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 2016  dicembre 10 Sabato calendario

Corea del Sud, bufera sulla presidente. Il Parlamento vota sì all’impeachment

Il caso. Contestata da milioni di sudcoreani, che nelle ultime sei settimane sono scesi in piazza tutti i sabati per chiederne le dimissioni, e infine scaricata dal suo stesso partito, il conservatore Saenuri. Lo scandalo che ha travolto Park Geun-hye ha indotto ieri il parlamento di Seul ad approvare con una maggioranza schiacciante l’impeachement contro la presidente: 234 sì, 56 no. Per ora Park resiste al suo posto, ma da ieri – in attesa della Corte costituzionale, che dovrà decidere entro sei mesi se destituirla – è stata spogliata delle sue principali funzioni.
Il controllo. Il controllo del potere esecutivo e dell’esercito è stato assunto temporaneamente dal premier Hwang Kyo-ahn. L’opposizione esulta: migliaia di persone hanno festeggiato quello che sembra l’ultimo atto della cosiddetta «rivoluzione delle candele», portate in corteo in segno di protesta nelle strade di Seul da milioni di sudcoreani nell’ultimo mese e mezzo. La sessantaquattrenne Park è apparsa brevemente davanti alle telecamere e, visibilmente scossa, ha raccomandato ai ministri di fare di tutto per evitare ulteriori lacerazioni nel paese asiatico.
«Sono molto dispiaciuta ha dichiarato – per aver procurato al popolo questo caos, per la mia trascuratezza, in un momento in cui il nostro paese attraversa tante difficoltà, dall’economia alla difesa nazionale» stressata dallo scontro con il regime nordcoreano. Le parole pronunciate ieri in aula dal portavoce della Camera, Chung Se-kyun, restituiscono la gravità della crisi di uno dei paesi più dinamici e avanzati del Continente: «Che abbiano sostenuto l’impeachment o meno, tutti i parlamentari e il popolo coreano che sta assistendo allo sviluppo di questa grave situazione deve sentirsi triste e infelice. Spero davvero che questa tragedia della nostra storia costituzionale non si ripeta mai più». L’opposizione del Partito democratico di Corea (DPK) rilancia e chiede le dimissioni dell’intero governo, perché giudica il premier Hwang e i ministri non immuni da colpe nello scandalo che ha travolto la presidente. Figlia dell’ex dittatore sudcoreano Park Chung-hee, Park era entrata alla Casa Blu (la sede della presidenza), eletta come «incorruttibile».
Nel mirino. Viene ora messa in stato d’accusa dopo l’incriminazione di una sua amica di vecchia data e confidente, Choi Soon-sil. Choi è accusata di ingerenza negli affari di Stato e di aver dirottato verso fondazioni da lei controllate circa 70 milioni di dollari. Tutto è il sospetto degli inquirenti grazie al legame tra Park e Choi, figlia del fondatore della setta Yongsaenggyo (Chiesa della vita eterna) e anche lei una santona che avrebbe plagiato la presidente. Ma le proteste delle ultime settimane mentre nel paese dell’hi tech crescono le disuguaglianze e la concorrenza della Cina sono andate oltre lo scandalo Park e si sono indirizzate a tutto l’establishment, manifestando una rabbia inedita contro le chaebol i conglomerati che producono di tutto, dalle auto agli smartphone, e che il padre di Park, negli anni Sessanta e Settanta, legò strettamente al potere politico sudcoreano.
Gli ultimi sondaggi danno la popolarità della presidente al 5%: le pressioni affinché Park (il cui mandato scade nel febbraio 2018) abbandoni subito la presidenza sono fortissime, ma così facendo perderebbe l’immunità e rischierebbe di essere incriminata dalla magistratura per corruzione e abuso di potere. Sia come sia, se la Corte nelle prossime settimane confermerà l’incriminazione parlamentare, anche nel voto anticipato che già si prepara a Seul sono in molti a scommetterci – si annuncia un forte vento anti-sistema.