LaVerità, 10 dicembre 2016
In borsa c’è un Gambero indigesto. La holding del sapore ha perso l’80%
Immaginate di fare un piccolo investimento, magari di carattere affettivo. Andate in un’enoteca e comprate una bottiglia di Barolo da 100 euro. Dopo averla lasciata un anno in cantina, decidete di venderla e scoprite che ne vale appena 20. L’istinto sarebbe di andare dal negoziante e prenderlo a bottigliate in testa. Non lo fate: stappate e bevete in buona compagnia. Perché una sventura del genere, con il vino serio, è difficile che accada. Invece è capitata a chi ha comprato in Borsa le azioni del Gambero rosso, il gruppo multimediale specializzato nel vino e nel cibo di alto livello che tra pochi giorni festeggia i 30 anni di vita (partì come supplemento del Manifesto). Il 23 novembre del 2015 i suoi titoli sono stati sparati come tappi di prosecco all’Aim, il mercato telematico riservato alle piccole e medie imprese «ambiziose», al succulento prezzo di 1,6 euro. Ma dopo 12 mesi boccheggiano a 34 centesimi, con una perdita secca dell’80%.
L’aspetto più imbarazzante della quotazione in Borsa di una piccola azienda è che lo sbarco a Piazza Affari viene accompagnato da applausi e incoraggiamenti vari, con decine di articoli di giornale e sui vari siti internet che inneggiano ai grandi progetti futuri. Figurarsi, poi, se ci sono di mezzo le famose «eccellenze italiane», come il vino, l’olio, il cibo e tutto quello che può richiamare un’altra abusata formuletta magica del marketing come «italian lifestyle». Il Gambero rosso era insomma perfetto per suonare grancasse e trombette. Poi, a collocamento avvenuto, quando l’azione è scivolata sempre più giù, è calato un imbarazzato silenzio.
Per capire come possa accadere che un’azienda crolli dell’80% a un anno dalla quotazione bisogna scoprire che cos’è l’Aim ai Borsa Italiana. Si tratta di un mercato «dedicato alle piccole e medie imprese italiane che vogliono investire nella loro crescita», come si legge sul sito della società che gestisce piazza Affari. Un mercato che «si contraddistingue per il suo approccio regolamentare equilibrato, per un’elevata visibilità a livello internazionale e per un processo di ammissione flessibile, costruito su misura per le necessità di finanziamento delle Pmi italiane nel contesto competitivo globale». Belle parole davvero, specialmente «l’approccio regolamentare equilibrato», che sottintende maglie larghe rispetto al mercato principale.
Per quotarsi all’Aim non servono un fatturato minimo o un margine operativo lordo superiore a una certa soglia (alcuni operatori avevano consigliato almeno 5 milioni), ma bastano tanta buona volontà, un bilancio certificato e farsi portare per mano da un «nomad», che sta per nominated advisor, il quale valuterà l’appropriatezza dell’operazione, per poi curarne l’organizzazione. Consob e Borsa italiana controllano solo che i documenti siano in regola.
E ora torniamo all’avventura del Gambero rosso, che a dispetto del nome che ricorda il ristorante dove il Gatto e la Volpe portano a mangiare Pinocchio, non è assolutamente una fregatura, visto che è un marchio apprezzato in tutto il mondo. Da anni pubblica una guida dei vini di gran prestigio, specie all’estero. Tanto per fare un esempio, difficilmente un’enoteca americana comprerà una bottiglia italiana che non sia ben recensita sulla guida rossa. Ma il gruppo non è solo editoria cartacea (libri, riviste, guide), è anche formazione (con le varie Città del gusto) e produzione di contenuti su internet e sulla piattaforma digitale di Sky. Da 8 anni è saldamente nelle mani di un ingegnere romano, Paolo Cuccia, classe 1953, cresciuto in Banca di Roma e passato per la presidenza di Acea. Ma soprattutto amico di un mirabile terzetto: Francesco Rutelli, con il quale andava a scuola dai Gesuiti all’Eur, Paolo Panerai, editore di Class-Mf e produttore di vini pregiati, e Gianni Zonin, viticoltore e per oltre vent’anni padre padrone della Popolare di Vicenza. Inutile dire che Zonin in questi anni ha fatto incetta dei prestigiosi «Tre bicchieri» del Gambero, massimo riconoscimento nel mondo del vino.
Nella primavera del 2015 Cuccia decide di quotare in Borsa il gruppo e come «nomad» sceglie naturalmente la Popolare di Vicenza. I numeri del bilancio al 31 dicembre 2014 dicevano che il Gambero rosso aveva una buona redditività, ma era terribilmente fragile. Aveva ricavi annui per 14,9 milioni di euro, un ebitda (margine operativo lordo) di 3,4 milioni e un utile netto di 880.000 euro, dopo la perdita di 1,1 milioni segnata nel 2013. Il problema erano i debiti: 14 milioni, divisi a metà tra soldi da restituire alle banche e tasse e contributi previdenziali non pagati. In sostanza il gruppo è andato in Borsa con un euro di debito per ogni euro di fatturato e il rischio più che evidente era che ogni guadagno futuro andasse dritto dritto alle banche, all’Agenzia delle entrate o ai fornitori.
Popolare Vicenza però non fa una piega, e più avanti si capirà perché. In autunno Cuccia annuncia la quotazione e la stampa lo asseconda. Un giornalista del Tempo (19 ottobre 2015) gli fa una domanda semplicissima: «Perché un investitore dovrebbe darvi fiducia?». La risposta è da vero centurione del Colosseo: «Perché finanzia un’impresa che può dare soddisfazioni a lui e al Paese. Siamo ambasciatori del gusto italiano. Il mondo è pieno di persone affluenti che cercano dei prodotti di nicchia e sono disposte a spendere molto per avere beni esclusivi. Noi siamo parte della filiera perché aggiungiamo valore». E a proposito di valori, torniamo ai numeri. Che per dirla con Cuccia ci parlano di azionisti meno «affluenti». Un anno fa, dopo un iniziale, folle, progetto di quotarsi a 22,20 euro, alla fine si decide di andare sul mercato a un prezzo di 1,60 euro. L’operazione riguarda il 30% del capitale e avviene attraverso un aumento di capitale da 7 milioni. Insomma, i vecchi azionisti non sbolognano azioni e almeno questa è una buona cosa. A comprare sono investitori istituzionali e buona parte dei 100 dipendenti. Gambero rosso esordisce all’Aim il 23 novembre 2015 e non è un giorno fausto: il titolo prende subito una scoppola del 12% proprio mentre Gianni Zonin si dimette per lo scandalo della Popolare di Vicenza, nel quale è indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Di lì in poi sarà una lenta e costante caduta, fino ai 30 centesimi di questi giorni.
Eppure bastava leggere il «Documento di ammissione» per capire che quotare una società del genere era un azzardo filosofico. Mancava, innanzitutto, una chiara e precisa spiegazione degli obiettivi dell’azienda nel medio periodo, con tanto di numeri e tassi di crescita. Gambero rosso ha trent’anni e non è una di quelle start-up digitali che magari dopo due anni esplodono. Colpisce il fatto che un gruppo che fattura solo 15 milioni sia frammentato in ben 12 controllate, il che non dà mai una buona impressione sotto il profilo della trasparenza. L’indebitamento è elevato e Popolare di Vicenza, che ha portato il Gambero rosso in Borsa, vantava 1,2 milioni di crediti, pari ai due terzi dell’esposizione bancaria. Dal bilancio al 31 dicembre 2015, si scoprirà che con la quotazione l’indebitamento è stato tagliato di 3,8 milioni. Non si presenta benissimo, sempre nel documento di quotazione, neppure quella linea di credito, negoziata a dicembre 2014, sempre con la Popolare vicentina, in cui il gruppo ottiene 510.000 euro a titolo di «elasticità di cassa» e 200.000 euro come sconto fatture. Di solito le proporzioni sono invertite, ma evidentemente quella era proprio la banca di casa.
Dalla semestrale al 30 giugno poi, emerge un utile netto di appena 163.000 euro. E si nota che i debiti verso le banche hanno ricominciato a salire e che c’è anche un cambio notevole nella torta dei ricavi, con la tv che perde peso (dal 35% al 27%). Già nel bilancio completo del 2015, sulla tv, c’era stata una sorpresina: nel documento di ammissione si riconosceva che dal contratto con Sky, in scadenza a fine 2017, dipendeva quasi un terzo dei ricavi di gruppo, ma solo dopo si è scoperto che ci sono anche dei bonus che non sempre scattano. E nel 2015 non sono più scattati. A giugno di quest’anno, per la cronaca, la Popolare di Vicenza si è fatta sostituire come «nomad» da Banca Akros. Come se il vostro vinaio avesse cambiato città. Con il sospetto che anche il termine «nomad» abbia un doppio significato. Legato alla capacità di non dormire due notti nello stesso posto.