la Repubblica, 1 agosto 2017
Venezuela verso lo scontro finale Usa e Ue: «Maduro è un dittatore»
I prossimi obiettivi del presidente venezuelano Nicolás Maduro sono il Parlamento, quello eletto nell’ultima elezione democratica, dicembre 2015, dominato a maggioranza dagli oppositori; e la Procura, dove un giudice da lui confermato, Luisa Ortega Diaz, si è opposta alla svolta totalitaria della Costituente in nome dei principi originari di Chávez che Maduro avrebbe violato. Così dopo quattro mesi di rivolte e centoventi vittime, e nonostante il risultato del voto di domenica sia ancora praticamente ignoto, l’unico scenario che si profila nel futuro del Venezuela è quello di una definitiva stretta repressiva se le Forze armate, come hanno fatto finora, sosterranno il presidente e gli altri eredi di Chávez nella loro deriva autocratica.
È l’ennesima crisi politico- umanitaria nella quale la comunità internazionale ha pochissime capacità di manovra e dove è del tutto assente un soggetto esterno capace di ridurre al minimo i rischi di uno scontro finale tra due forze ormai irriconciliabili. Ieri, numerosi Paesi latinoamericani, gli europei e gli Stati Uniti, si sono rifiutati in blocco di riconoscere la nuova assemblea costituente. Il premier italiano, Paolo Gentiloni, ha dichiarato secco: «In Venezuela c’è una situazione al limite della guerra civile e al limite di un regime dittatoriale. C’è una realtà che non riconosceremo: noi – ha concluso - non riconosceremo questa assemblea costituente voluta da Maduro». Posizione largamente condivisa. Ma poi? Donald Trump, nonostante tutti i suoi guai, è l’unico che aveva tracciato una linea rossa oltre la quale sarebbero scattate sanzioni molto concrete da parte di Washington. Ma gli americani si muovono su un terreno minato. Un’idea diffusa, la sostiene un opinionista come Moises Naim, è che qualsiasi mossa americana non rischi altro che rafforzare il regime di Caracas e la sua sceneggiatura “anti- imperialista”.
La creazione del nemico imperialista, che nel turbine della carestia ha sempre meno appeal sul fronte interno, funziona invece tra gli alleati di Caracas. Cuba, la Bolivia di Evo Morales, il Nicaragua, il Salvador e l’Ecuador sono scesi in campo a fianco di Caracas. E un attore molto più pesante, come la Russia di Putin, ha già detto che, se gli Stati Uniti decidessero di interrompere l’acquisto di greggio venezuelano ci penserebbero loro a ricollocarlo sui mercati. Washington è il maggior acquirente vero del greggio venezuelano. Fanno 740mila barili al giorno e numerosi milioni di dollari. Perché il resto, tutto quello che va in Cina, serve a pagare debiti di prestiti miliardari di Pechino che la “rivoluzione” ha già dissipato da un pezzo.
Probabilmente è per questo la minaccia di Putin e il sospetto che sanzioni sul greggio possano essere controproducenti – che ieri la Casa Bianca ha colpito soltanto Maduro con un nuovo embargo ad personam simile a quelli già effettuati su numerosi dirigenti politici del regime venezuelano. Dopo averlo, per la prima volta, definito “dittatore” Washington ha detto che verrà congelata qualsiasi proprietà di Maduro, o della sua famiglia, negli Usa e proibisce ai cittadini americani di fare affari con lui.
La deviazione fortemente totalitaria di Maduro è iniziata quando il partito dei chavisti, Psuv, perse le elezioni parlamentari nel dicembre di un anno e mezzo fa. Fu una sconfitta talmente netta che Maduro capì che avrebbe potuto conservare il potere soltanto evitando qualsiasi altro appuntamento elettorale, mentre crisi economica e carestia demolivano l’appoggio delle classi meno abbienti che era stato così largo e solido negli anni di Chávez. Già da allora iniziò un lavorio di mediazione che ebbe il suo momento più fiducioso con l’intervento del Vaticano e di Papa Francesco. L’ex presidente del governo spagnolo ha trascorso settimane a Caracas nel tentativo che governo e opposizione trovassero una road map per uscire pacificamente dall’empasse. Ma ogni volta c’era un dettaglio più o meno importante che faceva saltare tutto.
Fino all’invenzione della Costituente. L’ennesimo strappo visto che per legge nel modo in cui l’ha convocata Maduro è illegittima. Ora la nuova assemblea deve insediarsi nel palazzo del Parlamento. Julio Borges, il presidente della Camera, ha detto che i deputati resisteranno nel palazzo “costi quel che costi”. Lo scenario per lo scontro finale è servito. Dopo, ogni finzione democratica sarà cancellata.