la Repubblica, 10 dicembre 2016
Zcash, la moneta top secret rivale italiana del Bitcoin
Per chi la critica, è l’arma totale nelle mani dei trafficanti del web. Per chi l’ha creata, è un baluardo a difesa della privacy: «Altro che evasori e criminali, questa moneta serve alle persone comuni». Ha un papà italiano l’ultima arrivata, tra mille polemiche, nel mondo delle valute virtuali. Lo “Zcash”, che garantisce a chi manda e riceve denaro in Rete pagamenti del tutto anonimi, nasce dalle ricerche sulla crittografia del varesino Alessandro Chiesa, a 29 anni già professore di Computer Science a Berkeley, università simbolo della Silicon Valley. Ma dall’Italia viene pure la prima ufficiale resistenza alla sua idea. Una proposta di legge depositata in Parlamento vuole vietare le criptomonete anonime, primo firmatario l’onorevole e informatico Stefano Quintarelli: «La riservatezza va bilanciata con altri beni pubblici, come sicurezza e pagamento delle tasse – dice – bisogna porre delle condizioni alla pretesa di anonimato totale».
Privacy contro sicurezza, classico dilemma da tempi digitali. In fondo, neanche il contante lascia impronte, anche se poi in forma virtuale fiumi di denaro possono scorrere da un continente all’altro nel tempo di un click. Il bitcoin è la prima e più famosa di queste “cryptocurrency”, in cui gli scambi sono approvati dagli stessi utenti della rete, senza bisogno di intermediari e controllori come le banche centrali. «Ma ha un limite – spiega Chiesa dalla California – il suo archivio registra ogni dettaglio dell’operazione, ed è pubblico». La sua tesi di dottorato all’Mit di Boston, dove è arrivato dopo il diploma in Italia, risolve: «Con le dimostrazioni a conoscenza zero si possono approvare gli scambi senza rivelare alcuna informazione». Pagante, pagato, importo: tutto occultato dalla crittografia.
«Ogni moneta è creata uguale», recita il motto di Zcash, che nel frattempo è diventata una società e ha raccolto un milione di dollari di finanziamenti. «Così come un dollaro di carta, uno Zcash vale sempre uno, indipendentemente dalle idee politiche o religiose di chi lo ha utilizzato – dice il professore – l’unico modo per rendere una moneta stabile». Ma anche per finanziare i dissidenti in Turchia o comprare una Bibbia in Iran senza timore di ritorsioni. Solo che a inizio novembre, quando la startup ha cominciato a battere moneta e il valore di uno Zcash è decollato oltre i mille dollari, qualche dubbio si è materializzato. Che ad accaparrarselo fossero i criminali del web profondo, dove si vendono armi o si ripulisce denaro sporco.
«Si era già sospettato, a torto, dei Bitcoin», replica Chiesa, che nella società ha una quota ma solo un ruolo da consulente, mentre continua con ricerca e insegnamento a Berkeley. «I criminali utilizzano qualunque cosa sia utile, da Google ai paradisi fiscali, e di solito sono molto bravi a rendersi anonimi». Per lui l’obiettivo è opposto: far utilizzare le monete virtuali a banche e persone comuni. E nonostante i benefici in termini di costi, sarà possibile solo con la garanzia di riservatezza: «Anche senza avere nulla da nascondere, accetteremmo che le nostre conversazioni siano registrate e rese pubbliche? E perché i movimenti di denaro sì? Questa tecnologia è per il meglio, ho la coscienza a posto».
Da convincere ci sono pure i regolatori che in tutto il mondo hanno acceso i fari su queste innovazioni finanziarie. «Vietare? Non sarebbe realizzabile tecnicamente – risponde Chiesa perdendo solo per un attimo compostezza – il problema dell’Italia sono le persone che non fanno scontrini e ricevute, quelle usano il contante». Con le autorità, in realtà, Zcash sta parlando. E il professore è d’accordo su alcune delle soluzioni più moderate proposte da Quintarelli, come obbligare i cambiavalute che in Rete trasfor-mano euro o dollari in moneta virtuale a identificare i clienti: «Si può anche fare in modo che i dati delle transazioni siano accessibili agli investigatori, ottenute le autorizzazioni di legge».
Che sia questo il punto di incontro tra le esigenze di sicurezza e l’ideologia libertaria degli apostoli del bitcoin? «La privacy è un diritto e nel mondo digitale la stiamo consegnando in modo pigro», conclude Chiesa. «È più facile mostrare che la riservatezza totale è possibile, per poi limitarla, che riconquistarla una volta persa».