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 2017  agosto 01 Martedì calendario

Fotoromanzi. Sognare dal parrucchiere con l’amore in fotogrammi. Grand Hotel arriva a tirare un milione di copie

Il 25 maggio 1947 era domenica, non andavo a scuola e il giorno dopo avrei festeggiato il mio decimo compleanno. Appena alzato sono corso all’edicola per comprare il primo numero di Bolero Film. Diciassette giorni prima, l’8 maggio, aveva debuttato Sogno. Grand Hotel li aveva preceduti di un anno, il 29 giugno 1946 ma lì le storie non erano illustrate dalle foto ma dai disegni di Walter Molino, l’autore delle copertine della «Domenica del Corriere». Bisognerà aspettare il 1950 per vedere le foto al posto dei disegni su G.H. Volevo leggere Bolero film, Sogno e Grand Hotel, prima di concederli al pasto famelico delle commesse e delle clienti di mia madre nel negozio da pettinatrice aperto la domenica fino all’una in una via del ghetto di Asti.
Per anni li abbiamo divorati, meritandoci, primo, il disprezzo («roba da serve») della borghesia colta che li leggeva di nascosto o dal parrucchiere. Secondo: l’anatema dei comunisti; le clienti di mia madre, invece di fantasticare su vicende inverosimili avrebbero fatto meglio a dedicare il loro tempo alla lotta di classe. Terzo: la condanna della Chiesa, leggerli era un peccato mortale. Visto che il mio confessore non me lo chiedeva, non perdevo tempo a dirglielo. Poi nel 1959 anche Famiglia Cristiana si sarebbe buttata sui fotoromanzi, con vite di santi, ovviamente, e risultati imbarazzanti. Si è arresa nel ’75.
L’amore è il motore
Nonostante o grazie a questa generale riprovazione, Grand Hotel, della casa editrice Universo dei fratelli Domenico e Alceo Del Duca, per 40 anni tocca senza interruzioni una tiratura di un milione di copie mentre Sogno (Novissima e poi Rizzoli) e Bolero film (Mondadori) ne sommano 600 mila. Erano distribuiti solo in edicola, non era previsto l’abbonamento o l’invio postale. Ogni copia aveva molti lettori. Milioni di «serve». Le storie sono lineari, senza episodi marginali e il motore che muove l’azione è sempre l’amore, che scocca all’improvviso fra due che neanche si conoscevano. Incatenati per sempre. Didascalia da Amarti e dirti addio, il primo fotoromanzo comparso su Grand Hotel nel ’50: «Il giovanotto sale agilmente sul palco e si pone di fronte alla signorina in rosa. I loro occhi si incontrano. È uno sguardo lungo, intenso, che per un attimo fa loro dimenticare il singolare luogo in cui si trovano». Quest’amore balzerà fuori intatto alla fine ma per realizzarsi dovrà superare ostacoli di ogni genere.
I più frequenti: un’altra donna che, perfida, riesce a mettere in cattiva luce l’amata; la famiglia che si oppone; da Grand Hotel, 1948: «Dottor Nicola Kampfen, vi scaccio di casa mia!». «Ma veramente, signor conte, Kate è la mia fidanzata». «Cosa? Voi, un semplice dottorello senza alcun titolo nobiliare fidanzato a una Maranher?». Altro ostacolo, il segreto inconfessabile, l’amata non ha il coraggio di confessare di essere figlia illegittima. La donna deve stare al suo posto. In Amore fra due spade (G.H. 1950) Manola va a caccia con un giovane tenente, spara e manca il fagiano: «Non ho preso niente, siete deluso di me?». Il giovane ufficiale: «Al contrario, sono entusiasta, come tutte le volte che vedo una donna fallire in un’impresa da uomo». Il sesso non è mai messo in scena ma solo alluso, non c’è mai un personaggio omosessuale, né uomo né donna.
Tutto in un giorno
C’è un unico uomo politico, in Catene del 1947, ma è un lord inglese. La qualità delle immagini evolve nel tempo, non sempre in senso positivo. Nei primi tempi le scene, illuminate con luci da set, consentono tagli sapienti, inquadrature con personaggi disposti a distanze diverse. Poi si passa all’uso dei flash che sfumano i contrasti. Dopo aver definito in ogni dettaglio le sceneggiature, una storia doveva essere realizzata in un solo giorno di riprese e per ogni inquadratura si scattavano al massimo tre fotografie. Abbondano i primi piani poiché gli editori iniziano ben presto a scritturare attrici e attori famosi, nonché presentatori (Mike Buongiorno, Mario Riva) e bisogna fare in modo che il lettore li riconosca. Al punto che i protagonisti guardano verso il lettore, dando la schiena alla scena. Troviamo Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Umberto Orsini, Claudia Cardinale, Paolo Poli, praticamente tutti. Sogno, «settimanale di romanzi d’amore e fotogrammi», il 20 luglio 1947, mette in copertina il primo piano di una 19enne «bruna e ardente», Gina Loris in seguito Gina Lollobrigida. Nel numero 49 del 1950 sarà la volta della «bellezza violenta e aggressiva» della 17enne Sofia Lazzaro, poi Sofia Loren. Sia Gina che Sofia tengono con enorme successo una rubrica di corrispondenza con i lettori, Gina giudiziosa («fa’ attenzione a non sognare troppo mentre lavori», scritto a una parrucchiera), Sofia più trasgressiva nelle risposte.
Il giovane Arbore
Agli inizi degli Anni 70 si affaccia alla ribalta un nuovo competitore, mentre Rizzoli e Mondadori, vergognandosi di fare una montagna di soldi con i fotoromanzi, non citavano le relative testate nei cataloghi ufficiali. Si tratta della casa editrice romana Lancio che inventa la categoria dei divi da fotoromanzo, primo fra tutti Franco Gasparri. Katiuscia è così amata da dare il suo nome a una delle 15 testate della Lancio. Degli oltre 10.000 fotoromanzi realizzati dal 1946 al 1978 il mio preferito è quello dove Renzo Arbore non si toglie mai la maschera da clown, si nasconde nel circo Orfei perché in realtà è un medico condannato all’ergastolo ed evaso. Riconosciuto innocente è sua la battuta finale: «Tornerò nel circo, farò il clown... per restarti sempre vicino, Liana. Sempre». Il pomeriggio, finiti i compiti, mi acquattavo nel negozio di mia madre e ascoltavo le chiacchiere delle clienti con la testa infilata nel casco. Credendo di sussurrare alle vicine urlavano come aquile. Si raccontavano i loro segreti. Erano frammenti di storie incasinate, ricche di sotterfugi, inganni e menzogne. Doppie e triplici relazioni portate avanti in allegria. Pensavo: dove sono i tormenti, le catene, le espiazioni, i figli della colpa? Che sia questa la vita vera?