
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La banca Monte dei Paschi di Siena dovrà trovare prima della fine dell’anno i soldi che le servono per non fallire. Aveva chiesto all’Unione europea di poter aspettare fino al 20 gennaio, fidando che con questi venti giorni in più si sarebbe presentato qualcuno con il denaro in mano. Ma ieri pomeriggio l’Unione europea, al termine di una riunione durata due giorni, ha risposto che non è più tempo di proroghe: o i conti dell’istituto vengono messi a posto entro il 31 dicembre oppure sarà il cosiddetto bail in, la perdita cioè di tutto, perdita da far pagare ad azionisti, obbligazionisti, obbligazionisti secondari e correntisti che abbiano in deposito più di centomila euro. In questo caso i miliardi di euro polverizzati sarebbero almeno 13. Il problema è ben rappresentato da un paio di cifre: un’azione Mps valeva 129,50 euro un anno fa, e ha chiuso ieri la seduta di Borsa a un valore di euro 19,50, dopo aver perso un 10,55% a seguito delle notizie provenienti da Bruxelles. La banca vale al momento qualcosa come 550 milioni, e vuole dai nuovi soci 5 miliardi. Lo spread ieri ha toccato quota 170.
• Come mai la Bce ha detto no?
Non ci sono ancora comunicazioni ufficiali, ma si sa già che le motivazioni sono in sostanza due. Prima motivazione: gli investitori privati a cui i vertici della banca hanno chiesto di sottoscrivere l’aumento di capitale - cioè il fondo del Qatar, Soros, Paulson, Atlas - hanno avuto tutto il tempo necessario per decidere, essendo stati chiamati in causa al più tardi quest’estate. Non c’è ragione, perciò, di conceder loro altri venti giorni, al termine dei quali la situazione non sarebbe diversa da adesso (anzi). Seconda motivazione: l’incertezza politica determinata dalla vittoria del No potrebbe durare molto più dei venti giorni richiesti. Il fondo del Qatar, per esempio, era disposto a mettere un miliardo, ma solo in presenza di un quadro politico stabile, possibilmente con Renzi a Palazzo Chigi.
• Come mai è stata scelta la data limite del 31 dicembre piuttosto che quella del 30 novembre 2016 o del 31 gennaio 2017?
Il Mps ha sofferenze per almeno 27 miliardi. “Sofferenze” significa soldi prestati difficili, e qualche volta impossibili, da recuperare. I vertici della banca erano impegnati a vendere queste sofferenze entro il 31 dicembre, e a immettere nel capitale i soldi così incassati. È stato costituito un fondo, detto Fondo Atlante, che avrebbe dovuto comprare queste sofferenze al prezzo richiesto da Siena, cioè il 40% del valore nominale. Ma anche il Fondo Atlante è nato con risorse scarse, e ha dovuto occuparsi finora delle quattro banchette saltate in aria a suo tempo (Etruria, Chieti, Marche e Ferrara), per le quali ha investito un miliardo e sei. Vorrebbe venderle, ma le offerte arrivate finora le valutano al massimo 600 milioni. Anche il 40% che Mps pretende per i suoi crediti deteriorati appare al momento lunare. Il mercato paga le sofferenze, in questo momento, tra il 17 e il 20% del valore. Accettando una valutazione simile, Mps dovrebbe registrare altre perdite consistenti.
• E allora che si può fare?
Esiste una “Normativa europea sulla risoluzione delle crisi bancarie”. L’articolo 32 di questa Normativa prevede la possibilità di un intervento precauzionale dello Stato, avente come fine l’esigenza di tutelare la stabilità finanziaria. Senza azzerare le perdite (procedura proibita), lo Stato può intervenire con una liquidità sufficiente ad accompagnare il tratto di strada che manca al perfezionamento dell’aumento di capitale. Oppure acquistare le obbligazioni subordinate da coloro che le detengono e convertirle poi in azioni. Oppure fare tutt’e due le cose. Un po’ di obbligazionisti secondari hanno già accettato di convertire i loro titoli in azioni, togliendo di mezzo poco più di un miliardo di euro.
• In pratica, in questo caso, lo Stato diventerebbe azionista?
Lo Stato è già l’azionista di maggioranza di Mps, con una quota del 4% in mano al Tesoro. Il suo intervento, osteggiato finora dai soci, diluirebbe la partecipazioni di ciascuno di loro, riducendoli a contare ancora meno di prima. Voglio ricordare alcune cose forse dimenticate. Il Monte dei Paschi è stata da sempre la banca del Pci, poi dei Ds, poi del Pd bersaniano, benché Bersani abbia sempre gridato che la colpa delle malversazioni era locale e lui c’entrava poco o niente. Il Monte dei Paschi ha dato il primo colpo alla propria stabilità finanziaria acquistando la Banca Antonveneta per nove miliardi, quando, pochi mesi prima, il venditore (Santander) l’aveva comprata da Abn Amro per sei miliardi. Il Monte dei Paschi ha nascosto le proprie difficoltà acquistando tutta una serie di derivati che permettevano di tenere in utile il bilancio sul momento e di spalmare le perdite sugli anni a venire. Il risultato di questa procedura criminale sta nelle cifre comunicate all’inizio.
• C’è un pericolo di perdita totale per gli obbligazionisti secondari?
Per comprare Antoneveneta i vertici di Mps raccolsero due miliardi tra 40 mila persone a cui vendettero obbligazioni subordinate. Cioè, fumo negli occhi soffiato in faccia a cittadini qualunque, privi quasi sempre di un minimo di competenza. Forse questi 40 mila saranno salvati, in tutto o in parte, dalla truffa. Ma forse no.
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