il
mondo. Ci sentivamo con il peso del mondo sulle nostre spalle. Ho preso bastonate per la guerra in Vietnam, il mio primo compagno di lotte venne travolto mentre manifestavamo per l’Africa, lo Zaire, l’Angola libera. Il senso del mondo ci era più vicino, e il mondo stesso era come una moneta divisa esattamente in due. Di qua l’Occidente e di là il blocco sovietico. E bastava toccare anche il puntino più marginale di una delle due metà perché tutto si muovesse, e in tanti fummo chiamati dalla necessità di dare una nuova destinazione d’uso al nostro corpo.
IL SUO SESSANTOTTO È UNA FUGA DA CASA.
Decisi come prima cosa l’iscrizione al Pei. L’unica tessera di quel partito che abbia mai posseduto. Mi garantì la rottura completa col sogno della mia famiglia, in particolare di mio padre, che faceva il broker di alimentari, di un impiego statale. La tessera|
negava alla radice quella possibilità. Schedato, bollato, non avrei potuto più concorrere. Atto definitivo e inappellabile. E rammento l’iniziazione alla lotta, l’entrata in piazza, l’emozionante lancio di un fiasco riempito fino all’orlo con anilina che macchiò di rosso la parete bianchissima del consolato americano.
LE MOLOTOV.
La violenza era una necessità. Bisognava resistere all’oltraggio delle istituzioni e alla forza della polizia che a quel tempo sparava sugli operai e i braccianti. E la violenza, se vogliamo chiamarla così, serviva a sancire il nostro diritto di manifestare. Era un diritto intangibile e inalienabile sul quale nessuno di noi aveva la minima intenzione di trattare.
ERAVATE DENTRO LA STORIA, SENTIVATE DI AVERE UN FUTURO, DI COSTRUIRE UN FUTURO?
Devo dire la verità: non avevamo nessuna intenzione di lasciare qualcosa, un’eredità. C’era però il fuoco che ardeva forte.
CERA...
Il mondo era in maggioranza fatto di giovani, il lascito demografico del dopoguerra da questo punto di vista era stato straordinario. E si sentiva che la società ribolliva. Ribolliva, si emozionava, cantava, si batteva, si organizzava.
DI NUOVO LE MOLOTOV.
C’erano i regimi fascisti di Portogallo e Spagna, i colonnelli in Grecia e la burocrazia italiana era piena di soggetti che avevano sostenuto la dittatura, figli degli anni di Mussolini, coautori di una nazione ancora pervasa dal ribellismo. 11 mondo era tutto più vicino, e bastava toccare un puntino, uno qualunque, per essere dentro quella storia. Lisbona? Ceravamo. Atcne? Ceravamo.
OGGI È UN UNICO, INTERMINABILE SBADIGLIO.
Oggi i giovani sono minoranza. Se ri flette noterà che è stata abolita la parola vecchio.
Al massimo si concede anziano. Io – che di anni ne ho sessantasette – sarei anziano, ecco spiegato il problema. C’è una sudditanza psicologica verso quella che è una coriacea maggioranza in Europa. SONO BOLLITI I GIOVANI 0 GLI ADULTI?
I giovani sono così compressi, sparuti, disarticolati. L’astenia è il frutto di questo i-
solamento, la sudditanza è un segno aritmetico della minoranza. Infatti non sognano un lavoro ma già la pensione. Non c’è una vita ma un dopo vita. E l’Italia da realtà politica significativa, con il più grande Partito comunista d’Occidente e il più grande movimento extraparlamentare d’Occidente è divenuta una mera espressione geografica, una periferia economica. Tutto sommato insignificante.
PERCIÒ È LA PENSIONE IL NOSTRO NUOVO E DISPERATO SOL DELL’AVVENIRE.
Non c’è progetto, il mondo è fuori, lontano da noi e persino sconosciuto. In»
ternet è un paradosso a questo propositc Il mondo che fa rumore, che avanza, eh* spera e che lotta lo trovi lontano, magar in India. 11 mondo nuovo, il nostro future lo dovremmo cercare in Africa, lì è l’avvenire. E invece restiamo terrorizzati dai migranti, abbiamo paura dell’apparenza, di un fenomeno così naturale, organico, vitale per l’uomo. I migranti spingono il mondo e cercano il pane. Cosa c’è di enorme, straordinario? E tutto così logico e in qualche senso anche sperabile. L’Occidente si spaventa del cesto delle lumache. E una frase che in napoletano acquisisce colore e forma c sta a significare la pavidità, l’assoluta incomprensibile paura che ti coglie davanti a una scena tutto sommato mite: nel cesto delle lumache spuntano all’improvviso le loro piccole coma e noi rimaniamo atterriti da una visione che invece non ha proprio nulla di catastrofico. Ma sa che in Inghilterra non sanno a chi far raccogliere le fragole? E il loro prezzo sta clamorosamente lievitando? E in California, dopo forrenda chiusura deliberata contro i messicani, i vitigni non sono curati, le uve restano appese c attendono in me mento di mareire.
ECCO CHE COMPARE IL PARTITO DI ERRI. LI COL CASCO SULLA NAVE ONG A RACCOGLIER I MIGRANTI, SFIDARE, DENUNCIARE.
Faccio le battaglie in cui credo, nel mode in cui posso.
ELMETTO DA COMBATTENTE E POESIA. «I GESTI DEL NUOTO SONO I PIÙ SIMILI AL VOLO. IL MARE DÀ ALLE BRACCIA QUELLO CHE L’ARIA OFFRE ALLE ALI. IL NUOTATORE GALLEGGIA SUGLI ABISSI DEL FONDO».
Sono stato con i marinai della Prudence, la nave di Medici senza Frontiere, pescatori di uomini. Soffro questo mare, da una parte crociere in girotondo, dall ’altra parte zattere alla deriva. Questo è oggi il Mediterraneo.
ERRI DI LOTTA: «IL DECRETO MINNITI È INFAME. MI UNISCO AL VILIPENDIO».
Un avvocato che criticava il decreto che strangola gli unici atti di carità, di umanità verso chi scappa, era stato denunciato per vilipendio. Mi sono associato.
LEI È UN BUON FREQUENTATORE DI SOCIAL COME TWITTER.
Scrivo quando mi serve, per dire le cose che penso. Poi chiudo. Non leggo i commenti, evito col proposito di non trovarmi ingarbugliato e coinvolto in piccoli stracotti di polemica. Scrivo e guardo sempre avanti.
IN GENERE LE CRITICHE INFASTIDISCONO, PREOCCUPANO. FIACCANO ADDIRITTURA...
Non ci bado, non è un mio problema. Evito, semplicemente. Mi sembra una giusta autodifesa. Volessi leggere o rintuzzare ogni obiezione, avrei finito di campare.
#IOSTOCONERRI. QUANDO HA AUGURATO MILLE E MILLE AGGUATI Al CANTIERI TAV, ACCUSATO DI SABOTAGGIO E ISTIGAZIONE A DELINQUERE, IL SUO PARTITO SI È RICOMPOSTO ATTRAVERSO LA PAROLA D’ORDINE. LA RETE È ESPLOSA DI ATTIVISTI, INDEMONIATI, LETTORI MILITANTI, COSCIENZE SOLIDALI. LEI È COME RITORNATO AD ESSERE QUEL CHE ERA: UN BELLIGERANTE.
Era una battaglia da fare, un processo da affrontare. Le ho detto che sono un amplificatore, una destinazione d’uso. Ho dato voce a una battaglia sacrosanta contro un’opera inutile, dannosa, costosa, assolutamente illogica.»