Valerio Clari, SportWeek 10/12/2016, 10 dicembre 2016
DERBY DELL’ALTRO MONDO
Quarant’anni sono passati dall’ultimo scudetto. Venti erano trascorsi senza una vittoria. Il Toro si era giocato molti degli ultimi derby a distanze siderali. Oggi no, nonostante i granata abbiano perso un po’ di terreno per la sconfitta con la Sampdoria, la sfida di Torino rimane da “alta classifica”. Magari non da titolo. Ma nobile, questo sì: la stracittadina più titolata d’Italia (39 scudetti, 32 a 7) è tornata in equilibrio, o quasi. Non proprio come negli Anni 70, ma quasi. Allora il Toro faceva paura ai bianconeri, come ai tempi del Grande Torino di Valentino Mazzola. La Juve, che pure lottava per il titolo con costanza, rimase senza vittorie nei derby dal dicembre 1973 alla primavera del 1979. Era il Toro di Pianelli, quello: in palio non c’era solo l’onore cittadino, ma lo scudetto. Era la squadra di Radice, nel 1975-76: aveva preso forza e confidenza nel derby d’andata, con un 2-0 firmato Pulici e Graziani, aveva quasi completato la rincorsa sui cugini nel derby di ritorno, un 2-1 sul campo trasformato in un 2-0 a tavolino per un petardo lanciato dagli juventini ed esploso vicino al portiere Castellini. La giornata dopo il sorpasso, e poi il titolo, l’ultimo del Toro. L’anno dopo un’altra vittoria e un pari, ma lo scudetto che tornò ai bianconeri, per un punto. Anni di volate, non così comuni. Più spesso Juve-Toro è assomigliato a un Real-Atletico. No, non quello di Milano e di Lisbona, delle finali di Champions. Ma il derby di Madrid pre-Cholo Simeone, quando i bambini colchoneros chiedevano ai papà, guardando vincere sempre il Real: “Por que somos del Atleti?”. Anni di dominio bianco. Sarà per quella distanza che i derby di Torino e Madrid sono combattuti in campo ma tranquilli fuori. Altrove, non va esattamente così. Prendete Glasgow, prendete la Scozia, dove Celtic e Rangers si spartiscono 101 titoli: la prima volta si incrociarono nel 1888, ed erano club amici. Durò così per 30 anni, poi qualcosa si ruppe: la questione irlandese, quella nordirlandese, il Celtic cattolico e i Rangers protestanti, che non tesserano “papisti” fino al 1989. Clima teso, ma anche grandi spettacoli: in 132 mila per una finale di Coppa di Scozia nel 1969. Vinse il Celtic, 4-0. Dopo un k.o. così l’attaccante dei Rangers decise di lasciare la squadra: si chiamava Alex Ferguson. C’è stata una canzone scritta per un 7-1 dei biancoverdi, e c’è stato un titolo dei Rangers vinto sul campo dei rivali: era il 1999, ma ne parlano ancora oggi, anche per una monetina che finì sulla testa dell’arbitro Dallas. Ora l’Old Firm è tornato, dopo anni di assenza per il fallimento dei blu.
Non se n’è mai andato, dal 1962, il derby della Merseyside. Liverpool contro Everton: epoca d’oro negli Anni 80 e protagonista assoluto in Ian Rush, 25 gol nella sfida. Quattro gol in una sola gara, nel 1982, uno 0-5 casalingo che ancora fa arrossire i Toffees, due nell’unica finale-derby di FA Cup, vinta dai Reds.
DA PINEROLO A PEÑAROL
Già, Rush: tutto riporta a Torino. O alla vicina Pinerolo. Da lì partirono i fondatori della miniera uruguaiana di Peñarol, battezzata così per nostalgia canaglia. Lì attecchì presto, prima che altrove, quel futból portato dagli inglesi, e presto nacque il “Clasico” fra Peñarol e Nacional, le due regine di Montevideo. Una storia che è un’epopea di oltre 400 partite, che comprende risse con arresti, un gol nato da un rimbalzo sulla valigetta di un massaggiatore (nel 1934, annullato a costo di due espulsioni) e persino una “Copa de Oro de Los Grandes”. Erano gli Anni 80, doveva essere un duello di otto (8!) partite: la interruppero dopo 6, perché il Peñarol ne aveva vinte 5. I derby del Sudamerica sono cose di un altro pianeta: il Superclassico Boca-River lo trovate nelle liste delle “cose da fare prima di morire” o “da evitare”, a seconda di quanto regge il cuore di chi le compila. Farne la storia qui è impossibile, basti sapere che si è visto Alfredo Di Stefano fare il portiere, Martin Palermo segnare appendendosi a una traversa, uno spareggio per il titolo deciso dal Boca mentre Fillol sistemava la barriera, un ottavo di Libertadores con attacco ai giocatori col gas al peperoncino. Già, perché nei derby spesso si trascende: lo sanno a Belgrado. È il 2000, il Partizan (i cui ultras si chiamano “Becchini”) segna dopo 38 secondi alla Stella Rossa: invasione di campo di entrambe le curve, gara finita. A Belgrado sono veloci, a La Paz Bolivar e The Strongest hanno il derby più alto (3.601 metri di quota), a Istanbul hanno quello di due continenti: Galatasaray in Europa, Fenerbahçe in Asia. Ma i più fantasiosi stanno a Sofia: Levski contro Cska. Nel 1985 una presunta rissa negli spogliatoi porta il Partito Comunista a sciogliere entrambe le squadre: club che devono cambiare nome, fino al 1990, anche perché la curva del Levski stava iniziando a diventare un’incubatrice di protesta. Crolla il Muro, non le stranezze: nel 1996 vince il Cska, i tifosi del Levski protestano lanciando un serpente in direzione dell’arbitro; nel 2009 la vigilia del derby del Lev è turbata da una super offerta per 4 giocatori (i migliori) da parte del Rubin Kazan. Un emissario arriva a Sofia, si porta i quattro a Mosca: lì l’emissario scompare, mentre il Cska sta vincendo il derby 2-0. Il Rubin non ne sapeva niente, era una “supercazzola” dei tifosi Cska. No, questo a Torino non si è mai visto.