Marco Maroni, il Fatto Quotidiano 10/12/2016, 10 dicembre 2016
MPS, ECCO TUTTE LE IPOTESI
Se alla fine per Mps arrivasse la soluzione di un intervento diretto dello Stato, sarebbe un percorso a ostacoli. Considerato il caso Tercas (200 milioni di aumento di capitale bocciato dall’Europa nel 2015) e il contenzioso già in atto col governo Renzi sull’extra deficit del bilancio italiano, non è infatti scontata l’indulgenza della vigilanza Bce, guidata da Danièle Nouy, che ha ora in mano la gestione del risanamento di Siena, e soprattutto quella della Commissione europea, col guardiano della Concorrenza, Margrethe Vestager, che potrebbe avviare una procedura d’infrazione.
Se ci sarà intervento pubblico in ogni caso è possibile che si apra il capitolo del cosiddetto “burden sharing”, con la partecipazione di azionisti e obbligazionisti di Mps al risanamento della banca. I correntisti, anche quelli con depositi superiori ai 100 mila euro (soglia di protezione dal fondo interbancario di tutela) non rischierebbero nulla, mentre sulla sorte dei risparmiatori si possono fare solo delle ipotesi. La struttura e la veste giuridica di un eventuale intervento statale è tutta da decidere, con l’incertezza sulla sorte del governo non fa che complicare il quadro.
Precauzioni. Una possibilità è un intervento “precauzionale”, in cui lo Stato si limiti ad acquistare parte di quei bond subordinati che non sono stati consegnati all’offerta di scambio in azioni proposta a metà novembre. Allora si è raccolto un miliardo. Lo Stato potrebbe mettercene un altro e procedere poi a una nuova offerta di scambio, questa volta permettendo anche ai piccoli risparmiatori, che a novembre furono sostanzialmente tenuti fuori dalla Consob, di partecipare. Il governo potrebbe anche limitarsi a garantire una parte dell’aumento di capitale. In questi casi, se lo Stato dimostra che “sono stati usati nella massima misura possibile tutti i mezzi per limitare l’aiuto al minimo necessario” e la Ue ritiene che “l’attuazione delle misure di condivisione del rischio metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati”, si può derogare all’obbligo di coinvolgere forzosamente azionisti e creditori subordinati nel risanamento. Jp Morgan e Mediobanca resterebbero in campo per l’aumento di capitale privato, che però sarebbe di importo ulteriormente limitato, potrebbero bastare un paio di miliardi. Ma il sentiero è molto stretto.
Burden sharing. L’altra strada è quella di un ingresso dello Stato nel capitale di Siena con conseguente burden sharing in piena regola, che vuol dire, nel caso di Mps (il cui deficit di capitale post cessione delle sofferenze può essere in gran parte coperto dal debito subordinato) azzeramento delle azioni e conversione forzata delle obbligazioni subordinate in nuove azioni. Insomma nazionalizzazione e bail-in. In questo caso, gli attuali azionisti perderebbero quel poco che gli rimane, mentre i detentori di obbligazioni subordinate diventerebbero azionisti della banca risanata. Potrebbe non essere un cattivo affare, ma certamente non adatto a chi ha una bassa propensione al rischio. Quella dei piccoli risparmiatori rischia quindi di diventare un’ulteriore grana politica. Proprio per questo allo studio ci sono infatti alcune ipotesi per salvaguardare i sottoscrittori privati di bond subordinati. Le principali sono due: riservare la conversione forzata solo agli investitori istituzionali, o convertire anche i piccoli, ma con un successivo indennizzo, un po’ come è avvenuto per le banche locali di Chieti, Ferrara, Etruria e Marche, andate in bail-in un anno fa. Da notare che, data la disinvoltura agli sportelli Mps negli anni scorsi, i piccoli risparmiatori non sono solo i 40 mila sottoscrittori del bond con scadenza 2018 venduto in tagli da 1.000, ma anche famiglie convinte a investire subordinati con tagli da 50 mila euro.