Il Sole 24 Ore, 1 agosto 2017
Caracas sull’orlo della guerra civile. L’opposizione contesta l’esito del voto sulla Costituente. Maduro minaccia il Parlamento
Scontri di piazza e guerra di cifre. Il Venezuela sull’orlo del baratro: tredici morti e tensione alle stelle. È questo il primo effetto del voto sull’Assemblea costituente. Eppure il governo annuncia trionfalmente una partecipazione elettorale pari al 41%, incurante dei dati rilasciati dall’opposizione che parla di un’affluenza ben inferiore, 12 per cento. Il governo venezuelano, da oggi, imbavaglia l’opposizione e assume un’attitudine palesemente dirigista. L’opposizione denuncia la repressione.
La contrapposizione, se possibile, è ancora più aspra: Maduro tira dritto e vara la riforma nelle stesse ore in cui il presidente del Parlamento venezuelano, Julio Borges, lancia un monito: si sta andando verso «uno scenario molto probabile di scontro violento» a Caracas. L’opposizione non intende cedere le sede del potere legislativo all’Assemblea Costituente eletta ieri, di cui non riconosce la legittimità». E poi ancora: «Dobbiamo fare valere un fatto fondamentale: questo Parlamento, eletto da oltre 14 milioni di venezuelani, è l’unica autorità eletta e legittima nel paese. Ci tocca difendere la legge e la Costituzione», ha detto Borges in un’intervista radiofonica.
Gli intellettuali liberisti che per anni hanno pubblicato editoriali graffianti contro l’ex presidente Hugo Chavez, non lo dicono apertamente ma nei loro interventi si legge in filigrana il paradossale rimpianto per la follia visionaria dell’ex presidente deceduto nel 2013. Ne rimarcano però l’errore più grande: cooptare Maduro, ex autista di autobus e poi sindacalista.
Le cinque crisi
All’indomani del voto, non si intravvede alcuno spazio di mediazione. «Andiamo avanti, contro il complotto imperialista», tuona il numero 2 del governo, Diodado Cabello. «La piazza, la piazza e ancora la piazza», replica il deputato oppositore Richard Blanco.
Chissà come finirà. L’unica certezza è l’intreccio di cinque crisi: quella alimentare, quella istituzionale, quella economica, quella politica e quella sociale. È questa la sintesi, in ordine di importanza, che vivono 31 milioni di venezuelani.
La scarsità di cibo, l’accaparramento, l’inflazione al 700% annuo, le code infinite per il pane, la scomparsa della carta igienica e di generi di prima necessità sono storie di vita quotidiana che si perpetuano da molti mesi. È l’incubo di una progressiva erosione dei principi democratici che rende irrisolvibile la crisi venezuelana: ieri Maduro ha annunciato che toglierà l’immunità ai deputati oppositori, conferendo così al suo Esecutivo tratti realmente dispotici.
L’altra crisi, quella economica, viene da lontano: dal crollo del prezzo del petrolio, sceso a 30 dollari e poi risalito sopra i 40. Troppo poco per mantenere i programmi sociali (scolastici, sanitari, previdenziali) avviati da Chavez. La gestione di politica economica in mano ai militari e la nazionalizzazione di varie imprese straniere hanno costituito il colpo di grazia al sistema. Le riserve della Banca centrale sono scese a 10miliardi di dollari.
«La società venezuelana – spiega Teodoro Petkoff, intellettuale prima chavista e poi all’opposizione – non ha mai vissuto una spaccatura di questa entità. Odio e disprezzo per l’avversario politico, nessuno spazio per la mediazione. Di ciò – va detto – la responsabilità va ripartita equamente. Né governo né opposizione hanno mai dimostrato disponibilità al dialogo».
Le Forze armate
Gli occhi sono puntati lì. Fino a che durerà la fedeltà dell’Esercito al governo di Maduro? Impossibile stabilirlo. Di certo i militari controllano e gestiscono “pezzi” importanti dell’economia venezuelana. E, a differenza di Chavez, Maduro non proviene da quell’ambiente; gli manca dunque la consuetudine, la conoscenza e la capacità di convinzione dell’ex presidente. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni non riconosce l’Assemblea costituente di Maduro e per il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani è necessario indire nuove elezioni.
Intanto, corsi e ricorsi storici: in questi ultimi tredici mesi, quelli del conflitto aperto, l’emigrazione dal Venezuela verso la Colombia e il Brasile si è drammaticamente intensificata. Pensare che per decenni Caracas è stata meta di migranti europei e latinoamericani. Oggi è la capitale latinoamericana che, secondo alcuni analisti latinoamericani, potrebbe vivere una cronicizzazione del conflitto: come in Siria.