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 2016  dicembre 10 Sabato calendario

Nigeria. I bambini (sotto i 5 anni) sono spariti

Forse non ci siamo abituati ai baby kamikaze che per ordine di Boko Haram fanno strage nel Nord-Est della Nigeria. Due scolarette ieri si sono fatte esplodere ai lati opposti del mercato della verdura a Madagali, uccidendo almeno 56 persone. È probabile che tra le vittime non ci fossero molti bambini sotto i 5 anni. E questa non è una buona notizia. Perché in quella fetta di Africa i bambini stanno scomparendo, e migliaia sono già scomparsi negli ultimi mesi, per un killer che è (anche) frutto della guerra ma che fa meno impressione (anche se è più devastante) di due scolare vestite di bianco imbottite di esplosivo.
«I bambini sotto i 5 anni, in molte zone del Nord-Est della Nigeria, sono morti di fame. Quelli più grandi sono i prossimi nella lista. La denutrizione sta spazzando via un’intera generazione». Joanne Liu da 20 anni lavora con Medici Senza Frontiere (Msf), da 3 guida uno staff di oltre 30 mila effettivi sparsi nelle aree di crisi più calde del mondo, dall’Afghanistan alla Siria. Come medico pediatra, Liu (canadese del Quebec, genitori che gestivano un ristorante cinese) è stata in almeno 16 Paesi. Ventenne, tornando da un viaggio nel Mali in preda alla carestia, decise di darsi alla medicina. «Anche nei posti peggiori dell’Africa – racconta in questa intervista esclusiva al Corriere – si trovano sempre bambini piccoli in giro nei campi profughi. Scalzi, magari malconci, ma ci sono: tra le capanne, aggrappati alle mamme, fuori dagli ospedali. Invece nel Borno no. Sono tornata dalla Nigeria da poco, ho girato diversi posti, e dovunque ti assale la stessa domanda: dove sono finiti i più piccoli?». La risposta è di quelle che fanno meno notizia di un tandem di kamikaze: «Sono spariti per la mancanza di cibo. È ciò che chiedono tutte le persone che incontri: non l’acqua, non una casa, o le medicine. Chiedono una cosa sola: da mangiare».
Joanne Liu denuncia un’emergenza enorme, che non fa notizia. Una beffa: sfuggiti ai terroristi, morti di fame. «Il mondo si è giustamente mobilitato per la scomparsa delle studentesse di Chibok. E questi missing children ? Per loro non c’è un hashtag abbastanza forte? Abbiamo il dovere di occuparci dei bambini che ogni giorno stanno scomparendo per la fame in Nigeria». La guerra non è un alibi. L’offensiva del governo ha liberato molte città, anche se Boko Haram colpisce ancora. Le strade sono insicure. Per gli aiuti servono gli elicotteri. E continua il dramma degli sfollati, 1,4 milioni nel solo Borno (il 40% in più di tutti i migranti che hanno raggiunto l’Europa nell’anno record del 2015). Secondo l’Onu, sui 17 milioni di profughi africani, il 93,7% è sul continente.
Dopo gli appelli di Joanne Liu, il Pam (il Programma alimentare mondiale dell’Onu) ha alzato il livello degli aiuti nel Nord-Est. Ma la crisi resta fuori controllo. Negli ospedali di Msf arrivano (spesso troppo tardi) famiglie decimate, con piccoli morenti e mamme asciutte e denutrite. Così Adama Adam ha visto morire sotto una tenda bianca la sua Fana, 6 mesi, sfinita dalla malaria e da giorni senza una goccia di latte materno. Una delle poche notizie buone è che la malaria, almeno quella, sembra debellata. A giugno il governo nigeriano ha riconosciuto l’emergenza. Sulla carta (il sistema sanitario è a pagamento). Per oltre 500 mila persone nell’inferno del Borno la crisi alimentare continua a mordere. In 100.000 rischiano di morire per fame nei prossimi mesi. Nei campi profughi fino al 50% dei bambini sotto i 5 anni soffre di malnutrizione acuta.
Un pediatra cagliaritano, Marco Olla, 35 anni, è appena tornato da Maiduguri, la capitale del Borno e dei kamikaze, dove Msf ha aperto tre cliniche per fornire cure gratuite ai più vulnerabili. Olla vi potrebbe raccontare degli occhi di una madre, una delle tante della sua routine. Per portare all’ospedale un figlio morente, quella donna aveva dovuto lasciare indietro gli altri, al villaggio minacciato da Boko Haram: «Quando è tornata, li ha trovati morti, nella casa bruciata». Quel che più importa, però, è sentirlo parlare di quanto poco basterebbe per innescare i «meccanismi salva vita». Il primo: il cibo. «La morte per fame è un processo irreversibile, se il bambino non viene riabilitato in tempo. Altrimenti smette di interagire, e perde totalmente interesse per la vita».