la Repubblica, 1 agosto 2017
Addio libero internet, la Grande muraglia web va da Pechino a Mosca
La grande Muraglia di Internet si allunga fino agli Urali e la Russia di Vladimir Putin si allinea alla Cina di Xi Jinping. Addio libero web in (sempre meno) libero Stato, la censura online che già soffocava Pechino stringe il suo cappio intorno al collo dei russi. E mentre la Mela si piega agli ordini del Nuovo Mao, cancellando dall’Apple store cinese più di sessanta applicazioni che permettono di navigare liberamente, adesso è anche Mosca a chiudere il rubinetto dei Vpn, acronimo di Virtual Private Network, la Rete Privata Virtuale che consente di viaggiare su Internet senza essere riconosciuti o bloccati.
La stretta di Putin, che li vieterà dal 1° novembre, era attesa: non è dal web, cioè dal blog di Alexei Navalny, che è nata l’ultima sfida allo zar? Certo la Russia non è la Cina, dove la censura ha bloccato New York Times, Wall Street Journal, Facebook, Twitter e Google, e l’apparato di polizia web, due milioni di cyberspioni, è così attento che tra le grinfie del Dragone c’è finita pure l’Italia: 22 ottobre 2016, visita a Milano del Dalai Lama che Pechino considera nemico di Stato, il sito di Repubblica agibile come sempre tranne, sorpresa, l’articolo e soprattutto il video (con Richard Gere) in questione. Ma i russi hanno comunque un bel problema: perché se è vero che l’accesso a media e contenuti è più libero, il Vpn viene utilizzato «per mascherare le proprie tracce online», nota Josh Horwitz, l’esperto di Quartz. «E visto il controllo crescente di Putin su Internet, saranno sempre di più quelli che vorranno cercare di farlo».
I cinesi che lo hanno fatto, invece, sono finora tantissimi: almeno un terzo dei 650 milioni di chi si collega al web usa il VPN. Ed è su di loro che si abbatte la scura del governo – e di Apple. Tragica ironia della storia. Era il 1984 e il grande Steve Jobs per lanciare il suo computer si affidò a Ridley Scott, il maestro di Blade Runner. «Il 24 gennaio» diceva lo spot «Apple introdurrà il Macintosh. E vedrete perché il 1984 non sarà come 1984». Il riferimento era ovviamente alla profezia negativa di George Orwell. Nel mondo allora dominato da Bill Gates e dal suo Grande Fratello Microsoft, i ragazzi di Apple issavano la bandiera della libertà hi tech: e chi l’avrebbe mai detto che più di trent’anni dopo, mentre si apprestano a lanciare un iPhone che potrebbe costare fino a 1400 dollari, l’avrebbero riarrotolata sotto la Grande Muraglia?
In Cina non c’è neppure, per ora, una legge che vieta i Vpn: ma Pechino ha chiesto alle compagnie Internet e telefoniche di bloccare quelli che non soddisfano i requisiti governativi. È l’azione a tenaglia di Xi, tanto più alla vigilia del congresso quinquennale del partito che lo deve re-incoronare. Da un lato si estendono censura e blocchi, come quelli che l’altro giorno hanno cancellato perfino Winnie The Pooh, l’orsacchiotto reo di assomigliargli. Dall’altro si fa strage dei mezzi che permetto di bypassare i divieti. Per la libertà d’espressione è una tragedia. E che colpo per i visionari come Liu Xiaobo, il premio Nobel per la Pace morto il mese scorso nel letto dell’ospedale- prigione di Shenyang, che agli inizi degli anni Duemila scriveva che proprio Internet sarebbe diventata la piazza virtuale dove i cinesi si sarebbero potuti esprimere liberamente. Mai si sarebbe immaginato che il tradimento sarebbe arrivato (anche) dell’America che ci ha venduto Internet come la nuova democrazia, espressione del suo superiore soft power. E che l’unica voce levatasi contro è quella indovinate di chi? Di Jack Ma, il patron di Alibaba, che pure è grande amico e alleato di Xi.
Preoccupazioni diverse: l’uomo più ricco dell’Impero teme che il cappio al web possa alla lunga strozzare i consumi e quindi anche la sua piattaforma del commercio. Ma almeno il suo giornale, il South China Morning Post, l’ha scritto chiaro e tondo che «le restrizioni su Internet devono essere alleggerite e rimosse, non rafforzate». Invece Pechino ha appena introdotto una legge che in nome della cybersicurezza chiede alle compagnie straniere di conservare in Cina i dati di chi in Cina naviga: così sarà più semplice accedervi. E anche qui: chi è la prima a piegarsi? Sempre Apple: annunciando che spenderà un miliardo di dollari per costruire il suo data center nella provincia del Guizhou. Altro che Urali, allora: la Grande Muraglia di Internet si allunga fino al cielo, fino alla nuvola web, fino all’iCloud che conserva i segreti della nostra vita sempre più virtuale e ormai sempre più solo virtualmente libera.