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 2016  dicembre 10 Sabato calendario

Microspie e mail violate in Veneto Banca

In Veneto Banca non c’è mai pace, nonostante l’ingresso della nuova proprietà (il fondo Atlante) e dei nuovi vertici. Ad agosto è stato arrestato su richiesta della Procura di Roma per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza l’ex ad e direttore generale Vincenzo Consoli. Il fascicolo ha numerosi indagati, riguarda il biennio 2013-2015 e fa seguito a un’ispezione di Banca d’Italia che aveva chiesto il cambio di governance dell’istituto. Ora a questa tegola giudiziaria se ne potrebbe aggiungere un’altra. Quella innescata da una denuncia trasmessa alla Procura di Roma a proposito di una lotta sotterranea per il potere che si sarebbe combattuta violando le mail dei dipendenti, copiando le comunicazioni personali di 15 dirigenti e cercando di piazzare microspie negli uffici dei vertici. Una presunta guerra segreta che è stata segnalata in modo ufficiale con un dettagliato esposto che La Verità ha potuto leggere. Il nostro racconto inizia a maggio quando l’assemblea dei soci incorona un nuovo cda con presidente Stefano Ambrosini. Il vice diventa Giovanni Schiavon, ex presidente del Tribunale di Treviso. In quota alla minoranza resta in sella Cristiano Carrus, l’attuale ad dell’istituto. In quei mesi il convitato di pietra di Vb, secondo l’esposto, è l’ispettore di Banca d’Italia e consulente della procura di Roma Luca Terrinoni.
Nel cda entra anche Dino Crivellari, ex Unicredit, che nella squadra dei vincitori è uno dei più esperti. E prima ancora di entrare nel suo nuovo ufficio ritiene utile chiamare un vecchio amico per controllare che nei sistemi informatici della banca sia tutto a posto. Per questo contatta Paolo Campobasso, aretino d’adozione, ex ufficiale dell’esercito, quindi capo della sicurezza in giganti come General electrics, Finmeccanica e Unicredit. Insomma uno dei maggiori esperti nel settore.
Dopo aver ricevuto formale incarico e un cellulare aziendale, la sua relazione viene cestinata e lui messo alla porta. Per questo, a propria tutela, Campobasso prepara un esposto in cui rivela quanto da lui annotato durante la sua missione in Veneto.
Scrive l’esperto di sicurezza: «L’11 maggio il presidente Ambrosini, nel pomeriggio, mi richiede di attivare i miei canali per una bonifica ambientale dei locali della direzione; durante la stessa conversazione lo stesso mi chiede se avessi potuto aiutarlo a “mettere” dei sistemi di ascolto in alcuni uffici (il riferimento era all’ufficio di Cristiano Carrus). Prontamente rispondo che non ero io la persona a cui avrebbe mai potuto chiedere una cosa del genere. (...) Vengo poi a sapere che lo stesso Crivellari riferisce del nostro colloquio a Ambrosini, il quale “ammette” a Crivellari quanto a me chiesto (...)». Dunque secondo Campobasso l’ex presidente di Vb, appena insediatosi, gli avrebbe chiesto di piazzare delle microspie nell’ufficio del dg. Anche il ruolo di Terrinoni attira l’attenzione di Campobasso. Per esempio viene descritto l’invio di una mail indirizzata a gran parte dello staff di Carrus e, del nuovo cda, al solo presidente Ambrosini. «Nel documento sembrava che Terrinoni si ponesse come la “massima autorità” per tutte le attività all’interno della Banca» anche se «in quel momento risultava persona sconosciuta a tutti i membri del nuovo cda». Il denunciarne avrebbe assistito anche a un violento alterco tra Terrinoni e l’allora vicepresidente Schiavon, durante il quale il primo avrebbe spiegato al secondo «che non poteva/doveva avere relazioni con alcun dipendente di Veneto Banca e che ogni sua richiesta sarebbe dovuta passare solo al suo vaglio (di Terrinoni, ndr)». A conferma di questi rapporti avvelenati, Campobasso riferisce nell’esposto un aneddoto che gli avrebbe riferito lo stesso Schiavon: «Luca Terrinoni (...) subito dopo il risultato dell’assemblea soci, lasciava l’assemblea per fare immediatamente ritorno, insieme ad alcuni membri dell’audit e del personale, negli uffici della direzione generale a Montebelluna, rimanendovi all’interno fino a tardi. Tale comportamento anomalo aveva assunto per Schiavon un aspetto di fondamentale importanza, poiché non si conoscevano i motivi di questa attività, peraltro non spiegata da nessuno, se non con successive futili motivazioni (mettere in sicurezza della documentazione), e comunque avvenuta solo al termine degli esiti certi della votazione assembleare».
Nel documento di Campobasso la parte più interessante è quella che riguarda quanto accaduto tra gennaio e febbraio 2016, dopo che Vb aveva deciso di avviare una attività di audit a tappeto sui sistemi informatici, utilizzando accessi privilegiati. In quelle settimane, con l’autorizzazione del cda, viene abilitato un pc che consenta anche da remoto il libero ingresso in tutte le reti dell’istituto da parte della vigilanza interna. Durante una fase di migrazione da un software di posta elettronica a un altro più evoluto, avviene, in orario extra lavorativo, uno di questi accessi: con esso vengono copiati ed estratti dati da circa 15 caselle di mail interne; contemporaneamente viene effettuata una ricerca sull’intera massa dei dipendenti (circa 6.000) di almeno due specifici file, «una pratica non legale, essendo estesa a tutta la popolazione aziendale». Le parole chiave utilizzate nell’indagine sono state «CA 130618» e «Banca in Albania». Il cacciatore di documenti, secondo Campobasso, avrebbe poi cercato di cancellare le tracce del suo passaggio. Chi ha eseguito questo strano controllo probabilmente non sapeva che il nuovo software effettuava in automatico una seconda copia di tutte le operazioni, informazioni acquisite da due dipendenti della struttura informatica della banca e condivise dagli stessi con Campobasso. Ora tutta questa storia è sul tavolo dei Pm di Roma.