Rolling Stone, 1 agosto 2017
Venezia Segreta
L’immagine più evocativa dei miei 37 anni alla Mostra di Venezia è quella di Tom Cruise e Nicole Kidman al Lido per Eyes Wide Shut, l’ultimo capolavoro di Stanley Kubrick che li fonde insieme sul set e li separa necessariamente nella vita, troppo più piccola e banale della storia che hanno appena interpretato. È il 1999, e la Mostra fa lo scoop con l’anteprima europea dell’ultimo film del più grande, appena scomparso. Si sente la sua presenza, che lì c’è il genio del cinema, da sempre lontano da tutti. Kubrick è a Venezia, difficile spiegare perché, ma l’atmosfera si respira intensissima. Le foto di Tom e Nicole, fino a quel momento la coppia perfetta del cinema mondiale, sono il frutto – oggi le rivedo con freddezza, ma mi commuovo lo stesso – di quell’ispirazione. C’è una leggera brezza, che scompiglia i loro capelli. Entrambi non hanno occhi che l’uno per l’altro, il resto è come se non esistesse. Lui indossa una t-shirt grigia e i jeans, lei un vestitino che la fa sembrare una ragazzina. Per me, da quel giorno, Venezia è diventata soprattutto un’emozione. Un’emozione, come quell’incantevole scricciolo di Anne Hathaway, l’eroina lanciata da II Diavolo veste Prada (sempre presentato al Lido), che nel 2008 scoppia a piangere irrefrenabilmente, stringendosi a Jonathan Demme, il regista del suo nuovo film Rachel sta per sposarsi, mentre io, che li sto intervistando, resto senza fiato. Le ho solo chiesto cosa le resterà di quel film, la classica domanda introduttiva. Niente di che, insomma. Demme cerca di consolarla, la abbraccia, ma l’attrice non riesce a smettere. Come una bambina. Un crollo emotivo? C’era qualcosa tra i due? Il dispiacere di due strade destinate a separarsi? Non lo so, e neppure m’interessa. Però so bene che alla Mostra di Venezia puoi trovare delle emozioni indimenticabili, se sei fortunato e sai come e dove cercarle. E quando le trovi (le ultime due, fortissime, sono state per Il cigno nero e Jackie, entrambi con Natalie Portman, di gran lunga la più brava attrice dei nostri anni), beh, poi torni a casa e mangi pane e brividi fino a Natale. Venezia serve a questo, per chi ci lavora. Per chi ci passa, a vedere un film o due, o magari a concludere un affare, senza guardare e senza capire, dando per scontate le ragazzine che vivono due settimane a bordo passerella solo per una dedica del divo del cuore, o il bagliore del mare verde che dal red carpet dista sì e no 80 metri, o quell’atmosfera che da festa mobile si trasforma in un attimo nello strapaese dei cinematografari romani, tutti al bar perché fuori piove... beh, per chi non se ne accorge, peggio per lui. Ma torniamo a Natalie Portman e al 2010. Anteprima de II cigno nero, film di apertura, da cui partirà la leggenda (avveratasi da quel giorno infinite volte) che i film che aprono Venezia prendono l’Oscar. C’è la crisi, e il party di apertura della Mostra si fa a lume di candela per risparmiare simbolicamente il costo dell’energia. Alla fine è talmente buio che non si vede a un palmo dal naso. Quello che si sente, invece, è il brusio degli addetti ai lavori sulla fortissima scena lesbo del film di Aronofsky tra la Portman e Mila Kunis. Roba seria! In sala c’è il presidente Napolitano, cinefilo d’esperienza, con la signora Clio, e l’interrogativo della serata è capire – lo si saprà dai giornali all’indomani – se anche lui sia rimasto scioccato.
Mentre ci aggiriamo sulla terrazza dell’hotel Excelsior, tra un urtone e l’altro, al buio, accade l’inevitabile: col mio cameraman andiamo a sbattere contro Napolitano! La sicurezza mi blocca, io pongo ed Presidente una sola domanda. Quella. La risposta è che si tratta “di un film dai contenuti sicuramente interessanti”, e che anche donna Clio la pensa così. Considerando che ne II cigno nero c’è follia, anoressia, complesso di Edipo e di Medea, omicidio, suicidio, autolesionismo, perversione e omosessualità, il giudizio del Capo dello Stato è uno scoop pazzesco. Il giorno dopo il mio pezzo sul tg viene annunciato dalle agenzie, e poi va sui giornali. Quando si dice un “appuntamento al buio”.
La prima volta che sono stato alla Mostra del cinema avevo 19 anni e sono evaso. Letteralmente, da una nave militare ormeggiata alla Giudecca, quattro bracciate a nuoto dal Lido, dove prestavo servizio come allievo ufficiale d’Accademia. Mentre i nostri colleghi dormivano, insieme a un altro intrepido 18enne, attratto come me dai lontani rumori che arrivavano dal Lido, dove era in corso la seconda Mostra diretta da Carlo Lizzani, scivoliamo a terra, chiamiamo un motoscafo e arriviamo all’imbarcadero dell’Excelsior, dove dal 1932 (anno della Fondazione della Mostra da parte del conte Volpi, che oggi campeggia in busto marmoreo all’ingresso della Sala Grande del Festival) sbarcano tutti i grandi divi del cinema, diretti alla Mostra. Luci, brusìo incessante, in lontananza l’audio di un film che proveniva dall’arena (la sala all’aperto davanti al Casinò, da tempo abolita): era il suono della Cultura, quello! Estasiati, ci lasciamo guidare dalla folla e arriviamo all’arena, dove l’ingresso era libero, e vediamo la seconda metà de II fattore umano, con Alee Guinness, il più noioso film mai diretto (nonché l’ultimo) dal grande Otto Preminger. Ma eravamo a Gardaland, dove se una giostra non è quello che ti aspettavi, beh, c’è tutto il resto! L’hot dog che mangiamo ci sembra il migliore del mondo; ci passa accanto Monica Vitti, e per poco non sveniamo. Era il 1980. Sei anni dopo mollavo la divisa, e sul Lido ci sarei tornato ogni anno, fino a questa Venezia 74, che aprirà i battenti il 30 agosto. Con un restyling, anticipo al lettore, che ha trasformato la Mostra in una prospettiva architettonica dal colore bianco accecante, grazie a una distesa di candide traversine di cemento intorno al Casinò e fino al Palazzo del Cinema, di cui rimane solo l’anacronistica ma buffa pensilina da sala cinematografica anni ’50 (l’ampliamento del Palazzo è appunto del 1955), che all’epoca i commentatori più snob avevano soprannominato “la fabbrica di pelati”, per la sua somiglianza con le analoghe strutture tipiche dei capannoni industriali. Quantomeno hanno coperto il “buco” praticato anni fa per installarvi il nuovo Palazzo del cinema: mai sorto, dopo gli scavi, a causa dell’amianto ritrovato sottoterra e quindi rimasto a cielo aperto per tre anni, per la disperazione degli addetti ai lavori, vertici della Mostra in testa. Almeno ci avessero buttato dentro i film che non valevano niente...
Una volta incontrai il conte Giovanni Volpi (nipote del fondatore), mentre dal roof del palazzo contemplava quel buco enorme tra il Palazzo e il Casinò, che deturpava il “suo” Lido, e gli venne da piangere. Al riguardo, Gian Luigi Rondi mi confidò: «Bastava che i progettisti s’informassero. Lì sotto l’amianto ce l’avevamo messo proprio noi della Mostra, quando ero Presidente della Biennale e dovevamo toglierlo dai tetti di Ca’ Giustinian (sede della Biennale sul Canal Grande, nda)».
I Misteri di Venezia. Come, per esempio, tanto per aprire la diga sul fiume dei ricordi, quello del blocco intestinale che costrinse Liam Neeson a ricoverarsi all’ospedale di Padova per rimuovere il fecaloma che lo ostruiva (risparmio i dettagli, il termine è chiaro di per sé), mettendone a rischio la vita, e poi riuscìappena due giorni dopo – a salire sul palco e ricevere la Coppa Volpi per Michael Collins.
Era il 1996, pellaccia d’un irlandese. Viaggio random nella memoria... e ci trovo subito George Clooney e Catherine Zeta-Jones: serpeggiava un odio mortale tra i due, accoppiati dai fratelli Coen per Prima ti sposo e poi ti rovino. La loro intervista è fissata nel gigantesco salone degli specchi dell’Hotel Excelsior. Quel posto lo conoscono tutti anche senza saperlo: è il ristorante che De Niro affitta solo per lui e per Elizabeth McGovern in C’era una volta in America. Lo stupro che segue è stato girato sulla spiaggia del Lido, subito prima dell’inizio della Mostra del 1983, con la folla pre-festivaliera che si accalcava sul set senza credere ai propri occhi. La migliore pubblicità per un film in lavorazione, grandissimo Sergio Leone. Ma dicevo della coppia composta da Clooney e Zeta-Jones. Bene, i due sono seduti molto lontani l’uno dall’altra, nascosti da un separé. Comincio con lei, seducente, truccatissima, e soprattutto profumatissima. Impossibile non chiederle di che essenza si tratti, e lei parla della sua nuova eau de toilette più a lungo che del film. Vado da Clooney e lui sta mangiando davanti alla telecamera un piatto di spaghetti al granchio. Mi siedo e subito chiede: «Hai sentito quanto puzza questa zocc... (omissis, nda)? E diventata testimonial di questo profumo e non parla d’altro». Imbattibile! E a proposito di Clooney, altro episodio ma più avventuroso, del 2009. E il giorno in cui è atteso a Venezia per la sua prima volta in pubblico con Elisabetta Canalis. Impazziamo per scoprire dove arriverà: tutti tacciono, e il solo posto plausibile, il minuscolo aeroporto del Lido, sembra out, perché quello stesso pomeriggio è previsto lo sbarco in forze di Hugo Chavez, presidente del Venezuela, invitato da Oliver Stone per assistere alla prima del documentario a lui dedicato dal regista di Platoon. Chavez atterra, esce dall’aeroporto in un corteo di van dai vetri oscurati e sembra finita lì. A un certo punto l’assistente di Clooney fa capolino dall’interno dell’aeroporto, dove il sottoscritto non può entrare. I colleghi delle tv ormai sono andati via tutti, ma quella “visione” conferma che George è in arrivo, subito dopo Chavez (è dai tempi di Mussolini che le piste del Nicelli non assistevano a una tale parata di celebrità). Il mio cameraman, invece, era già entrato, travestito da barman del caffè aeroportuale. Mezz’ora e George atterra insieme a Elisabetta. Ce li abbiamo solo noi. Nello stesso momento, a 900 metri in linea d’aria, Chavez sul red carpet grida “Viva l’Italia”, esattamente come fece in quel punto Winston Churchill nel 1947 (qualcuno deve averglielo suggerito, immagino), e i nostri operatori riescono a riprendere anche lui. Piccola cronaca di due scoop. Ma non quanto il colpo realizzato “ai danni” di Madonna, al Lido per il suo secondo film da regista W. E. (sottotitolo Edward e Wallis, sui duchi di Windsor, nda). Indispettita dai telefonini che la riprendono quando entra in conferenza stampa, la regista – mancata – minaccia di lasciare Venezia, se soltanto uno dei presenti la riprenderà senza permesso. Insopportabile. Al mattino dopo, quando deve prepararsi per gli incontri con la stampa internazionale, riesco a mettere le mani su un filmato girato in automatico dalla telecamera fissa puntata nel salottino del trucco, dove tutte le star vanno a sistemarsi. Madonna arriva appena sveglia, alle 7 del mattino, e da quel momento abbiamo tutte le immagini di lei che dà ordini a truccatori e parrucchieri, per trasformarsi da una ultracinquantenne con le cispe agli occhi nella Madonna che conosciamo. Straordinario ed esilarante: “tira qua, no più in là, il sopracciglio destro cazzo!” e via dicendo... Nessuno doveva riprenderti, vero? Benissimo! Ci abbiamo aperto tutti i servizi da Venezia, da quel giorno in poi, tipo tormentone estivo. Granite e granate, insomma.
Tra le sorprese di Venezia ci sono sempre gli arrivi di chi, pur non c’entrando niente col cinema, approfitta della straordinaria vetrina mediatica, e sbarca al Lido solo per farsi vedere. Inevitabile. E il 2009, chiamano dalla darsena Excelsior, è arrivata Patrizia D’Addario! È la donna al centro dello scandalo del momento: le escort e le frequentazioni di Gianpaolo Tarantini. Che fai, non ci vai? Subito mandiamo l’operatore per fare due immagini. Passa un’ora, arriva una nuova chiamata: “All’Excelsior sta arrivando la pornostar Brigitta Bulgari”. Stavolta mi incuriosisco e ci vado di persona. Ne esce una intervista divertente sul pontile, coi paparazzi impazziti (stacco di coscia, zero gonna, tette satellitari, tacchi da guerra... tutto l’armamentario, insomma) e via, si torna al lavoro: c’è un film da vedere. Almeno uno... Macché. “Non ci crederai, ma al pontile dell’Excelsior c’è l’Esorcista con la moglie!”. CHI?? E monsignor Milingo, appena scomunicato per aver sposato una donna sudcoreana, Maria Sung. Mi precipito, ed è tutto vero! Li riprendiamo mentre fanno le foto nella hall dell’Excelsior, come fossero Joe di Maggio e Marilyn Monroe. Che ci fanno a Venezia? Nessuno ha mai saputo la ragione precisa, ma, come cantava Gianni Morandi, Una domenica così non la potrò dimenticar. Amen.
Un po’ d’Italia, adesso. Cominciamo con Paolo Villaggio, che nel 1992 prese il Leone d’oro alla carriera, forse il più discusso di sempre. “Ma come, lo date a un comico prima che a Sordi e a Gassman (che lo ricevettero, ma dopo, nda)?”, chiesero tutti furibondi al direttore della Mostra Gillo Pontecorvo, amico di Villaggio, che pure meritava ampiamente il premio. Qualche anno dopo, Villaggio torna a Venezia, ma all’Excelsior non gli trovano neppure uno strapuntino: “Siamo al completo”. E lì che esce il genio di Fantozzi: “Ma come, io sono un Leone d’oro alla carriera!”, implora Villaggio alla reception, come fosse Fracchia davanti al carnefice di sempre Gianni Agus. Niente da fare. Lo ospiterà nella sua storica suite 136 il press-agent Enrico Lucherini. Giriamo un’intervista in cui Villaggio dorme in accappatoio sulla moquette, mentre Lucherini fa colazione a letto coi giornali, come un sultano.
Alberto Sordi a Venezia ha un storia lunga quanto un volume della Treccani. Cito due episodi. 1995: Leone d’oro a dieci grandi del cinema (Scorsese, Morricone, Gassman, Resnais), e tra loro Sordi e la Vitti. In conferenza stampa gli chiediamo quanto sia importante per lui quel riconoscimento. Albertone: «Ma sì, certo, fa piacere, ma qui c’è Monica che era talmente trepidante pe’ sto Leone che tò, pijate pure er mio (glielo dà davanti a tutti, ridendo, nda): così so’ due». Dopodiché si alzano con Ennio Morricone (anche lui “leonizzato”), e si mettono a cantare Ma ’ndo vai /se la banana non ce l’hai. Sordi due, è il 2000. Al party dell’amfAR per la raccolta fondi contro l’Aids, arriva al Lido con grandi strepiti una storica testimonial dell’associazione: Liz Taylor. Incontro Sordi poco dopo. Lui mi guarda, intuisce quello che sto per chiedergli e esclama: «Ahò, è arivata la babbiona, eh?!». Ridiamo come matti, fine dell’intervista. E ancora, tra le tantissime, l’incredibile storia di Walter Chiari. Venezia 1986. Da tempo in declino, ormai vicino agli 80, il grande attore milanese è il protagonista insieme al giovane Luca Barbareschi del film Romance di Massimo Mazzucco. Negli ultimi giorni del Festival, Chiari, già osannato dai giornali come il trionfatore di quella 43esima Mostra per la sua straordinaria performance, incontra una sua amica, moglie di uno dei membri italiani della giuria. “Ho saputo che vinci la Coppa Volpi come miglior attore”, gli dice la donna, convinta in buona fede della propria rivelazione, dopo che aveva sentito casualmente il marito dire che il premio sarebbe andato a un attore italiano il cui nome inizia con la C. E Walter, lì a Venezia, era l’unico con il cognome che inizia per C, appunto. Felice come solo un attore a fine carriera può essere, davanti a uno dei premi cinematografici più importanti e blasonati del mondo, l’attore prenota i due ristoranti dirimpettai vicini al Palazzo del cinema, per una grande cena subito dopo la premiazione.
Al momento della proclamazione, però, il terribile malinteso fa di Chiari una vittima sacrificale. A salire sul palco per ottenere il premio è Carlo Delle Piane (eccola la “C”, del nome e non del cognome), protagonista con Abatantuono in Regalo di Natale di Pupi Avati. Il più incredulo è proprio lui, Avati, al punto che su quella storia dirigerà anni dopo un film, Festival, con Massimo Boldi (serio) nei panni del grande Walter.
Potrei andare avanti, ma mi fermo con un premio Nobel, Dario Fo. Insieme a Fiorello, nella Mostra 2002, l’inedita coppia presta le voci al cartoon Johan Padan, film di chiusura del Festival. Va detto che, di solito, a quella proiezione non c’è quasi mai nessuno, perché in contemporanea al Lido la Mostra offre un pantagruelico banchetto di chiusura. Quindi tutti a magna, non appena consegnato l’ultimo premio in Sala Grande. E ciò che accade anche nel 2002, quando molti neppure sanno che dopo è previsto il film con le voci di Fo e Fiorello. I due però sono in sala e, davanti al torrente umano che si precipita fuori, si oppongono quasi fisicamente alla bolgia affamata, rimandando quanti più possibile a sedersi per vedere il “loro” film. Mutatis mutandis, è un po’ come Fiore negli spot tv di oggi, in cui ripete che “tutti devono essere avvisati”. Il contrappasso c’è anche a Venezia. Al punto che prima o poi, se mi danno una saletta, e se vado in pensione dopo una vita che ci lavoro, al Lido io ci vado a vivere!